REVIEWS La Traviata, Arena di Verona, July 2004 |
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Giuseppe Sabbatini as Alfredo Photo: Arena di Verona Violetta nella società dell'immagine, Il Manifesto, 14 July 2004 Traviata? Un'eroina da jet set, L'Arena, 12 July 2004 Una Violetta come Lady Diana, Corriere della Sera, 13 July 2004 _______________________________________________________________ |
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Violetta nella società dell'immagine Arrigo Quattrocchi, Il Manifesto, 14 July 2004 L'Arena di Verona stravolge la sua programmazione con la visionaria «Traviata» contemporanea firmata da Graham Vick. Ma tra discoteche e casinò il testo non è mai alterato Non è certo la solita Traviata, quella andata in scena domenica sera all'Arena di Verona, di fronte a un pubblico che assiepava platea e gradinate dell'anfiteatro romano. Per il nuovo allestimento dell'opera di Giuseppe Verdi la Fondazione veronese, da sempre incline a offrire al proprio pubblico di appassionati e turisti spettacoli ipertradizionali, ha chiamato Graham Vick, regista le cui idee risultano, per gli standard areniani, davvero trasgressive. E il pubblico ha reagito, in maggioranza, con forti contestazioni e invettive, come se la Traviata, senza crinoline e merletti, fosse profanata e tradita. In realtà Vick ha firmato uno spettacolo sì in ambientazione moderna e pieno di simboli, ma rispettosissimo del testo, dei profili del personaggi e del loro contesto sociale. L'idea di partenza è quella, giustissima, per cui l'opera di Verdi mette in scena una società contemporanea, ne mostra ipocrisie e violenze morali. Trasferita ai nostri giorni, Violetta Valery è dunque una diva da cronaca rosa, che indossa parrucca bionda e abiti attillati, protagonista di feste da discoteca e accompagnata da un anziano protettore; fa la sua apparizione in cima a una bambola nuda alta una ventina di metri, simbolo della donna-oggetto e dello sfruttamento dell'immagine femminile; e scende subito sull'enorme tappeto di fiori destinati a marcire, omaggio di appassionati, su cui si svolge quasi tutta la vicenda. In questo giardino, disegnato, come i costumi, da Paul Brown, due alti cipressi si impongono con un profilo lugubre, ricordandoci la malattia che porterà alla prematura morte la protagonista. Ai lati del palcoscenico il coro di ammiratori, in abito da sera, contempla e commenta l'azione, come in una tragedia greca. Il «popoloso deserto» di cui canta dolendosi Violetta, è dunque la nostra società dell'immagine, animata dal kitsch dei costumi sgargianti, pronta a creare effimeri divi e a dimenticarli dopo averne calpestata la dignità. L'àncora di salvezza, per uscire da questo inferno, è per Violetta un giovane idealista, in treccine rasta, l'unico che le parli di sentimenti piuttosto che di sesso e di soldi, su una pista da discoteca a forma di cuore. Lo ritroviamo, nel secondo atto, in accappatoio, appena uscito da una doccia o una piscina, pronto a asciugarsi su un grande talamo collocato nel giardino, simbolo dell'amore sbocciato. Uomo assai più concreto è il padre di lui, che si presenta a Violetta con una valigetta piena di banconote, per convincerla a interrompere la relazione. La scena più efficace dello spettacolo di Vick è forse quella del terzo quadro, ambientata in un casinò stile Las Vegas, che ha come sfondo un enorme ventaglio di carte da gioco, con figure femminili scollacciate. È qui che, in un mondo che sfiora i confini del porno e della prostituzione, danzano, nelle coreografie di Ron Howell, donne senza volto e mistress in tenute fetish. Uno stuolo di paparazzi si accalca intorno a Violetta per fotografare il momento in cui viene offesa da Alfredo, che nell'ira le getta per terra la parrucca bionda. Nell'ultimo atto ritroviamo il giardino, dove incombe un'aura cimiteriale, con Violetta accasciata sotto i cipressi; Alfredo tornerà da lei ormai maturato, coi capelli tagliati. Alla fine la protagonista non precipiterà a terra, ma, ricevendo un ultimo omaggio floreale da un ammiratore, uscirà dignitosamente di scena, trapassando direttamente nell'eternità. Nello spettacolo di Vick, senz'altro uno dei più riusciti di questo regista, tutto è perfettamente coerente, senza una smagliatura, e tutto è assolutamente plausibile rispetto al testo, anche la volgarità delle scene di massa; non a caso Verdi scriveva che «Una puttana deve