INTERVIEW: Il significato della parola nel canto MediaSet, April 2001 Giuseppe Sabbatini, tra le altre cose, vanta un invidiabile primato: essere presente nel cartellone del Teatro alla Scala per più di un'opera in una stagione. Prima di lui solo un altro tenore, il grande Giuseppe Di Stefano, era in cartellone con la stessa assiduità..... «Penso che sia perché assicuro una media di rendimento, rendimento artistico naturalmente; altrimenti non mi darebbero modo di essere nel cast di quattro opere nell'arco di una sola stagione.... Scherzi a parte, è per me una grande gioia essere in questo grande Teatro dove tutto fa capire che devi dare il massimo, e non soltanto per l' importanza del palcoscenico in cui ci troviamo ma anche perché data la particolarità acustica della sala, spesso noi artisti ci troviamo ad assumere posizioni strategiche affinché la nostra voce arrivi perfetta al pubblico (il cosiddetto "punto Callas": l'angolo giusto del palcoscenico dove il suono viene ben proiettato verso la sala). Questo vuol dire che un ruolo che hai già cantato in un altro teatro, nel momento in cui lo canti alla Scala va rivisto totalmente.» Anche perché la lettura che il maestro Muti va ad affrontare di quel personaggio è senz'altro diversa. Per esempio, il suo Alfredo Germont visto in altri Teatri, qui alla Scala è sembrato più maturo, più ricco di sfumature.... «Sicuramente ci sono richieste diverse da un maestro rispetto ad un altro, oltre, ovviamente, alla maturazione vocale che un artista ha naturalmente nel corso degli anni. Il momento artistico è sempre un momento unico, irripetibile; il taglio è quello, l'idea è quella dettata dal maestro concertatore, però all'interno di quel taglio o di quella idea, anche con lo stesso direttore si scoprono sempre nuove possibilità, nuovi colori orchestrali, nuove sfumature, sottolineature a cui ci si avvicina insieme. Con il maestro Muti da questo punto di vista, ho un rapporto musicale molto intenso, poiché nella sua rigorosità ha una'idea dalla quale non si esce; però esiste comunque la possibilità di trovare dei momenti nuovi nonostante io abbia interpretato quel ruolo centinaia di volte. Una frase più legata o che viene detta in un certo modo, l'esigenza della scena, la disponibilità del maestro allo sguardo, perché ormai è un discorso di testa e non più vocale». Tanto per fare un esempio la bella pagina di «Parigi o cara» è risultata molto più dolce e melodica del solito.... «Certo, è scritto sullo spartito, tre p, mezza voce, dolcissimo. Questo vuol dire che non abbiamo inventato nulla, ma invece di farlo come al solito un po' forte si è trovato una concettualità diversa nel dare significato alla parola e, per quanto mi riguarda, cerco sempre di sviluppare molto questo concetto nelle mie interpretazioni. Il discorso interpretativo con il maestro Muti si sta sviluppando su questa strada e i risultati da me ottenuti non solo per quest'ultima "Traviata" ma anche con "Rigoletto" e "Don Giovanni" di qualche anno fa, fanno pensare che siamo sulla strada giusta». Arriviamo al presente e al suo Nemorino donizettiano «Personaggio che debutto alla Scala, ho già cantato "L'elisir d'amore" altrove, ma questa è la prima volta che affronto il ruolo donizettiano a Milano. E' mia abitudine ogni volta che affronto un personaggio andare a cercare e scavare sia all'interno della partitura che del libretto le varie sfaccettature del ruolo per darne un proprio taglio. Nemorino, tra l'altro, è stato interpretato in tanti modi, una sorta di stupidotto. Penso che non sia stupido ma semplice, umile, ma puro e innocente, una sorta di Forrest Gump; con questa semplicità vive l'amore nei confronti di Adina. Non viene mai preso in considerazione dai suoi compaesani, vive in una sorta di isolamento e di conseguenza, come tutte le persone isolate che hanno bisogno di esprimere qualcosa, parla un po' da solo ma non per questo è da considerare uno stupido. Io vedo Nemorino con dei suoi contenuti psicologici; anche scenicamente possiede una certa dinamica nel raggiungimento del suo sogno verso l'amore per Adina, con slanci malinconici e di estrema purezza». Semplicità e purezza che troviamo anche nell'allestimento curato da Tullio Pericoli. «Le scene di questo spettacolo sono molto belle e poetiche e penso che si prestino alla mia idea del personaggio di Nemorino. Con questi costumi variopinti e divertenti, poi, l'idea della favola qui è resa in modo spettacolare e perfetta. Per quanto riguarda le caratteristiche tecniche delle scene, sono stati effettuati degli accorgimenti che ci permetteranno di cantare cercando di ovviare ai problemi acustici cui si accennava prima». Le sue frequentazioni con il repertorio italiano non la distolgono un po ' da quello francese, che lei predilige? «Amo moltissimo tutto il repertorio francese e mi piace anche interpretare Donizetti o Verdi, quest'ultimo con molta cautela, e poi il belcanto; siamo comunque al cinquanta per cento per l'uno e per l'altro. Certo l'opera francese implica un discorso strutturale diverso, è un fatto di musicalità, di colore, di legato molto adatti alla mia vocalità, a livello armonico e dinamico». (c) MediaSet |
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