REVIEWS Lucia di Lammermoor, Catania, May 2002 Il virtuosismo di Mariella Devia incanta a Catania Gazzetta del Sud La Devia, splendida Lucia, surclassa tutti gli altri Giornale di Sicilia Ovazioni per il soprano e applausi per tutti La Sicilia Gran Edgardo para una buena Lucia, Operayre __________________________________________________________ |
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Il virtuosismo di Mariella Devia incanta a Catania Michele La Spina, Gazzetta del Sud, 9 May 2002 Applausi al soprano e al tenore Sabbatini in «Lucia di Lammermoor» CATANIA - Dopo ben quindici anni di assenza, «Lucia di Lammermoor», l'opera capolavoro di Gaetano Donizetti, martedì scorso è ritornata sul palcoscenico del Teatro Massimo Bellini. Ed è riapparsa nel migliore dei modi, sfoggiando due protagonisti di gran valore come Mariella Devia e Giuseppe Sabbatini, nonché un altro artista assai notevole come Michele Pertusi, uno dei bassi più ammirati del nostro tempo. Il pubblico ha gradito moltissimo lo spettacolo, anche perché la parte visiva non era da meno della linea di canto, con la regia di Giuseppe Giuliano, senza orpelli e complicazioni semantiche, senza dannose trasposizioni d'epoca e con l'utilizzazione di scene semplici ed efficaci (firmate da Graziano Gregori), messe lì a dimostrare che, quando certe cose si affrontano con le dovute cure, anche le soluzioni meno complicate danno risultati eccellenti. Così, a Gregori sono bastati pochi elementi per ottenere effetti di assoluto rilievo, pari a quelli dei costumi, firmati da lui stesso e concretizzati in mise raffinate quanto austere. C'era, insomma, di che guardare e ascoltare, assistendo a questa edizione della «Lucia» allestita dal Teatro Massimo Bellini, tanto da compensare tutti questi anni di silenzio, nei quali gli affezionati fans hanno, in verità, un po' sofferto per la sua mancata immissione nei cartelloni stagionali catanesi. Con sintomi di eccellenza, manifestatisi appena aperto il sipario, allorché la nebbia e un paesaggio brumoso hanno annunciato l'inizio della fosca vicenda, giunta al culmine con il celebre episodio della pazzia, al quale Mariella Devia ha dato la deliziosa essenza del suo canto, espressa da un virtuosismo non stancante per gli spettatori - né lezioso, ma vivace quanto icastico, al pari della grintosa vocalità offerta da Sabbatini, tenore del temperamento straordinario. Con loro, come si diceva, a completare il tris d'assi, un basso del calibro di Pertusi, dalla figura e dalla voce imponenti, relegato però nel ruolo del precettore Raimondo, che non è certamente personaggio primario. E non si può dimenticare Stefano Antonucci, che era Edgardo, artefice di una prestazione più che positiva anche se qualche imperfezione stilistica ha lievemente intaccato il suo pur considerevole rendimento. Solo rose e fiori, poi, per il caro istruito da Tiziana Carlini; mentre niente di particolare, né in positivo né in negativo, per gli altri interpreti: da Cristiano Cremonini (Lord Arturo), non aiutato dall'abnorme figura scenica, e Piera Puglisi (Alisa) e Gianluca Flores (Normanno). Intuibile l'entusiasmo del pubblico, apparso dominato dalla sete di ascoltare musica e voci di gran valore. E scontata, per la scena della pazzia, l'interminabile ovazione con richieste di bis (pressanti quanto del tutto vane), come processo liberatorio di stati d'animo profondamente contrariati da proposte non di rado lontane dai canoni delle sane tradizioni e da vocalità ineccepibili (o quasi). La Devia, splendida Lucia, surclassa tutti gli altri Aldo Mattina, Giornale di Sicilia, 9 May 2002 CATANIA. (am) Si ha un bel dire che il melodramma odierno debba essere affidato alla concertazione e, magari, alla revisione del direttore d'orchestra, sia pure per discernere tra filologia e prassi esecutiva. Poi giunge un titolo del grande repertorio ottocentesco e, come per incanto, tutte le belle intenzioni devono cedere il passo alle grandi voci (se ci sono). Non fa eccezione "Lucia di