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Aida, La Scala, December 2006
Roberto Alagna as Radames, La Scala, 7 December 2005
Photo by Marco Brescia


Un'ovazione per l'Aida delle Aide, ANSA, 8 December 2006
Bene il podio ma la compagnia non asseconda, La Repubblica, 8 December 2006
La critica, La Provincia, 9 December 2006
Quanto oro, dolce Aida. pare quasi Disneyland, La Stampa, 8 December, 2006
Aida Kollossal alla Scala, Il Giornale della Musica, 8 December 2006
Gli eccessi di Aida, Corriere della Sera, 8 December 2006
Trionfale Aida, Avvenire, 8 December 2006
Zeffirelli's triumphant Aida at La Scala, The Telegraph, 9 December 2006
Voci per una bacchetta magica, Il Messaggero, 8 December 2006
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Un'ovazione per l'Aida delle Aide
Francesco Brancati, ANSA, 8 December 2006

Con tredici minuti di applausi il pubblico della prima scaligera 2006 ha dato ragione a Franco Zeffirelli, che ha definito questo suo ultimo lavoro sull'opera verdiana 'l'Aida delle Aidé. In piedi, dopo aver battuto le mani agli interpreti, aver reso omaggio a un grande Riccardo Chailly, è letteralmente esploso all'apparire, ancora seminascosto dal tendone rosso, del regista-scenografo. Platea, palchi, loggione: tutti d'accordo sull' 'Aida delle Aide' che, se ha fatto storcere il naso a qualche modernista raffinato, ha stupito i più per l'eleganza figurativa, per un'iconografia dell'antico Egitto, potente e dominatore, realizzata nel modo più vicino all'immaginario della gente.

La musica di Giuseppe Verdi interpretata con passione ed equilibrio dall'orchestra scaligera diretta da Chailly, l'eleganza dei costumi di Maurizio Millenotti, la buona prova delle voci soliste e del coro diretto da Bruno Casoni e l'eleganza dei ballerini hanno completato il successo di una serata speciale. Già il primo quadro trasmette forti suggestioni: la facciata del palazzo del faraone occupa tutto il boccascena. Inserite in grandi metope, spiccano geroglifici - nell'oro, nel celeste, nel bianco - e divinità egizie. Riconoscibili Anubis con la testa di sciacallo, Ra il sole. Zeffirelli usa un particolare sistema per dare profondità alla scena: vi trasferisce il tratteggio dei bozzetti, con decine di tubi orizzontali. E l'immagine resta sullo sfondo, filtrata dal tratteggio dorato.

La prima aria famosa arriva subito, con Radames (Roberto Alagna) che si accende d'ambizione nella speranza di avere il comando dell'esercito da condurre contro gli etiopi invasori (Se quel guerrier io fossi...), e insieme di passione per la 'celeste Aida' (Violeta Urmana), la schiava di cui segretamente é innamorato. Il pubblico ascolta trattenendo il fiato: le note filano via lisce, la voce è calda, il si bemolle finale (...un trono vicino al sol) limpido. Ma seguito da una ripetizione, un'ottava più in basso. Non è usuale. Anzi, nessuno l'ha mai sentita questa ripetizione ma pare esista una lettera in cui lo stesso Verdi concede a un tenore di Parma questa possibilità. Come sempre nel melodramma verdiano, subito s'annuncia la tragedia: la figlia del re, Amneris (Ildiko Komlosi) innamorata di Radames coglie la rivalità di Aida che quando il re annuncia l'eroe designato, Radames, non esulta. E' divisa tra l'amore del padre (Amonasro-Carlo Guelfi) e quello per il generale nemico.

La seconda scena è ancora più suggestiva: è l'interno del tempio di Vulcano, sorretto da 12 gigantesche colonne. Anche qui il grande tratteggio dorato in primo piano dona profondità all'ambiente, con luminosità meno vivide ma più diffuse. Mentre Radames riceve la spada da Ramfis (Giorgio Giuseppini), dal cielo scendono quattro divinità alate: Horus, il potere del re. Questo l'impianto dell'opera, che occupa tutto il primo atto. In quelli successivi si compiono destini, già segnati: Amonasro obbliga Aida a farsi rivelare da Radames il segreto della via che seguirà l'esercito egizio; Amneris scopre il tradimento del generale. Davanti al tribunale dei sacerdoti che lo accusa, Radames non si discolpa e viene sepolto vivo, ma sotto 'la fatal pietra', ritrova Aida, che sceglie così di morire con lui.

