REVIEWS & BACKGROUND ARTICLES La Traviata. Parma, July 2001 «Alfredo» della «Traviata» di questa sera è un tenore applaudito in tutto il mondo, Gazetta di Parma A Parma una Traviata rosso borghese, La Repubblica ______________________________________________________________ Nella «Traviata» di domani sera al Regio il tenore Sabbatini sostituisce Palombi Gazetta di Parma, 20 July 2001 Un tenore, certamente, ma soprattutto un musicista completo, un interprete raffinato, dotato di grande musicalità. Sarà Giuseppe Sabbatini a vestire i panni di Alfredo nella produzione di Traviata che andrà in scena domani sera nell'ambito del Verdi Festival. Il celebre tenore fra i più applauditi e richiesti di queste ultime generazioni, sostituirà infatti il collega Antonello Palombi che, indisposto, ha dovuto abbandonare le prove di questa attesa produzione, pur avendo lavorato a gran parte di esse. Giuseppe Sabbatini è arrivato a Parma nella giornata di ieri e ha assistito alla prova generale aperta gratuitamente al pubblico. Il tenore è stato accolto con grande calore e ha approfittato dell'occasione per salutare amici e il personale del Teatro Regio, dimostrandosi entusiasta del suo ritorno nella città ducale. Non sarà d'altra parte difficile per l'artista calarsi nelle vesti di Alfredo, ruolo che ha già sostenuto nei più importanti teatri del Mondo, nonché sotto la direzione di Riccardo Muti. Quello di Sabbatini, sarà dunque un ritorno al Regio di Parma dopo diverse fortunate rappresentazioni e l'impegno del tenore sarà anche esteso al grande concerto intitolato Verdi in una notte di mezza estate che si terrà al Regio nelle sere del 25, 27 e 29 luglio. Insieme a Sabbatini, per una festa musicale con sinfonie, duetti, quartetti e romanze dalle opere di Verdi, i solisti Francesca Scaini, Lucio Gallo, Carlo Colombara e Marco Berti con l'Orchestra della Fondazione Toscanini diretta da Marco Armiliato. Sabbatini, dopo una iniziale attività come contrabbassista, ha intrapreso lo studio del canto vincendo numerosi concorsi nazionali e internazionali tra i quali il Concorso Sperimentale «A. Belli» di Spoleto (1987), dove ha debuttato nel ruolo di Edgardo nella Lucia di Lammermoor. La sua carriera lo ha portato in teatri quali la Scala di Milano, l'Opera di Roma, il Regio di Torino, il San Carlo di Napoli, il Regio di Parma, i Comunali di Bologna e di Firenze, il Carlo Felice di Genova la Royal Opera House-Covent Garden di Londra, la Staatsoper di Vienna, l'Opéra-Bastille di Parigi, la Carnegie Hall di New York, la Lyric Opera di Chicago, la San Francisco Opera, il Liceu di Barcellona, la Japan Opera Foundation, l'Opéra di Montecarlo. «Alfredo» della «Traviata» di questa sera è un tenore applaudito in tutto il mondo Elena Formica, Gazetta di Parma, 21 July 2001 Sabbatini: i trionfi giapponesi E' preoccupato per la dispersione sonora causata dalle scene troppo grandi Amami, Alfredo, canterà Violetta. A risponderle sarà la voce di Giuseppe Sabbatini, il tenore capitolino che ha ottemperato al suo voto di fede giallorossa tagliando la lunga chioma scura in onore della Roma, che ha vinto lo scudetto. Così, con i capelli di pochi millimetri, lo abbiamo incontrato ieri nel suo camerino, poco prima delle prove di Traviata. Un Sabbatini sorridente, vigoroso, che a Tokio è stato portato in trionfo con la Manon di Massenet. Del Sol Levante ha un ricordo più che positivo: entusiastico. «E' in Giappone - asserisce infatti il tenore - che esistono oggi le sale da concerto con l'acustica migliore al mondo. Ed è sempre in Giappone che funzionano i teatri più efficienti, più organizzati, come quell'immenso tempio della musica che è il New Theatre della capitale, assolutamente splendido. E' finita l'era delle prese in giro ai giapponesi, che venivano in Italia a fotografare le nostre glorie per poi copiarle nel loro Paese. Adesso dobbiamo emularli noi, eccome...!». Sabbatini ammette però che al Teatro Regio di Parma ha «l'onore di lavorare con un grande regista, Giuseppe Bertolucci». Quindi non nasconde di essere «molto contento di partecipare a questa produzione della