essere sempre puttana». E bisogna vedere con che cura recitano i protagonisti vocali, felici, sembra, di fare qualcosa di diverso. Su tutti si impone Mariella Devia, vocalmente magnifica, incisiva e profonda come interprete, e anche dotata di nervi di ferro per fronteggiare con un impeccabile mi bemolle un pubblico innervosito dalle due lunghe interruzioni per pioggia che hanno spezzato il primo atto, dilatando oltre misura la durata della serata. Giuseppe Sabbatini è un ottimo Alfredo, più concentrato nel secondo e terzo atto, e Ambrogio Maestri un Germont di voce e aspetto imponente. Il vero punto debole di questa Traviata è nella direzione di Daniele Callegari, spenta nel fraseggio, piatta nei colori, priva di incisività. Ma nello spazio areniano l'orchestra conta poco, e la pallida guida musicale non inficia nell'insieme la riuscita di questa Traviata spettacolare e acutissima. Traviata? Un'eroina da jet set Cesare Galla, L'Arena, 12 July 2004 Festival areniano. La pioggia ha disturbato la prima: dopo un paio di interruzioni però alla fine il cielo si è rasserenato Nell'allestimento di Graham Vick Violetta diventa una "starlette" Rade gocce di pioggia cadono su Violetta mentre Alfredo si appresta a intonare il suo famoso brindisi. Rade ma sufficienti perché l'esecuzione di Traviata , ieri sera al debutto in Arena, venga bloccata dal direttore Daniele Callegari, senza nemmeno che gli orchestrali abbandonino il loro posto, come in genere avviene. Rade ma non sufficienti per il pubblico sulle gradinate, pronto a esprimere rumorosamente il suo dissenso. In realtà, le condizioni meteorologiche all'inizio dello spettacolo erano ieri sera le peggiori per fare opera nell'anfiteatro romano: pioggerelle sparse e intermittenti, in grado di bloccare indefinitamente l'esecuzione o anche di spezzettarla rovinosamente. Così sembrava dovesse accadere, ma così per fortuna non è stato: portato a termine con qualche problema il primo atto, il resto è filato via liscio sotto un cielo rasserenato. Dopo la prima sospensione, dunque un tentativo di ricominciare viene fatto qualche minuto prima delle 22, frustrato sul nascere da nuove pioggerelle. Stavolta il pubblico la prende con filosofia, e molti provvedono ad arrangiarsi improvvisando il coro di "Libiamo nei lieti calici" sulle gradinate. Alle 22.10 si riprende davvero, ma c'è solo il tempo di arrivare alla conclusione del duetto fra Alfredo e Violetta. Sgocciola ancora un po', poi finalmente arriva il momento per Mariella Devia di mostrare il suo talento nel celebre finale del primo atto, con la cavatina "Sempre libera degg'io". Quindi si prosegue mentre la notte avanza, ma la necessità di stendere queste prime note permette al cronista di arrivare solo a metà della prima scena del secondo atto, prima di lasciare l'Arena . Considerazioni dunque inevitabilmente incomplete, le nostre: dopo avere assistitito alla seconda rappresentazione di giovedì prossimo, potremo offrire ai lettori una valutazione critica compiuta. Intanto, ecco alcuni flash. LA REGIA. Dato che madamigella Valery esercita il mestiere più antico del mondo, o qualcosa che molto gli assomiglia (ma con quale tratto squisito! con quale classe!), è chiaro che la sua storia potrebbe essere ambientata in qualsiasi epoca, dagli antichi egizi in poi, e ancor meglio ai giorni nostri, in cui tutto o quasi viene prostituito. È questa l'idea di Graham Vick, il celebre regista inglese che con questa Traviata (la prima della sua carriera) fa il suo ingresso in Arena. L'azione si svolge dunque oggi, e l'ambiente è quello di un jet-set viziato e corrotto, gaudente e superficiale nel quale la Traviata si muove perfettamente a suo agio. Lei è una "starlette" braccata da fotografi in cerca di scoop, intorno a lei si muove una fauna di profittatori che vivono nella superficialità di un mondo in cui apparire è tutto. Nel primo atto lo spettacolo è rutilante, sgargiante, un po' musical e un po' operetta nel taglio registico dalle forzature a volte grottesche. Una colossale bambola bionda, intorno alla quale scende una scala, domina la grande piattaforma inclinata di cui consiste la scenografia. All'inizio essa appare cosparsa di mazzi di fiori, secondo l'immagine consegnata alla storia dai media per il lutto popolare a Londra dopo la morte di Lady Diana. Poi una parte della piattaforma si solleva, a delineare un immenso cuore, al cui riparo c'è il primo duetto