Altra grande scena è quella della famosa 'marcia trionfale' fra templi, palazzi e troni dorati (200 chili di polvere d'oro, per questa sceneggiatura), al culmine della quale 310 persone, fra soldati, ministri, prigionieri sono contemporaneamente in palcoscenico. Grande successo, qui, del ballo scaligero che vede protagonisti Luciana Savignano, Myrna Kamara e Roberto Bolle. Nelle altre scene le stanze di Amneris, fra tendaggi bianchi a disegni floreali; l'esterno del tempio di Iside, fra le palme e nuovamente il tempio di Vulcano, illuminato questa volta di una luce fredda e metallica perché teatro di una condanna a morte. La scena alla fine si sposta verso l'alto, scoprendo le segrete in cui il generale, sepolto vivo, ritrova Aida.

Al chiudersi del sipario, l'applauso intenso, liberatorio, di un pubblico stregato. Dalla musica di Verdi, certo, ma anche dall'interpretazione dell'orchestra scaligera diretta da Chailly, dalla maestria delle voci soliste e del coro, ma soprattutto, ancora una volta, da Franco Zeffirelli.
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Bene il podio ma la compagnia non asseconda
Michelangelo Zurletti, La Repubblica, 8 December 2006

Ci voleva proprio l´arrivo di Riccardo Chaillly per dare senso a un´Aida che per il resto ne ha poco, se non per far gridare al miracolo il pubblico che non ha mai visto un grande magazzino addobbato per le feste natalizie. Chailly ha lavorato di fino quando l´opera glielo consente (terzo e quarto atto) e bombardato quando l´opera lo esige (primi due atti), con tempi ben meditati e individuazione di particolari normalmente taciuti: li troviamo prevalentemente nel bellissimo preludio e nel clima notturno del terzo atto. L´orchestra lo asseconda bene, con bel suono e precisione, e così il coro. Non siamo altrettanto convinti della risposta della compagnia, perché Violeta Urmana è cantante raffinata e di bella voce ma senza fascino e perfino un po´ noiosa, Roberto Alagna se la cava abbastanza bene senza sforzi eroici, ma ci sono Ildiko Komlosi e Carlo Guelfi che danno il peggio di loro stessi: lei, che abbiamo ammirato in ruoli del repertorio tedesco, inattendibile per timbro e per espressione nel personaggio di Amneris, lui che supplisce alle scarso peso vocale con trucibalderie d´ogni sorta. Discreti Giorgio Giuseppini e Marco Spotti come Ramfis e Re mentre eccelle nel suo breve ruolo Sae Kyung Rim quale Sacerdotessa. Luciana Savignano, Myrna Kamara e Roberto Bolle sono un lusso consentito a un´inaugurazione di stagione (coreografie interessanti di Vladimir Vassilev).

Lo spettacolo è la rivincita, o la vendetta, di Franco Zeffirelli. Nella sua precedente Aida, a Busseto, era stato costretto al massimo risparmio: in metri quadrati, comparse e attrezzeria. Qui ha dato fondo a tutte le sue fantasie e al suo horror vacui e ci presenta un Egitto non, per fortuna, come lo vediamo ora ma come lo immaginavano nell´Ottocento, nel pieno delirio per l´esotismo. E come a Busseto per necessità aveva rinunciato al corteo trionfale qui senza necessità vi rinuncia ancora una volta: tutti i 310 tra protagonisti, coristi, comparse stecchiti sui vari gradoni a assistere soprattutto alle evoluzioni di due prigionieri etiopi e ai ballerini di contorno. Ma benché stecchiti sono tutti portatori di qualcosa: bandiere, vessilli, stendardi, gonfaloni, labari, stemmi: un´orgia di trovarobato. Verticalità di oggetti che contrasta l´orizzontalità dei mille tubi d´oro e d´argento che si assiepano in celo. E colonne istoriate e sfingi e statue e bracieri e incensieri attivissimi, perfino quattro enormi pipistrelli o angeli di morte che volteggiano in alto e per ben due volte. Belli i costumi, magniloquenti e ipertrofici come l´allestimento scenico. 
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La critica
Giancarlo Arnaboldi, La Provincia, 9 December 2006

