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REVIEWS Luisa Miller, Teatro La Fenice, Venice, May 2006 |
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Giuseppe Sabbatini as Rodolfo in Luisa Miller, Venice, 2006 Photo by Michele Crosera Un Verdi sperimentale alla Fenice, Il Gazzettino, 21 May 2006 Luisa abbandonata a se stessa, Non Solo Cinema, 25 May 2006 [excerpt] Luisa Miller e la sublimazione degli inganni, Gli Amici della Musica, 31 May 2006 [excerpt] Une partition trop négligée, Res Musica, 14 June 2006 [excerpt] ______________________________________________________________ |
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Un Verdi sperimentale alla Fenice Mario Messinis, Il Gazzettino, 21 May 2006 Il nostro più noto critico musicale verdiano, Massimo Mila, amava le battute di spirito, specie nei confronti di coloro (leggi Fedele D'Amico, l'amico sempre contraddetto) che tendevano a rivalutare le opere dei cosiddetti «Anni di galera». La sigla proposta, se ben ricordo, era "OROVA", "Operazione per il recupero di opere di Verdi avariate". Ci sarebbe prima di tutto da precisare che l'espressione «Anni di galera» era stata coniata dallo stesso Verdi per alludere al ritmo affannoso del suo comporre nel quindicennio tra "I due Foscari" e "Un Ballo in maschera", ma non certo ad uno scadimento dell'invenzione creativa. E invece l'etichetta usuratissima fu attribuita in genere ad un periodo più breve, 1844-1850, del Verdi giovane, anteriore alla celebrata trilogia romantica. In realtà questi furono anni di approfondimento durante i quali Verdi attingeva a tutti i lessici del tempo per correggerli, reinventarli in una pervicace coesistenza di antico e di moderno.In alcuni casi si trattò di un laboratorio musicale e teatrale formidabile. È quanto accadde nella "Battaglia di Legnano", nella "Luisa Miller" e nello "Stiffelio", scritti tra il 1848 e il 1850, quindi a ridosso di "Rigoletto", "Traviata" e "Trovatore". Non so se "Luisa Miller" sia «una delle maggiori opere di Verdi» come sostiene Michel Girardi, curatore per la Fenice di un eccellente volume musicologico, ma certamente è un testo molto importante, soprattutto sul piano della ricerca linguistica che dovrebbe rientrare normalmente in repertorio (a Venezia mancava da oltre quarant'anni!). Naturalmente quest'opera non ha la perfezione strutturale del "Trovatore" o del "Un Ballo in maschera", ma presenta molteplici direzioni di linguaggio (la capacità di bruciare residui belliniani, donizettiani e persino rossiniani), per orientarle da un lato verso un arioso drammatico di stringente pienezza e dall'altro verso una intensificazione del cantabile, dall'iperbole ansiosa allo struggimento intimistico. "Luisa Miller" è, tra le opere verdiane, quella che esalta maggiormente le possibilità musicali e teatrali di duetti «sfasciati»: arie, romanze, cabalette, si innestano in organismi complessi e flessibili con sottigliezze psicologiche (sorrette dalla onnipotenza dell'orchestrazione: si pensi alla mirabile Sinfonia), vischiosità notturne, elegie lunari, torbidi intrighi, estatici languori: un cosmo variegatissimo che osserva non tanto la legge della continuità e della coerenza, quanto i rapsodici umori della passione, secondo i battiti intermittenti del cuore.Il libretto di Salvadore Cammarano, desunto da "Amore e raggiro" di Schiller, riduce l'originale ad una tragedia romantica di amore e morte, ridimensionando gli aspetti politici e di conflitto di classe del dramma tedesco. E qui si pone un primo interrogativo: "Luisa Miller" di Verdi è un dramma borghese realistico in senso schilleriano? Credo persista in quest'opera anche una componente fortemente melodrammatica: ne esce quasi un incrocio tra la drammaturgia realistica della "Traviata" e la ballata favolistica del "Trovatore", riscontrabile rispettivamente nei personaggi di Luisa e di Rodolfo, i futuri archetipi di Violetta e di Manrico.Ora il regista francese Arnaud Bernard, in un allestimento olandese del 2004, riabilita gli aspetti politici di Schiller, quasi ignorati da Verdi, e interpreta l'opera in chiave novecentesca e littoria, ispirandosi, per sua stessa dichiarazione a «Novecento» di Bernardo Bertolucci. È vero che questo film ha riflessi viscontiani, e presenta inflessioni melodrammatiche memori di Verdi, ma l'acre impaginazione naturalistica, con modalità attoriali di aggressiva e ridondante esuberanza (per esempio il bieco personaggio di Wurm, sinistro e introverso) ricalcava invece l'altra sera la retorica figura di Attila di «Novecento», che nuociono alla drammaturgia verdiana, carica di risvolti intimistici. Per non dire dei troppo ovvii riferimenti ai climi fascisti degli Anni Trenta, evidenziati dai costumi di Carla Ricotti e alla sostanziale estraneità al melodramma romantico. La bella scena fissa costruttivistica di Alessandro Camera, abilmente sfruttata negli effetti scenici e luministici, delimita il palcoscenico e contribuisce a semplificare il racconto. Ho qualche dubbio però sull'efficacia delle gigantografie femminili dei pannelli centrali, di discutibile gusto figurativo, per diversificare i vari momenti scenici.La direzione musicale è notevole, anche