fra i due amanti. All'inizio del secondo atto si passa alla "soap opera" o se preferite al "reality show": Alfredo canta in accappatoio, uscito dalla doccia. Germont padre si presenta con una ventiquattr'ore piena di soldi, come nei film di gangster, e tutto il duetto con Violetta - il grande nucleo musicale drammaturgico dell'opera - si svolge vicino o sopra un letto tipo Barbie, dal colore sparato fra giallo limone e verde pisello. Il racconto, che ha una certa presa all'inizio, e una spettacolarità indubbia, sembra affievolirsi nel seguito, senza agganciare efficacemente la drammaturgia verdiana. L'ESECUZIONE MUSICALE. Il direttore Daniele Callegari propone fino al duetto del secondo atto un'esecuzione senza particolare smalto, dai tempi piuttosto allentati e dal fraseggio molto uniforme. Non c'è scatto cabalettistico, in questa linea, ma nemmeno una particolare colorazione sentimentale. Ben più intriganti le intepretazioni vocali. Mariella Devia sciorina una efficace gamma espressiva nelle dinamiche e nella linea di canto, e mostra buona tenuta nell'accidentata cabaletta del primo atto, con acuti svettanti per quanto un po' metallici. Giuseppe Sabbatini ha timbro interessante e il suo legato raggiunge una morbida e convincente espressività. Di sicura grana verdiana il canto di Ambrogio Maestri, Germont padre, con pienezza di colore e duttilità di fraseggio. Il coro, "bloccato" ai lati della scena - dopo il rumoroso ingresso dalla platea del primo atto, che certo fa effetto ma nasconde completamente la musica - ha il suo daffare per mantenere coesione e omogeneità. Una Violetta come Lady Diana Enrico Girardi, Corriere della Sera, 13 July 2004 VERONA - Traviata all'Arena, nell'edizione con la regia di Graham Vick, smonta definitivamente due luoghi comuni. Il primo è l'incompatibilità tra l'intimità borghese dell'opera e il vasto spazio scenico. Il secondo è l'impossibilità di vedere in Arena allestimenti moderni e coraggiosi, capaci cioè di non confondere la spettacolarità con la magniloquenza pletorica. Certo, si tratta di spettacolo dall'impatto radicale, ma solo chi voglia isolare questo o quel dettaglio dall'insieme, ch'è coerente e rigoroso, può trovarlo irritante. L'idea su cui si regge è che Violetta, ragazza come tante altre, viva essenzialmente del mito popolare creato attorno a lei: una diva dei nostri giorni, una Lady Diana su cui si focalizza l'attenzione morbosa dei paparazzi e dei rotocalchi. Non subisce una morte tragica. Stretta in un tubino nero o in uno sgargiante top viola, entra nel personaggio o esce malinconicamente di scena come farebbero tante brave ragazze di oggi cui toccasse in sorte la celebrità effimera. È un'icona, una bambola, un'immagine da copertina. Una che si diverte in discoteca, dove conosce un lui smidollato con treccine rasta e un pubblico che la giudica senza nulla sapere della sua vita privata. Un pubblico che la cosparge di fiori e di lettere ma la lascia terribilmente sola nel momento del bisogno. Ecco dunque in scena la grande bambola, il tappeto di fiori, gli abiti fluorescenti da discoteca, gli stripper, le danzatrici con luci stroboscopiche al posto della testa, un enorme ventaglio raffigurante celebrities naked , i paparazzi scatenati. Geniale poi l'idea che il coro non stia in scena ma ai lati di essa, ovvero al di fuori della vita. È il pubblico-giudice, in frac ma potrebbe essere in toga, che morbosamente cerca indiscrezioni, gossip e immagini da masturbazione privata salvo redigere, spietato, condanne basate sulla pubblica morale: mai vista rappresentazione più efficace delle convenzioni borghesi che condannano Violetta, la prostituta Violetta, la divina Violetta. Ed è eccezionale come Mariella Devia, Giuseppe Sabbatini (Alfredo) e Ambrogio Maestri (Germont) sappiano calarsi in tale realtà interpretativa, aggiungendo alle rispettive qualità vocali (da elogiare in particolare la prova sontuosa della Devia) una recitazione appropriata, fresca, moderna. Unico neo, la direzione di Daniele Callegari, che sembra svolgere il compitino scolastico, senza colori, senza passione. Ma si sa che in Arena è già molto fare andare insieme le masse. Pubblico diviso, come è naturale in questi casi: selve di fischi ma anche tanti applausi per lo spettacolo, che è terminato all'una e mezzo del mattino a causa di due lunghe interruzioni per pioggia. |
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