Bene Violeta. Alagna fa del suo meglio. Grande successo per Zeffirelli Alla fine tredici minuti di applausi. E Bolle piace più di tutti

Sfavillio d'oro e di luci, palcoscenico ingombro di comparse e scenografie. Al termine, ben 13 minuti di applausi. Già alla fine dei primi due atti l'Aida allestita da Franco Zeffirelli si conferma kolossal, com'era del resto prevedibile. È molto tradizionale, piacevole nella sua linearità, senza soluzioni registiche geniali, ma anche senza cadute di gusto o forzature che stravolgano la comprensione di quanto sta avvenendo in scena. Il personaggio che sembra più interessare il grande regista italiano è quello di Amneris: fragile donna innamorata (e respinta), non solo un'altezzosa "figlia dei faraoni", come canta lo stesso personaggio. Anche il fraseggio del mezzosoprano che l'interpreta, Ildiko Komlosi, appare il meglio rifinito, il più attento alla "parola verdiana". Roberto Alagna appare in lieve difficoltà fin dalla sua aria iniziale, la celebre «Celeste Aida». Palesemente il ruolo è troppo pesante per lui. Il tenore italo francese, saggiamente, tenta di alleggerire dove può. Non sempre gli riesce, ma difficilmente - oggi - qualcun altro potrebbe cantare Radames meglio di lui. Sicura, impavida, ma piuttosto generica come interprete, Violeta Urmana nel ruolo d'Aida. Sanguigna, sbalzata a tutto tondo, è la direzione d'orchestra di Riccardo Chailly. Meno attenta alle morbidezza di scrittura e al languore quasi decadente di certe pagine di quanto ci si sarebbe aspettati, ma comunque efficacemente teatrale. Splendido, come suo solito, Roberto Bolle che, in coppia con Myrna Kamara, danza durante la scena del trionfo. Alla fine dell'esibizione il pubblico li ha accolti con fragorosi applausi e grida di «Bravo».
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Quanto oro, dolce Aida. pare quasi Disneyland
Paolo Gallarati, La Stampa, 8 December, 2006

Luccichio, ricchezza, monumentalità dello spettacolo riducono la musica al ruolo di semplice colonna sonora

Sembra un calco storico l'allestimento di Franco Zeffirelli, con costumi di Maurizio Millenotti, che ha aperto ieri sera la stagione lirica 2006-2007: rimanda, infatti, a quello stile spettacolare, monumentale, stupefacente e iperdecorativo che per decenni, sin dai tempi di Giovacchino Forzano - Anni 20 e 30 - ha caratterizzato gli allestimenti della Scala, e contro cui si è sviluppata nel dopoguerra, dapprima in altri teatri, poi anche a Milano, un tipo di scenografia più essenziale, consona alla sobrietà figurativa del gusto contemporaneo. Questo tuffo all'indietro proposto da Zeffirelli lascia il pubblico a bocca aperta: Aida raggiunge una spettacolarità raramente eguagliata negli ultimi anni. Domina l'oro: le gigantesche architetture egizie, i costumi, i ricami, gli arredi, le statue, i mobili, le armi, le arpe, le trombe, i gioielli non sono che espressioni cromatiche dell'oro di fondo che luccica ovunque, e si riflette nelle decine di sbarre orizzontali sospese sul palcoscenico, già usate da Zeffirelli in una vecchia Turandot, e qui lucidate di fresco perchè possano sparare scintille dorate. Ricchezza, sfarzo, monumentalità dominano questo spettacolo in cui la poesia è messa all'angolo.