Traviata filologica che, nel contesto di un'operazione specificatamente culturale come il Festival verdiano, può definirsi quasi d'obbligo». Resta inteso, tuttavia, che la Traviata preferita da Sabbatini è quella della tradizione, ovvero l'opera che Verdi ripropose al pubblico nel 1854 dopo avervi apportato una serie di importanti modifiche, specialmente nella parte consegnata al baritono. «Invece la parte di Alfredo -spiega il tenore - resta pressoché invariata, a eccezione del concertato nella casa di Flora e del duetto Parigi o cara. Ma devo ammettere che, ascoltando la prima versione dell'opera, mi ha colpito la capacità dimostrata da Verdi nel migliorarla, nel costruire una seconda Traviata in cui la forza dei sentimenti si esplica efficacemente con un linguaggio musicale più stringato, più convincente». Sottolinea anche, Sabbatini, che il ruolo del baritono è arduo, difficilissimo, impervio, nella Traviata datata 1853 (e mai più riascoltata). Al punto che la tessitura originaria - questa è ancora la sua opinione - si rivela «inadatta a rendere quel colore paterno tipico di Germont, che Bruson ha interpretato al meglio». Quanto alle scene, Sabbatini le ha giudicate di primo acchito assai grandi, cosa della quale da tempo si lamenta perché «crea ai cantanti problemi di tipo acustico su cui gli scenografi si rivelano insensibili, dimostrando scarso rispetto per chi mette in gioco la propria voce». Ma, alla prova dei fatti, il tenore si è ricreduto. E ha detto: «Lo scenografo di questa Traviata ha risolto la questione in modo intelligente, dando corpo a un interessante concetto di siparietti e di pareti mobili che minimizzano la dispersione sonora». «Traviata» è passata indenne attraverso il fuoco incrociato dei «puristi» del loggione Elena Formica, Gazetta di Parma, 22 July 2001 Interrotta la contestazione Il baritono Vitelli è felice, Sabbatini non ha sofferto il fuso orario dal Giappone Sfarfallìo di fogli, una vita che passa. Violetta, un canto, l'ultimo. Chi muore a braccia alzate? L' «eterno femminino», Traviata. «Coup de théâtre»: bravo, questo regista di cinema. E infatti sorride, Giuseppe Bertolucci, mentre si celebra il rito della foto di gruppo, a sipario abbassato. Ritratto di un cast con flash e abbracci. Poltrone rosse, sparse: i resti d'un banchetto di note. Ha il trucco sfatto, Darina Takova: è ancora più bella. «Si è placato un automatismo di contestazione - commenta Bertolucci - che per la sua stessa meccanicità appariva acritico, scontato. Ne sono felice. Che al Teatro Regio sia accaduto questo è per me motivo di soddisfazione vera, profonda». Già, un caldo applauso ha salutato gli interpreti, a fine recita. E Traviata mette in bilancio il consenso di un pubblico, quello di Parma, che mai ha cessato di trepidare, di trattenere il respiro, di battere le mani o di graffiare, come un gatto dei borghi antichi, rivoltosi. Quest'anno, col Verdi Festival, il loggione (e non solo) ha sempre rizzato il pelo, inarcato la schiena. Ha soffiato: e più d'una volta ha cacciato fuori gli artigli. Ma, dopo il Simon Boccanegra diretto da Abbado, questa Traviata è certo l'opera che più d'ogni altra è passata indenne attraverso il fuoco incrociato delle vedette abbarbicate in «piccionaia»: sensibilissime, l'orecchio teso, il mugugno come un ribollir di lava. Certo non tutto è andato liscio. Zittìi e brontolìi come da copione, una sottana che si strappa nel bel mezzo del balletto, una cornice che non scende - all'inizio del II atto - per quell'insondabile maleficio che si annida tra le pieghe di ogni spettacolo in diretta, senza rete. Ma il baritono Vittorio Vitelli è felice: questo papà Germont dalle note imprendibili, frutto dell'edizione filologica, gli è ben riuscito e i «Bravo» piovuti dal cielo sono l'agognato premio per un'interpretazione che dava parecchio filo da torcere, davvero. «Del resto - ammette il baritono ascolano - il nostro mestiere è un'avventura: ed è proprio il rischio a renderla affascinante». Il tenore Giuseppe Sabbatini non ha sofferto, come temeva, del fuso orario. S'è fatto Tokio-Parma d'un botto, ha