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Manon, La Scala, July 1999

Piace alla Scala la «Manon» di Massenet
Carlamaria Casanova, La Gazzetta del Sud, 15 July 1999

Oggi si presenterà ufficialmente la stagione del nuovo millennio

MILANO - Poi verranno Debussy e Ravel. Massenet li
prepara e in «Manon» se ne avvertono molte anticipazioni. «Manon» quale
punto di arrivo del romanticismo musicale francese, linguaggio
raffinatissimo e insidioso che presta il fianco a essere tacciato di
frivolezza e inconsistenza. E invece è denso, luminoso. «Manon» di
Massenet, opera subito popolarissima (nel 1919 festeggiava la millesima
rappresentazione nella sola Parigi, dove era nata nel 1884) è tornata
dopo trent'anni di assenza alla Scala, dove si presenterà oggi
ufficialmente la stagione del nuovo millennio. In Italia piace di più
«Manon Lescaut», prima opera di Puccini. È più drammatica, più
immediata, a tinte forti. E se questa edizione scaligera della «Manon»
di Massenet è tanto piaciuta sta proprio nel ritmo ardente che le hanno
dato gli interpreti. Scellerata come poche, Manon è una donnina la cui
vacua inconsistenza, che non ha nemmeno il conforto di una nera
malvagità, è solo irritante. Per lei nessuna simpatia, nessuna pietà. E
poca anche per Des Grieux, uno sprovveduto che par nato per incappare in
simili devastanti amori. Ma il teatro, a differenza della vita, ha un
mezzo per ribaltare le situazioni più vili e catturare consensi e
applausi. È l'interpretazione. Il più negativo dei personaggi può
suscitare deliri e strappare lacrime. La coppia Cristina Galardo Domas
(Manon) e Giuseppe Sabbatini (Des Grieux) alla Scala ha galvanizzato la
sala in un crescendo di inarrestabile tensione. La Gallardo, soprano
cileno già noto al pubblico italiano per fortunate apparizioni, anche se
più appassionata che civetta, ha stravinto nella celeberrima aria della
seduzione. La voce è sicura, grande e sana nelle emissioni più ardite,
ma anche capace di ineffabili alleggerimenti. Convince il personaggio
mentre traccia con sapienza l'evoluzione dalla ingenua ragazza di
campagna alla cortigiana parigina. Giuseppe Sabbatini è un indiscusso
maestro del belcanto. Con una voce dura e di poco fascino riesce a
ottenere raffinatezze ineguagliate nei piani e semipiani. Sfuma,
ammorbidisce, lega. Autorevole il volume nel canto spiegato. La sua
recitazione, come quella della Gallardo, è più incline al verismo che al
mondano «savoir faire» francese. Atteggiamento invece magistralmente
posseduto dal quartetto maschile «di fianco»: Gino Quilico, scanzonato
Lescaut; Alain Vernhes, nobilissimo Des Grieux padre; Frank Ferrari,
sornione Brétigny; Charls Burles, vendicativo Guillot. L'orchestra è
condotta con puntualità metronometica da Gary Bertini. In scena c'è
esattamente quello che il grande pubblico richiede: ricostruzione
realistica degli ambienti (Parigi sullo sfondo, costumi settecenteschi
con i colori di Chardin). Ma nel suo insieme l'allestimento, seppur
inappuntabile e gestito con gusto (regia di Nicolas Joel, scene Enzo
Frigerio, costumi Franca Squarciapino, luci Vinicio Cheli), ci è
risultato stucchevole, ovvero un po' noioso (mal gestite le luci).
L'opera è data in francese, con i cinque atti raggruppati in tre parti.
Grandissimo il successo.

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