Lammermoor", capolavoro assoluto di Gaetano Donizetti, andato in scena al Massimo Bellini di Catania e previsto, in replica, fino al 19 maggio. Il direttore, il giovane Daniele Callegari, ha fatto delle scelte: ha alleggerito l'organico orchestrale mutandone la disposizione, ha adottato i "tagli" d'uso in luogo di certe propensioni per un integrale filologico (peraltro piuttosto complesso nel caso di "Lucia", ma perch, rinunciare alla splendida "scena della torre" fra Edgardo ed Enrico?), ritagliando tempi a volte abbastanza personali rivolti più verso una dilatata ricerca elegiaca piuttosto che esaltando un'opulenza segnatamente iper-romantica. Ma tant'è! Alla fine sulla scena ha primeggiato la personalità prorompente di Mariella Devia. Una "Lucia" che ha campeggiato sopra tutti gli altri polarizzando l'attenzione fin dal suo primo apparire e suscitando poi, nella celeberrima "scena della pazzia" veri entusiasmi (in "duetto" con lo splendido flauto di Salvatore Vella). Purissimo fraseggio, legati di splendido nitore fino ad ottenere trasognati toni elegiaci, intonazione ai limiti della perfezione, estrema facilità nel passaggio di registro fino alle note più estreme, abbellimenti espressivi con trilli e puntature mai fini a se stesse; la vera primadonna che "interpreta" il personaggio senza mai scadere nel virtuosismo ornamentale, pur padroneggiando una tecnica impeccabile. Perfino Giuseppe Sabbatini, che non è certo l'ultimo arrivato, è rimasto soverchiato dalla prestazione della Devia, con la quale, in ogni caso, costituisce una delle più belle coppie del melodramma romantico; indimenticabile, per esempio, rimane il duetto finale del primo atto, "Verranno a te sull'aure", tratteggiato su un tono malinconico intonato su vellutate mezzevoci. Dopo la Devia e Sabbatini restava ben poco spazio per gli altri, compreso il pur notevole Raimondo di Michele Pertusi ed un Enrico di Stefano Antonucci improntato più a buona volontà che a dovizia di risultati. Cristiano Cremonini, Piera Puglisi e Gianluca Floris, invece, non c'erano proprio. Le scene ideate da Graziano Gregori erano assai parche e si limitavano a suggerire fondali di gusto oleograficamente romantico e crepuscolare, ravvivate da costumi vagamente opulenti. La regia di Giuseppe Giuliano si muoveva con discrezione concentrando la propria attenzione su Lucia, attorniata da una certa staticità delle masse; sulla stessa linea pure i brevi movimenti coreutici di Salvo Di Mauro. Preciso l'intervento del coro diretto da Tiziana Carlini e abbastanza concentrata la prestazione della compagine orchestrale. Ovazioni per il soprano e applausi per tutti: edizione memorabile di Lucia di Lammermoor Sergio Sciacca, La Sicilia, 9 May 2002 CATANIA - Prolungati applausi, a scena aperta a conclusione delle arie e a conclusione dell'opera: a Mariella Devìa il pubblico catanese, per la prima della Lucia di Lammermoor ha tributato il calore entusiastico delle stagioni memorabili acclamandone il nome. Entusiasmo pienamente meritato. La voce del soprano ha levigato la tragica storia dell'eroina romantica con la lucentezza del marmo neoclassico, arricchendola di quei chiaroscuri propri delle passioni profonde che esaltano l'artista. Un ricamo di gorgheggi su un tessuto di psicologia intensamente vissuta. Cantante e attrice stupenda, che ha toccato l'acme nello struggente finale («Il dolce suono mi colpì di sua voce...») dove il canto giunge al vertice della commozione, sublime come il lamento della manzoniana Ermengarda, in una raffinatissima gara con il flauto che ne accompagna le punte. Vibrante scena che segna il diapason di una interpretazione superlativa. Accanto alla protagonista il tenore Giuseppe Sabbatini ha interpretato il ruolo di Edgardo con forte partecipazione e robusti mezzi espressivi, giunti a magnifici risultati melici nello struggente epilogo («Tombe degli avi miei») in cui l'eroismo drammatico si arricchisce di contorni sonori forti e risaltanti con una lucidità di emissione di grande valore. Lo