Quel che conta è l'apparire, e questo colpisce il pubblico che applaude a scena aperta: il palcoscenico è attraversato da una miriade di comparse, moretti e danzatrici, sacerdoti, guardie, inservienti, ancelle, selvaggi, fumi d'incenso che profumano la sala, donne-uccello vestite d'azzurro che planano dal soffitto del tempio, e così via. Il frastornante accumulo di particolari appare, però, estraneo alla musica di Verdi che, ben consapevole di quanto uno spettacolo eccessivo possa distrarre dalla musica e dal dramma, raccomandava «massima semplicità» e «pochissimi mezzi »: qui, invece, la plètora di immagini dà tregua allo spettatore solo nel terzo atto, quando un paesaggio di palme dipinte su cielo azzurro, che pare lo sfondo cartaceo di un presepio, ci porta, di notte, sulle rive del Nilo. L'unica scena davvero suggestiva e «verdiana», è quella della gigantesca muraglia con bassorilievi egizi che chiude il primo quadro e, ad un certo punto, diventa trasparente, in un trascolorare di luce azzurrina. La musica di Aida, difatti, è piena di effetti vaporosi, voci e suoni che vengono da lontano, echi e dissolvenze che si perdono nella profondità delle architetture o del paesaggio, come aspirazioni nostalgiche o funesti presagi. L'esecuzione li ha resi piuttosto bene, anche se ha dovuto lottare contro uno spettacolo che magnetizza talmente l'attenzione da ridurla, talvolta, al ruolo di una semplice colonna sonora. In Chailly l'orchestra ha un punto di riferimento sicuro: la sua direzione è vigorosa, anche se la partitura di Aida possiede una quantità di finezze che sono scivolate un poco in secondo piano.

Tra i solisti, Aida è la migliore: Violeta Urmana canta con stile e partecipazione ma, schiacciata da un costume pesantissimo, salva solo in parte la freschezza e la sensuale malinconia della ragazza infelice ed eroica. Roberto Alagna affronta di slancio, anche se con risultati alterni, la parte di Radamès, Ildiko Komlosi recita quella di Amneris senza veramente immedesimarvisi, per limiti vocali; Carlo Guelfi è un generoso Amonasro. Il coro, gravato di armi, palandrane, parrucche, che non c'entrano nulla con l'antico Egitto dove erano tutti vestiti in modo leggerissimo, ha fatto musicalmente una gran figura sotto la guida di Bruno Casoni e tutti, compresi i danzatori e la coreografia di Vladimir Vassiliev, sono stati calorosamente applauditi.
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Aida Kollossal alla Scala
Stefano Jacini, Il Giornale della Musica, 8 December 2006

L'attesa non è andata delusa. Messa in scena doppiamente faraonica secondo la cifra di Zeffirelli, buona prova dell'orchestra che con Chailly trova un piglio deciso eppure parsimonioso nelle gradazioni dinamiche, cast di primo piano, grande accoglienza del pubblico. Generoso di applausi per il direttore, per il regista osannato a fine spettacolo e talvolta un po' avaro coi cantanti nel corso della rappresentazione. L'Aida che inaugura la stagione scaligera ha comunque tutte le premesse per diventare un titolo di repertorio, soprattutto esportabile. Insomma un "en plein" della sovrintendenza, che rende omaggio alla storia della Scala. Salvo che ripensando allo spettacolo in sé rimane la sensazione che non sia andato oltre una rutilante apparenza.

Già Aida è per metà un'opera di ingombri scenici, ma allo scotto tradizionale qui si aggiunge una sorta di horror vacui che non lascia libero un centimetro quadro e finisce per affaticare con ori, argenti, corpi umani, tubi orizzontali abbacinanti, incensi veri che spandono profumi in sala. L'accumulo di fastosità avviene subito ed è tale da annullare il crescendo di effetti, dall'investitura di Radamés al ritorno trionfale, e da rendere sbiadite molte intuizioni registiche. Una per tutte: l'invocazione a Ftha, alla fine del secondo e quarto atto, accompagnata dall'apparizione di aironi neri, nunzi di morte alle "tigri infami" della casta sacerdotale, ma spogliati di senso dagli eccessi scenici. Non a caso il momento più convincente è l'inizio dell'ultimo atto, col palazzo semideserto e Ildiko Komlosi che dà ottima prova drammatica come Amneris.