infilato il frac e s'è messo a cantare: «Credo di aver dato ciò che mi era stato chiesto» - asserisce. Una fanciulla con gli occhi sognanti (Amami, Alfredo.!) si fa scattare una foto insieme al cantante, la tira per le lunghe. I fans scalpitano, c'è ressa per gli autografi. «Un teatro dove suonano i cellulari, incredibile!». Ha ragione il soprano Takova, che è affaticata, ma serena: «Ho lavorato bene con tutti i miei colleghi, bravissimi. Io, in coscienza, ho dato tutta me stessa». Leggi frattanto l'emozione sul volto di Monica Casadei, la coreografa: «E' la prima volta che mi cimento in un'opera lirica. E' un'esperienza forte, decisiva, sul piano artistico. Sono entusiasta». E' notte fonda. Carlo Rizzi, il direttore, ha ormai la valigia in mano. Ma è gentile, paziente. Riaccende la luce in camerino, fa segno che c'è una sedia, non mette fretta. «Suvvìa, maestro, qual è la sua Traviata: questa della filologia o quella della tradizione?" «Abbiamo ascoltato la musica che Verdi compose per la prima assoluta a Venezia - risponde - e ciò ha un senso in una città che è la terra di Verdi, che lo studia e lo celebra. A Monaco, lunedì, dirigerò la Traviata tradizionale, quella che sempre si continuerà a rappresentare. Ebbene, quando sabato prossimo ci rivedremo a Parma avrò forse risolto un mio dubbio: se il grande concertato al termine del II atto sia più bello nella versione originale o in quella consegnata alla tradizione». A Parma una Traviata rosso borghese Angelo Folletto, La Repubblica, 22 July 2001 Il design domina l'opera di Bertolucci versione anni 50 Il regista "esordiente" ha domato il loggione del Regio conquistando una buona dose d'applausi PARMA - Quell'urlo finale «O gioia!», a braccia alzate mentre un vento autunnale fa volare i fogli di musica posata sui tre leggii davanti alla morente Violetta: impossibile dimenticarlo. Era uno dei segni registici forti della Traviata di Giuseppe Bertolucci che alla fine ha domato il loggione del Regio e conquistato una legittima dose di applausi. È ancora il rosso, come nel rabbioso Rigoletto di Brockhaus a dominare lo spettacolo: non sanguigno e espressionista ma da interno borghese per questa Traviata anni 50 e definito da decine di fiammeggianti poltrone Frau che spiccano contro le scene livide di color grigio. Paolo Calcagnini ha disegnato per il primo atto uno spazio monumentale freddo, a metà tra un atrio di stazione e un lugubre altissimo loft, che nel secondo atto stacca una porzione e la eleva quasi a farne una sorta di isolaring circolare; l'idea dell'arena ritorna nel quadro della festa mentre la morte avviene in un ambiente oggettivato da un'enorme cornice posata di sbieco a inquadrare un ammasso di poltrone oramai sventrate e quasi senza colore. Immagini incise dalle luci da set cinematografico e ribadite dai costumi di Irene Monti, con qualche effetto speciale magico cui la regia di Bertolucci aggiunge una recitazione molto ritualizzata ma sostanzialmente neorealistica. La presenza della bambinaAlice e del Mago, discutibili sulle note dei famosi preludi, danno una tinta incantatoria, da commedia musicale hollywoodiana che imprimeva emozioni nuove alla memoria facendo perdonare l'infelicità delle coreografie, la banalità di un Germont inopinatamente macchiettistico o la poca tenerezza nei duetti. Dal punto di vista musicale questa ambiziosa Traviata offriva l'inedita prima ripresa della versione originale del 1853. Particolari di strumentazioni e di gestualità vocale molto interessanti: ci si sarebbe aspettata maggiore eleganza da Carlo Rizzi. Darina Takova, ammirevole per la freddezza con cui ha riscattato un errore nel delicato finale del primo atto, s'è progressivamente rinfrancata. Lo stesso, ma senza errori, è avvenuto per Giuseppe Sabbatini accorso all'ultima ora per salvare la produzione che nel terzo atto ci ha ricordato di poter essere il più raffinato e commovente Alfredo dei nostri giorni. Deludente il Germont di Vittorio Vitelli, vocalmente anonimo e musicalmente poco preciso, meno mordente del solito il coro. |
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