smalto scintillante della voce della Devia risalta con sgargianti effetti nel duetto tra gli amanti segreti («Verranno a te sull'aure»). E così il concertato conclusivo del primo atto in cui la potente vocalità del soprano vola sui robusti slanci del tenore e sull'impasto melodico delle tonalità gravi. Sono i tratti salienti di una edizione pienamente riuscita. In primo luogo la direzione orchestrale, affidata a Daniele Callegari che ha condotto il complesso strumentale con morbide sottolineature degli effetti particolarmente evidenti nei preludi ai singoli quadri; la delicata introduzione della seconda parte, preparazione trepidante al contratto nuziale; le gioiose cerimonie che segnano le feste per il ferale matrimonio sono altrettanti momenti di creazione ricca di spunti melodici pur nel silenzio delle voci. La creazione spettacolare, proprio su questo aspetto, ha puntato agli effetti più aggraziati e compositi. Se Salvatore Cammarano aveva collocato fuori di scena il risuonare di liete danze, il regista Giuliano questi movimenti coreografici li ha resi evidenti, affidandone il disegno al coreografo Di Mauro che qui ha proposto le leggiadre movenze di rinascimentali carole (l'azione si svolge nella Scozia del '500). I gentili intrecci, in candide vesti, fanno da rilevante contrasto con il torbido sviluppo dell'azione su cui tra poco irromperà l'insanguinata figura della sposa assassina. Un chiaroscuro pittorico di simbolico senso. Così la metafora visiva si addensa nella prospettiva dell'immaginario castello di Ravenswood (il bosco dei corvi) reso ancora più suggestivo di ricordi per la presenza di un abbozzo statuario dell'Amore e Psiche del Canova e da sparsi mozziconi di colonne corinzie. Certo i fieri signori gaelici non si dilettavano di umanistiche rimembranze: ma l'opera è stata musicata in Italia in una stagione che ancora ricordava con entusiasmo le creazioni neoclassiche e che ne era tutta imbevuta: le suggestioni gotiche dell'ossianesimo celtico vengono trasferite nei candori classici di un romanticismo mediterraneo ispirato al Foscolo. La scena è allusiva e non soltanto descrittiva: Graziano Gregori che la firma ha mirato ad elementi essenziali, lasciando all'immaginazione di supplire il resto: un cielo alla Blake (1757-1827) avverte della temperie culturale iniziale, tra nebbie ostili e un imponente masso che sa di tradizioni ogamiche senza pretendere di riprodurle. Poi una scrivania e costumi da Rinascimento indicano l'immaginario della fantasia italiana che si appropria dei classici scozzesi. Rimane senza una chiara spiegazione l'immenso panneggio con aquila imperiale che adorna la scena del castello, ma l'effetto coloristico è notevole. In un quadro così raffinato si collocano le prestazioni complessivamente ragguardevoli degli altri interpreti: il baritono Stefano Antonucci nelle vesti di Enrico ha riscosso calorosi applausi a conclusione del primo quadro. Buone le risonanze del basso Michele Pertusi nel ruolo di Raimondo di cui ha reso le tempra con forza vivamente applaudita nel duetto («Cedi, o cedi...»). Limpida la voce tenorile di Gianluca Floris (Normanno) che pur senza particolari slanci si fa apprezzare nell'iniziale narrazione («Ella sen gìa colà...»). Al contrario si avverte l'impaccio del tenore Cristiano Cremonini. Il cast è completato da Piera Puglisi nel ruolo di Alisa. Come sempre vigoroso e perfetto nei tempi il coro di Tiziana Carlini. Un plauso particolare dopo che il maestro lo ha invitato sulla scena, al flautista Salvatore Vella. Gran Edgardo para una buena Lucia Jorge Binaghi, Operayre, May 2002 (Teatro Massimo Bellini, Catania, 9 de mayo de 2002) El bellísimo teatro que ha sobrevivido a guerras abre sus puertas a la reposición de la obra más popular del principal rival del ilustre conciudadano cuyo nombre lleva y cuya presencia es bien visible aún en la ciudad, aunque circulen por ella multitudes de alpinos. El público es numeroso pero no están agotadas las localidades; se me explica que