Quanto agli altri interpreti, Violeta Urmana nei panni della protagonista è sempre corretta, ma distaccata dal personaggio: "Oh patria mia" passa come nulla fosse, senza tramettere emozione alcuna ed è un vero peccato. Roberto Alagna (Radamès), che pure conserva una voce calda e seduttiva, manca di eroicità, mal si addice alle situazioni trionfal-bellicose, mentre è a suo agio in quelle private o sepolcrali. Anche se guarda più sovente il podio che gli interlocutori: quando Amonasro gli si svela come il re nemico, per lui dovrebbe essere uno choc, eppure non lo degna di uno sguardo, fa il tenore e si rivolge solo a Chailly e alla sala. Da parte sua Carlo Guelfi (Amonasro), che è l'unico a infondere tensioni in scena, le attinge un po' troppo dall'opera verista. Una nota doverosa per i balletti dove Myrna Kamara e Roberto Bolle offrono un elegante exploit di selvatichezza etiope; Luciana Savignano è invece una presenza quasi continua in tutta l'opera, quale misteriosa e ieratica officiante. Sembra quasi una enigmatica conduttrice di tutta la vicenda.
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Gli eccessi di Aida
Paolo Isotta, Corriere della Sera, 8 December 2006

Questa è l'Aida non del direttore Chailly o del cantante Tizio o Caio (non voglio dire di Verdi) ma di Franco Zeffirelli

(...) Mentre Aida e Radames muoiono, al piano superiore Amneris è sola, disperatamente sola, perché il suo destino è di rimanere prigioniera della sua solitudine invocando «Pace». Nel IV atto della Scala c'è tanta gente e tutta così affaccendata, con una ballerina che evoluisce, bruciatori d'incenso, che è addirittura difficile riconoscere Amneris. (...)

Un avvertimento ovvio ma utile dal momento che nell'attuale epoca ciò ch'è accaduto 24 ore fa è accaduto in un'altra era. Le presenti righe non sono l'articolo di recensione sull'Aida alla Scala: sono anticipazione d'un giudizio motivato che non può esser pubblicato oggi per questione di tempi tecnici, il divario tra la fine dello spettacolo e la cosiddetta chiusura delle pagine essendo troppo stretto. Ciò si leggerà domani.

Principiamo col rilevare un'impressione sgradevole: con una profluvie di articoli prodromici, interviste, servizi fotografici, etc., tutti i giornali, nessuno escluso, hanno creato attorno a tale Aida non un legittimo interesse, un vero e proprio clima intimidatorio, come se il suo esito trionfale fosse già avvenuto e pertanto negarne la causa, esser cioè questa, com'è già stato scritto, «l'Aida dei miracoli» (!), equivalga a dire che Cristo non è Cristo. Eppure: questa è l'Aida non del direttore Chailly o del cantante Tizio o Caio (non voglio dire di Verdi) ma di Franco Zeffirelli, scenografo qui assai prima che regista, tanto ossessivamente il tutto è incentrato intorno all'elemento spettacolare. Il che è già un errore in punto di principio. Per quanta simpatia si debba provare per un gran veterano come Zeffirelli, occorre ammettere che il suo spettacolo è così sovraccarico, così colorato (certe colonne laminate di oro zecchino!), così affollato, da sfiorare certe volte il comico, da toccare quasi sempre il cattivo gusto, da giungere addirittura a stravolgere il finale dell'Opera.

Mentre Aida e Radames muoiono, al piano superiore Amneris è sola, disperatamente sola, perché il suo destino è di rimanere prigioniera della sua solitudine invocando «Pace». Nel IV atto della Scala c'è tanta gente e tutta così affaccendata, con una ballerina che evoluisce, bruciatori d'incenso, che è addirittura difficile riconoscere Amneris.

Quattro Horus (il dio sparviero) vengono a chiudere, calando dall'alto, questa specie di esequia celebrata a cadavere vivo. Oltre che di Zeffirelli, questa è, però con piena legittimità, l'Aida del maestro Casoni e del Coro della Scala, tanto virtuosismo nelle varie sfumature di piano esso raggiunge, specie all'inizio del II atto. Le coreografie sono ridicole, specie quelle infantili. Nella compagnia, sotto la corretta guida del direttore Riccardo Chailly, campeggia l'appassionata Amneris di Ildiko Komlosi, che a noi pare soprano drammatico e non mezzosoprano.