se impostata su una costante rovente passionalità, che attenua le memorie donizettiane, pur presenti nella «Luisa Miller». Maurizio Benini è un interprete schiettamente verdiano (soprattutto del Verdi della piena maturità), rapinoso e incalzante nei tagli drammatici e nelle cabalette. Il corpo sonoro sovrasta talora il palcoscenico (peraltro ferreamente coordinato) e l'orchestra, nelle sue accensioni, appare autorevole). Nella compagnia emerge la memorabile Luisa di Darina Takova, uscita dalla officina rossiniana del Festival di Pesaro. Il soprano bulgaro si muove appunto, in questo Verdi, da premesse belcantistiche per poi approfondire tutte le tentazioni del melodramma di metà Ottocento, dalla mobilissima recitazione, all'agilità di forza, al canto spianato: un miracolo di stile. Il celeberrimo Giuseppe Sabbatini interpreta la figura prevalentemente lirica di Rodolfo, tra Ernani e Manrico, con una eccessiva asciuttezza nella parola scenica, ma domina il personaggio portentoso con una esaltazione patetica molto teatrale ed emozionata. I tre bassi possiedono una bella vocalità, ma tendono per lo più ad approfondire il discorso in senso verista piuttosto che ottocentesco. Così il pur dotato Arutyun Kotchinian sente l'insinuante malvagità di Wurm con retorica declamatoria; il baritono Damiano Salerno, Miller, oscilla tra aggressività stentoree e suggestivi, intimi lirismi; il basso Aleksander Vinogradov è un Conte di nobile, donizettiana, compostezza. Il contralto Ursula Ferri, Federica, si impone per le compiaciute levigatezze rossiniane presenti nel suo ruolo. Molto omogeneo il coro diretto da Emanuela Di Pietro. Apprezzamento del folto pubblico presente. Luisa abbandonata a se stessa Sebastiano Bollato, Non Solo Cinema, 25 May 2006 [excerpt] [...] Darina Takova, Luisa, seppur non dotata di una voce verdiana, e nemmeno di un canto elegiaco-patetico, che potrebbe sposarsi bene a Luisa, sa assecondare con garbo i tempi serratissimi di Benini. Una sorpesa il Miller di Damiano Salerno, che, pur avendo un timbro chiaro per inscenare un uomo maturo sa rendere il suo personaggio mai preda di fragilità emotive o di accorati pietismi. Morbida linea di canto con però talvolta qualche accenno di vibrato. Giuseppe Sabbatini rende eroicamente la figura di Rodolfo, a volte eccessivamente, risultando così il canto sforzato più che giocato sul fiato. Di stampo e di pronuncia russa il conte di Walter di Alexander Vinogradov, mentre il Wurm di Arutjun Kotchinian risulta troppo caricato registicamente sul piano della cattiveria e tuttavia non è caratterizzato in questo senso da un adeguato peso vocale. La concertazione di Maurizio Benini è tesa e nervosa ma incostante, anche se la scelta di ritmi serrati può risultare vincente in alcuni momenti, ma talvolta si può notare una certa pesantezza di accompagnamento. Puntuale il coro. Ovazioni per Sabbatini e la Takova a fine spettacolo.[...] Luisa Miller e la sublimazione degli inganni Laura Segré, Gli Amici della Musica, 31 May 2006 [excerpt] [...] Ed ora i cantati, veri mattatori del palcoscenico: il basso Alexander Vogradov ha dato al Conte di Walter tutta la forza che spettava ad un personaggio così ostico coinvolto dagli inganni. Damiano Salerno con voce espressiva ha ben rivestito i panni di Miller. Arutjun Kotchinian è stato davvero possente nell'interpretazione del "nero" Wurm. Ursula Ferri, quale Federica, è stata ben consapevole del suo ruolo, diviso tra amore e delusione, eccellente il suo timbro. E passiamo ai due protagonisti: Darina Takova ha rivelato la sensibilità di Luisa nei momenti più contrastanti, e sempre anche quando doveva negarlo - faceva percepire il suo intramontabile amore per Rodolfo, timbro chiaro, dolce o cupo, a seconda di come richiede la partitura. Giuseppe Sabbatini ci ha reso un Rodolfo di grande respiro con acuti sicurissimi ed intensa partecipazione emotiva. Un lode merita anche Emanuela Di Pietro, che ha ben istruito e guidato il coro sia nel canto che nei movimenti scenici. Il pubblico, al termine della rappresentazione, ha tributato a tutti applausi convinti e calorosi. [...] Une partition trop négligée Virginie Palu, Res Musica, 14 June 2006 [excerpt] [...] Du côté des hommes, aucune réserve de cette nature, Damiano Salerno (Miller) ayant su faire valoir sa voix magnifique à mi-chemin entre puissance expressive et souplesse lyrique dans toutes ses interventions, cependant que l'évident charisme d'Alexander Vinogradov voix profonde, allure seigneuriale irradiait dès sa première apparition. Arutjun Kotchinian (Wurm) donnait pour sa part à voir, et à entendre, une canaille admirable, d'une rare complexité psychologique; son physique de ministre, sa componction d'évêque, sa rigueur de colonel et sa séduction d'escroc en auraient fait le héros de la soirée sans la performance de Giuseppe Sabbatini, l'une de ces voix exceptionnelles que l'Italie sait régulièrement offrir aux publics du monde entier; admirable chanteur, tragédien de premier ordre, le vaillant héros soulevait l'enthousiasme de la salle, le nôtre, et certainement celui de beaucoup de publics à venir. [...] |
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