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REVIEW

Werther, Teatro Grande di Brescia, 1993
La tragedia dei sentimenti
Nicola Salmoiraghi, L'Opera, n. 73 January/February 1994

Brescia - Per chiudere la sua stagione il Teatro Grande di Brescia  ha puntato le sue carte su Werther, capolavoro indiscusso del melodramma francese. Senza mezzi termini ci siamo trovati di fronte ad un'edizione di lusso; dispiace unicamente che il teatro mostrasse diversi vuoti nei palchi e in platea, e che il pubblico abbia applaudito cortersemente, senza mostrare quell'entusiasmo chelo spettacolo, degno di un Ente Lirico, avrebbe meritato; forse gli spettatori del teatro in musica avrebbero davvero bisogno di rinnovarsi; non è lecito riscaldarsi e riempire i teatri unicamente per Rigoletto o Bohème.

L'allestimento, elegante e severo con le stilizzate scenografie liggnee di Koki Fregni, provenivano dal teatro Comunale di Modena. Il regista Stefano Monti, ha provveduto ad una messa in scena sobria, ludica, tesa a isolare e cristallizzare, come in un disperato gorgo di incomunicabilità, le tragedie e i sentimenti dei protagonisti.

Sul podio dell'Orchestra dei "Pomeriggi Musicali" di Milano, in ottima forma, Massimo De Bernart ha offerto un alettura personalissima e a suo modo affascinante della partitura; allontanandosi dalle tenere "nunaces" e dai cromatismi che forse Massenet esigerebbe, De Bernart si è lanciato in una interpretazione tutta "Sturm und Drang", legata direttamete al mondo di Goethe, da cui Werther trae le sue origini letterarie, agitando il suono dell'orchestra come un mare in tempesta. Questo ha a volte compromesso gli sforzi dei cantanti per farsi udire nei momenti più drammatici, ma ha restituito comunque il  mondo musicale di Werther in modo pertinente e legittimo, non alieno , in taluni momenti, da ricercatezze e intimismi.

Sul palcoscenico, nei ruoli dei due protagonisti, agivano due fuoriclasse: Giuseppe Sabbatini e Martine Dupuy.

Sabbatini è la dimostrazione di che cosa possano l'intelligenza, la musicalità, la tecnica e  lo studio, nei confronti di una voce probabilmente da non considerarsi bellissima secondo i canoni ; il suo si è confermato, ancora una volta, un Werther di grande fascino . Il tenore ha nell'interpretazione appassionata, nel fraseggio intenso, nello sfoggio di sfumature, mezzevoci e raffinatezze vocali i suoi punti di forza, disegnando un personaggio di straordinario  peso musicale , reso con gusto impeccabile.

Martine Dupuy ha interpretato il personaggio di Charlotte senza mai strafare o cercare "effetti" sopra le righe. Forse la sua voce, in senso stretto,  non è la più adatta per il ruolo, ma ascoltarla  cantare resta comunque  un piacere raro; mai un suono forzato, mai un'emissione fuori posto, mai un calo di intonazione; e nel terzo atto, quando la sostanza dramamtica di Charlotte emerge in tutta la sua evidenza, la Dupuy ci ha regalato un' "Aria delle lettere" e un duetto con Werther di una intensità commovente, quasi pudica e rassegnata nella sua trattenuta disperazione, nel suo amore soffocato e senza speranza.

Nei ruoli di fianco si è distinta l'incantevole Daniela Mazzuccato, ancora una volta dimostratasi  artista a trecentosessanta gradi, in cui la puntuale resa vocale e la deliziosa presenza scenica sono tutt'uno. Alberti , il marito di Charlotte, rappresentante della grettezza e del grigiore borghese, era interpretato da un vigoroso Giancarlo Pasquetto. Completavano validamente il cast Carlo de Bortoli (Il podestà), Oslavio di Credito (Schmidt), Orazio Mori (Johan), Giovanni Maini (Bruhmann) e Romilda Colombo (Katchen).

Ci auguriamo che i teatri di tradizione possano offrirci più spesso spettacoli  di questo livello, "bacchettando" così sulle mani taluni "colossi" elefantiaci e spreconi , che avrebbero ben da imparare da queste lezioni.


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This page was last updated on: July 7, 2003