Aida è la cara Violeta Urmana, interprete di sensibile lirismo alla quale, ora che canta da soprano, chiederemmo maggior cura della fonazione articolata affinché la sua dizione sia più chiara. Degli altri, davvero degno di menzione è Antonello Ceron, ch' esplica con voce e chiarezza la piccola ma importante parte del messaggero, di solito retaggio di pensionati o pensionandi.
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Trionfale Aida
Pierachille Dolfini, Avvenire, 8 December 2006

Tredici minuti di applausi per l'opera kolossal alla Scala Ovazioni per la protagonista Violeta Urmana e Roberto Alagna diretti dal sicuro Chailly. Colpisce e divide la sontuosa scenografia voluta da Zeffirelli

Quando il tenore intona Celeste Aida ti verrebbe voglia di cantarla insieme a lui. E quando in sala echeggiano gli squilli delle trombe, vorresti accompagnare le note della Marcia trionfale alzandoti in piedi e, braccia al cielo, battere le mani a tempo di musica. Potenza della lirica. Quasi sul palco ci fosse una rockstar che, lontana dal pubblico da molti anni, avesse deciso di lasciare l'esilio e tornare a cantare. La rockstar è lei, Aida, che ieri sera ha aperto la nuova stagione del Teatro alla Scala. Mancava da ben ventun anni il capolavoro di Verdi, dal 1985 quando sul palco Radames aveva il volto e la voce di Luciano Pavarotti e sul podio c'era Lorin Maazel. Da allora la Scala ne ha fatta di strada: alle spalle i diciannove anni dell'era Muti - che aveva in agenda, progetto mai andato in porto, proprio un'Aida in coppia con Giorgio Strehler - e davanti la scommessa di tornare a essere il primo teatro lirico del mondo. Sarà anche per questo che il sovrintendente Stéphane Lissner ha schierato una squadra di prim'ordine. In regia c'è mister «Aida», ovvero Franco Zeffirelli che, a 83 anni suonati, ha deciso di raccogliere la sfida e di allestire, per la quinta volta nella sua lunga carriera, il capolavoro verdiano. Sul podio il più milanese dei direttori d'orchestra, Riccardo Chailly, un lungo curriculum internazionale dal quale però mancava il Sant'Ambrogio scaligero. Ora c'è. E Zeffirelli, per stupire il pubblico che Aida la conosce a memoria, ha immaginato un Egitto da sogno dove c'è tutto - e anche di più, tanta è la quantità di cose e persone sul palco - dove c'è tutto ciò che si immagina quando si pensa al mondo dei faraoni.

Scenografie hollywoodiane, volutamente eccessive e che per questo non hanno convinto tutti, che salgono e scendono cosparse di due tonnellate di polvere d'oro, incenso che profuma la sala, voli di aironi, più di quattrocento costumi e un esercito di trecento persone in palcosceni co per la scena del trionfo dove i più «catturati» dagli scatti dei telefonini sono Roberto Bolle e Myrna Kamara nelle danze tribali ideate da Vladimir Vassiliev che incassano un lungo applauso a scena aperta.

Se non ci fossero le note di Verdi penseresti di essere stato catapultato in uno di quei parchi divertimento che ti propongono l'«avventura nell'antico Egitto». Ma d'altra parte cos'è l'opera lirica - quella fatta bene, intendiamoci - se non un gran bel gioco per adulti. Un gioco, però, che nasce dal desiderio di conoscere meglio se stessi. Lo dice bene la lettura che di Aida dà Chailly: se sul palco c'è il sogno, in orchestra c'è la vita, ci sono le tinte scure del dolore, i colori cristallini della speranza, i tempi palpitanti dell'amore. Il pubblico lo sente: trattiene quasi il fiato quando Violeta Urmana, splendida Aida, intona il suo implorante Numi pietà o quando, ormai nella tomba con Radames, alza al cielo, con Roberto Alagna lo straziante O terra addio. E atteso al varco, all'inzio dell'opera, per il famoso si bemolle che chiude l'aria Celeste Aida, il tenore italo-francese era ricorso a un riuscito stratagemma, autorizzato a suo tempo dallo stesso Verdi: non sfumare la difficile nota, ma ripeterla un'ottava più in basso.