algunos abonados no van por diversos motivos. En la sala oigo otros comentarios. Los que abundan son del tipo "menos mal que tenemos por primera vez en la temporada estas voces". ¿Qué justifica en efecto, a estas alturas, una nueva puesta de LUCIA, en su versión original italiana? Una lectura completa (tampoco la hemos tenido esta vez; se suprimió la fundamental escena de la torre, y calculo que si se abrió el corte de la escena Raimundo-Lucia del segundo acto se debió al hecho de contar con un bajo de categoría, lo cual está bien, pero no debería ser utilizado como criterio estético. De lo contrario, hoy habría que cortar mucho más las óperas que antes). Pero sobre todo, una gran labor de sus protagonistas. Y es en este aspecto en el que el teatro justificó casi por completo la elección del título. Lamentablemente, la nueva puesta de Giuseppe Giuliano con decorados feos y vestuario discreto de Graziano Gregori, podría haber sido fácilmente de hace cuarenta o cincuenta años. No me disgusta lo tradicional, pero sí lo convencional, los artistas librados a su arbitrio (Arturo habrá sido bisoño, pero se lo hubiera podido ayudar a moverse un poco), los coros inmóviles. La orquesta del teatro no estuvo especialmente brillante, pero tal vez ello sea responsabilidad de Daniele Callegari, de tiempos ahora lentos en exceso y sonoridades más propias del TROVATORE, pero sobre todo de fraseo impersonal. Corramos un velo sobre la labor de los comprimarios, que tienen sin embargo su importancia como se comprobó "a contrario" una vez más aquí. El coro estuvo estupendo bajo la dirección de su titular, Tiziana Carlini. Se tiene tendencia a pensar en soprano y tenor para Lucia, pero los titulares son cuatro. Y el barítono viene inmediatamente después. Stefano Antonucci es un buen cantante, muy musical, pero el volumen y el peso de centro y grave son insuficientes, lo obligan a forzar y se produce el accidente en el ataque de la sección final del gran dúo del segundo acto "Se tradirmi tu potrai". Sería lamentable que una desdichada elección de roles lo transforme en otro Paolo Coni, de breve trayectoria y lamentable decadencia.Si Raimondo se escucha más que Enrico, algo no funciona, y no se trata precisamente de Michele Pertusi, probablemente el mejor intérprete actual de la parte, aunque su registro es más de bajobarítono que de bajo cantante. Pero en todo fue irreprochable: canto, escena, recitativos. Y llegamos a la pareja protagonista. Mirella Devia es desde hace tiempo la mejor Lucia italiana. Personalmente la escuché hace 10 años en París en el mismo papel y las diferencias son casi inexistentes. Si esto habla claramente a favor de su técnica y su escuela de canto, que establece un abismo entre ella y otras cantantes peninsulares más jóvenes, y la pone en el nivel más alto de las intérpretes internacionales, también deja establecidos sus límites: se trata de una respetabilísima vocalista, honesta y seria, pero no de una gran intérprete. No hay nada que no sea previsible o cuidadosamente estudiado en sus mejores personificaciones y personalmente encuentro que sus trinos son cada vez más escasos. Pero esto es tal vez buscar una justificación al hecho de que su heroína puede llegar a encandilar, pero difícilmente conmueva (a otro nivel, lo mismo ocurría con Sills en el Colón, aunque la pirotecnia era más espectacular). Ocurre, sin embargo, que su Edgardo es prácticamente ideal. Si Giuseppe Sabbatini tuviera una voz bella, sería inalcanzable. Es un tenor algo oscuro, de una proyección, emisión, dominio del fiato y del legato verdaderamente increíbles, conocedor del estilo del belcanto, dueño de un fraseo soberbio, una figura ideal y un dominio escénico notable. Existen cantantes con timbre más seductor, pero ninguno de ellos llega al nivel de este romano que se convierte en el único capaz de admitir -con otra visión del personaje y con un repertorio sólo parcialmente común- la comparación con Kraus. |
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