INTERVIEW: Un certo tenore di vita Carlo Boschi, GRTV, 5 February 1998 E' romano, mefistofelico nello sguardo naturalmente "operistico", spontaneo e sanguigno. Giuseppe Sabbatini è ormai cittadino del mondo per elezione, diviso fra gli impegni ad Amsterdam, Tokyo, Chicago, Vienna, Londra, Milano o New York. Il suo carnet di impegni è disponibile solo dopo il 2001. La stampa internazionale e i più grandi direttori d'orchestra riconoscono il suo timbro di tenore come un vero miracolo, la voce del nuovo millennio: la pastosità di Di Stefano, la facilità di Pavarotti, la tecnica di Kraus. Da questa miscela scaturisce il grandissimo successo di Giuseppe Sabbatini. Lo abbiamo incontrato nella sua bella casa vicino Roma, in una delle sue rare pause, seduto accanto al figlioletto Jacopo. Maestro, che effetto fa, all'estero, essere un italiano celebre come lei? Noi cantanti lirici siamo dei veri ambasciatori dell'Italia all'estero. Si spalancano per noi tutte le porte, siamo ovunque accolti a braccia aperte: la musica è veramente un passaporto universale. Il cantante italiano poi incarna un mito che si tramanda uguale a se stesso da centinaia di anni in tutto il mondo. Qualche volta si creano divertenti incomprensioni per la lingua: in Giappone, ad esempio, non è sempre facile farmi capire. Comunque una legge eterna vuole che la celebrità porti cortesia. Quindi, più cresce la fama di un cantante, più gli altri sono disposti a favorirlo in ogni esigenza. All'inizio della mia carriera, nelle prime tournées all'estero, ho sentito veramente cosa fosse la solitudine, essere "fuori dal giro". Ma al di là di questo, spero che cresca sempre più la tolleranza fra tutte le persone, che si ripristino in ogni Paese quelle antiche leggi di ospitalità tanto celebrate nei tempi antichi. Esistono comunità italiane all'estero a cui fare riferimento? Sì, ci sono. Alcuni colleghi vi si appoggiano costantemente. Io sono più schivo, e le frequento solo quando sono invitato. Preferisco gettarmi nell'ambiente dei ristoranti italiani all'estero. Li trovi anche nelle cittadine più sperdute e, quando entri, si apre un mondo quasi di favola, un sapore di casa, una comunità vera e propria che si riunisce attorno ad una tavola imbandita. Secondo lei, la lirica è meglio organizzata in Italia o all'estero? Il problema, ovunque, è sostanzialmente economico. Certo conta anche la tradizione. Ma ad esempio, Vienna è una città che coniuga perfettamente questi due elementi: lì la produzione è stratosferica. Capita di poter scegliere fra sei o sette spettacoli di ottimo livello proposti nella stessa serata. Non c'è eguale in nessun'altra parte del mondo. E gli Stati Uniti ? Gli Stati Uniti vivono molto dello star-system: se hai un buon agente e importanti contratti discografici, se sei nel giro "giusto" tutte le porte si aprono. E poi la pubblicità in America del Nord è veramente l' anima del commercio, del mercato. E' diverso in Giappone. C'è un pubblico straordinario, un popolo con una cultura tanto diversa dalla nostra riesce a sentire profondamente, direi visceralmente, lo stile della lirica: e questo mi pare un miracolo. In Italia c'è un po' troppa prosopopea e, allo stesso tempo, ancora un certo provincialismo. Tutto quello che arriva dall'estero sembra luccicare di una luce speciale e, allo stesso tempo, in troppi pretendono di possedere l'unica verità in fatto di interpretazione, gusto, storie e retroscena dei grandi divi (Callas, Di Stefano, eccetera). Per questo in Italia fatica tanto ad affermarsi il nuovo fin dal Conservatorio, dove si studia esclusivamente per diventare solisti (spesso poi solisti mancati sul mercato del lavoro) e non per l'amore della Musica. Come consiglierebbe di ascoltare la musica ai nostri lettori? Dal vivo, dal vivo e poi dal vivo: il più possibile. Il disco è fuorviante, ci abitua ad un suono del tutto innaturale, a delle equalizzazioni impossibili nella realtà di un teatro. Solo lì la musica è viva. Il dramma, infatti, è che gran parte del pubblico viene a teatro aspettandosi gli stessi "effetti" del disco. Dovrebbe accadere esattamente il contrario: la vera esperienza musicale è quella diretta del concerto o della messa in scena, della loro profondità, delle relazioni fra voci e strumenti. C'è stata una volta in cui si è sentito veramente colpito come italiano all'estero? Sì, una volta in Giappone, dopo il recital, dopo aver firmato centinaia di autografi, all'uscita del ristorante, mi è venuto incontro un signore piuttosto anziano e dopo molti inchini mi ha regalato una bottiglia di vino italiano. Dove l'avesse trovata a quell'ora non so immaginarlo, però mi è sembrato un graditissimo gesto di rispetto per la mia italianità. |
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