Lo spettacolo di Zeffirelli - un sapiente collage dei suoi precedenti allestimenti - è esattamente ciò che il pubblico vuole: grande rispetto per la musica, niente allestimento minimalista, ma la grande tradizione del melodramma italiano riletta grazie alle moderne tecnologie che consentono rapidissimi cambi di scena, il più lungo dei quali dura quaranta secondi, permettendo così di non spezzare la tensione drammatica che Verdi ha messo nella partitura andata in scena la prima volta il 24 dicembre 1871 al Teatro dell'Opera del Cairo per celebrare l'apertura del Canale di Suez e comparsa poco dopo in Italia, nel febbraio del 1872, proprio alla Scala. Oggi come allora, dunque, un'Aida< /I> dell'orgoglio italiano, come l'ha definita il regista, che la Scala esporterà, a partire dal 2009, in Israele, Cina e Giappone e che si è guadagnata, prima del levarsi del sipario l'Inno di Mameli e, a musica spenta, un applauso lungo ben tredici minuti.

Un trionfo tributato da un pubblico (mentre fuori, nella vicina Galleria Vittorio Emanuele, in centinaia assistevano all'opera davanti a un maxischermo) che, visti anche i costi proibitivi - per un biglietto di platea occorreva sborsare 2000 euro - vedeva pochi frequentatori abituali dell'opera. Ma anche questo fa parte della tradizione. Spazio a personaggi dello spettacolo (uno su tutto Fanny Ardant, la Callas cinematografica di Zeffirelli), petrolieri e ministri del mondo arabo, politici della Vecchia Europa. Il palco reale e l'accoppiata, già vista il 9 luglio sugli spalti dello stadio di Berlino per la finale mondiale, Romano Prodi e Angela Merkel: durante gli intervalli il premier italiano e il cancelliere tedesco conversavano amabilmente, sotto l'occhio vigile del sindaco di Milano Letizia Moratti, alla sua prima inaugurazione scaligera con la fascia tricolore.
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Zeffirelli's triumphant Aida at La Scala
Rupert Christiansen, The Telegraph, 9 December 2006

The paparazzi jostled to snap the celebrities, medals and tiaras were worn and the six tiers of the La Scala opera house auditorium in Milan were decked with white amaryllis.

Even in a normal year, there is nothing in the operatic calendar to beat the opening night of the season at La Scala, but this year it featured what is widely believed to be the final opera production of the great director Franco Zeffirelli, and the excitement was unbounded.

The performance also underlined La Scala's return to the centre of the cultural scene, not only in Italy, after several years marked by tension over the house's management.

Angela Merkel, the German chancellor, was there as the guest of Romano Prodi, Italy's prime minister, and Rupert Everett accompanied Donatella Versace.

A mounted guard of honour patrolled the piazza outside, keeping the peace among gawping crowds and noisily protesting Leftists.
Forget opera's half-baked attempts to democratise itself, this was pure ancien regime.

The auditorium presented a scene of such ravishing beauty that the evening's opera ran the risk of seeming dull in comparison. Not this year, however, as Zeffirelli  celebrated as a director of films, plays and operas  has dreamed up a production of Giuseppe Verdi's Aida that unabashedly revels in splendour and spectacle.

He may be a frail octogenarian now, but after half a century working at La Scala, Zeffirelli knows a thing or two, and if this does indeed prove to be his swansong, he will have gone out in style.

The sets and costumes evoked the grandeur of ancient Egypt in a riot of golden magnificence.

The high-minded may deplore the two-dimensional acting, but the staging was impeccably drilled and true to the composer's intentions. The audience, not surprisingly, adored it, applauding for more than 15 minutes after the final curtain and standing to cheer Zeffirelli and the conductor Riccardo Chailly.

The singing didn't quite meet this standard, as the guarded applause implicitly reminded the cast at the curtain calls. Yet much of what Violetta Urmana did with the title role was admirably forceful, vivid and sensitive, and Roberto Alagna made a sturdy, conscientious Radames.

The chorus hit the heights in the Triumph scene. In sum, it was a breath-taking, jaw-dropping, ear- and eye-popping feast that only cynics or puritans could resist.
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Voci per una bacchetta magica
Alfredo Gasponi, Il Messaggero, 8 December 2006

Nella scatola magica di Zeffirelli c'è un'interpretazione musicale all'altezza dell'involucro dorato. Il direttore Riccardo Chailly serve Verdi con gran cura e soprattutto anima incessantemente, impetuosamente l'orchestra e il coro. In un'Aida alla Scala ci si aspetta che le voci scuotano le emozioni. Ed è proprio quello che è accaduto ieri sera: gli artisti si sono impegnati a fondo e col coraggio richiesto da una serata così rischiosa.

Un'Aida, vocalmente, dalla tinta generale un po' scura: Violeta Urmana, che interpreta la schiava-principessa, è in origine un mezzosoprano e il tenore Roberto Alagna, Radamès, ha voce bella ma non particolarmente luminosa. Da qui una certa uniformità, specialmente nei pezzi d'insieme. Però l'inconveniente viene brillantemente superato dai cantanti quando affrontano sfumature e chiaroscuri, essenziali in un'opera dove i personaggi devono spesso celare i loro veri sentimenti.

Radamès è atteso subito al varco con Celeste Aida: Alagna, con musicalità e passione, la esegue. Come deve essere in un uomo innamorato. Per il guerriero Radamès, però, ci vuole anche voce squillante ed è che qui il cantante italofrancese ha i suoi limiti, comunque la sua grinta riesce ugualmente a coinvolgere. Il "si bemolle" di Un trono vicino al sol eseguito non "smorzando" bensì tutto in mezzoforte e con la ripetizione delle ultime tre parole secondo la scelta toscaniana, evita i rischi ma non cancella il trasporto. Nel second'atto Alagna ha bei momenti di commozione (Il dolor che in quel volto favella), e di fierezza. Nel terzo, che vuole gran forza drammatica, gioca sulla sulla difensiva. Dà tutto, comunque, in Sacerdote, io resto a te. E alla fine trova accenti sinceri di rassegnazione.

La Urmana esordisce autorevolmente, poi da Ritorna vincitor! si scalda e interpreta con immedesimazione il dramma di Aida, combattuta tra Radamès e l'amor di patria: piacciono l'intenso Numi, pietà... e, nel duetto con Amneris, l' accorato E' vero, io l'amo di immenso amor. E intona Cieli azzurri con giusta comunicativa e spesso con quell'arcata omogenea e quella finezza nei particolari che producono l'incanto.

Amneris deve essere insinuante, e a Ildiko Komlosi non mancano l'ambiguità e la sensualità per ingannare Aida. La cantante sa anche essere ferina e questo sfoggia soprattutto nel finale, ossia nel duetto con Radamès e nell'invettiva contro i sacerdoti, quando sa di dover svettare e lo fa. Carlo Guelfi è un Amonasro prevedibile nel suo cipiglio benché vocalmente robusto e sicuro. Marco Spotti, un re solenne a cui non manca l'aggressività. E Giorgio Giuseppini è un imponente Ramfis.

Splendido Chailly: già dal preludio, arcano, onirico, che si chiude con belle sonorità aurorali. Ogni scena è preparata e commentata con una "regia" musicale davvero espressiva. Orchestra ora vellutata ora percorsa da scariche elettriche; possente ma anche misterioso il coro. L'impianto è grandioso, le sonorità ampie. Suggestiva la scena della consacrazione della spada, lampeggiante grazie alla Luciana Savignano che danza il ruolo della sacerdotessa, e con gli ottoni sacrali che splendono poi nel Trionfo, caratterizzato dalle coreografie energiche, preziosamente firmate dal grande Vassiliev per un mito come Roberto Bolle e per Myrna Kamara. L'arrivo dei prigionieri assume i colori di una marcia funebre di sapore mahleriano. Conquista la capacità del maestro di passare senza scosse dall'opulenza sonora degli squarci collettivi alle sottigliezze dei drammi individuali, grazie a un'orchestra e un coro di cui la Scala può andar sempre fiera. Serata punteggiata di applausi a scena aperta, molto intensi nel Trionfo. Al termine 13 minuti di acclamazioni soprattutto per le donne del cast e i danzatori solisti. Ovazioni per Zeffirelli e Chailly. 
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