REVIEWS Le Comte Ory, Pesaro, August 2003 Florez, an Ory that makes a difference, Classics Today, 13 August 2003 Una ballata piccarda elaborata, Il Resto del Carlino, 12 August 2003 «Le comte Ory», applausi alla compagnia di canto, Gazzetta del Sud, 12 August Un Rossini allusivo, Gazzetta di Parma, 12 August 2003 Ambiguità, Il Gazzettino (Pesaro), 12 August 2003 Florez e Bonfadelli E' il trionfo delle star, Il Messaggero, 12 August 2003 Florez in trionfo, La Provincia Pavese, 12 August 2003 Le Comte Ory Il belcanto va in scena, Il Corriere Adriatico, 12 August 2003 Le Comte Ory, Financial Times, 14 August 2003 Ory un po' croce e un po' delizia, Gli Amici della Musica, August 2003 Il Conte Ory in frac, Il Giornale della Musica, August 2003 Tenor Peruano en "Conde Ory", Ansa Latina, 14 August 2003 Nel segno del comico e del sontuoso, Il Giornale di Vicenza, 12 August 2003 Un musicologo americano, Paul Hume, ha definito Le comte Ory: un'erezione..., Il Tempo, 20 August 2003 Le Comte Ory 13 de agosto de 2003, CD Compact, October 2003. |
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Photo of the August 16th curtain call courtesy of Stephen Cutler |
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Florez, an Ory that makes a difference. Carlo Vitali, Classics Today, 13 August 2003 Teatro Rossini, Pesaro, Italy; August 10, 2003 Rossini's penultimate opera, Le comte Ory, is rarely performed in Italy, possibly, one may speculate, because the local operagoers find no bargain in swallowing a whole French libretto and a frankly farcical plot when pitted against a mere fifty per cent of original music, the other half being a reworking of the occasional cantata (well, "pièce d'occasion") Il viaggio a Reims, which is heard nowadays with increasing frequency. Yet two elements may make the difference for Ory: a stimulating staging and a stellar tenor in the lengthy, impressive title role. During this current August, the happy audience of the Rossini Opera Festival in Pesaro are having both, starting with the open dress rehearsal last Thursday through a run of five official nights until the 22nd; definitely too few to accomodate all prospective applicants. The curtain rises showing a drawing room filled with rows of chairs, self-moving billiard tables, heavy drapery, a whole host of hanging chandeliers in Bohemian glass and sundry paraphernalia - quite like a would-be, lurid Zeffirelli set in which Verdi's Violetta in La traviata might be comfortably found. Various gentlemen and ladies, attired as for a cocktail party at T.S. Eliot's in the 1940s, are hanging around. One may wonder whether Lluís Pasqual - the brilliant Catalan artist who took care of direction, set design, costumes and lights - has gone nuts, but very soon the underlying concept emerges: the whole thing develops like a parlor game, occasionaly veering into a masked ball where any excess of transvestism (both vocal and otherwise) may find obvious justification. Within this context. One finds acceptable even a band of profligate knights in heat acting and singing like grotesque nuns, alternating mighty draughts of champagne stolen from the castle's cellar with the pious mumbling of a cappella prayers, while their disgraceful thighs and underclothes keep peeping out of their cassocks. And this is to say nothing of the tantalizing finale, where an ostensibly macho page wearing a black bra (she's a mezzo, actually) is embraced by a high tenor disguised as a nun, who thinks she is the charming blonde Comtesse, who, in turn, would like to be embraced by the page, were not that her husband is out to Palestine for a pair of Crusades and she is a lady.. A delightful mess; even more so when the tenor is none less than Juan Diego Flórez in his best form, darting the high notes of his taxing role with ludicrous ease, dominating the stage with every sort of bawdy innuendo or serpentine movement and changing disguises with equal nimbleness: a fake hermit, a real tyrant, a passionate amoroso or whatever else. From his opening, high C-filled aria "Que le destins prospères," the audience appeared struck dumb under his spell and hardly lost sight of him during his many appearances, in spite of the overwhelming presence which Pasqual allotted to heavyweight (in many a sense) buffo Bruno Praticò as Raimbaud. The latter's agility in the breathtaking tirade "J'hésite. ô trouble extrême" sounded rather blurred, though, as did Alastair Miles' (The Gouverneur) dignified complaint "Veiller sans cesse." But these were two minor flaws in their overall convincing performances. Marie-Ange Todorovich as Isolier proved a sparkling Cherubino-like page and Marina De Liso enlivened her unimportant role as Ragonde with admirable grace. She certainly deserves more exposure; quite unlike, one regrets to say, Stefania Bonfadelli in the pivotal role of La Comtesse - definitely a worn-out soubrette whose glamorous looks cannot outbalance serious technical problems such as approximate intonation and stumbling over coloratura passages. A wider circulation for this new co-production between the Rossini Festival and the neighboring Teatro Comunale di Bologna, which contributed its reliable house orchestra accurately led by Jesús López Cobos, would be highly desirable. Una ballata piccarda elaborata Ivana Baldassarri, Il Resto del Carlino, 12 August 2003 PESARO - Una ballata piccarda elaborata da Scribeservì dà spunto a Rossini per scrivere «Le Comte Ory», un'opera per la Francia della Restaurazione la cui prima rappresentazione sarà a Parigi, nel Théâtre de l'Academie Royale de Musiche il 20 Agosto 1828. Rossini sapeva quanto il pubblico di allora si aspettasse ormai da lui: un trionfo di temerarietà vocale assieme a quelle «efflorescenze» canore che avevano incantato tutti i teatri d'Europa, intessute su quell'incantatorio «assurdo logico» che aveva rapito fantasie e raziocini; sapeva anche che doveva raggiungere per Ory la saldezza musicale, la consistenza melodica e una certa increspatura erotica in omaggio alla finezza e alla supremazia stilistica (vera o presunta) del genio francese. Tutto questo e ancora di più, fece Rossini: nella cabala giocosa di Ory gli intrecci, le ambiguità, le allusioni assursero ad altezze di virtuosismo barocco, tanto che, a dirla con Fedele D'Amico, «è la stessa musica a gioire di sé stessa». È' stata veramente una gran festa, quando calato il sipario su questo «Le Comte Ory», il teatro è scoppiato in un lungo, grato, irrefrenabile applauso (i rari e subito soffocati "buu" di qualche loggionista francese sono apparsi capricci senza senso). Il pubblico che esauriva ogni ordine di posti ha applaudito con la gioia consapevole di aver ascoltato un'opera straordinaria, dove ansie amorose, profonda malinconia e dionisiaco perdimento annunciavano già il filo dorato del rossiniano disincanto. Scene per ogni situazione, costumi di ordinaria eleganza, oggetti e gesti come si conviene ad uno spettacolo fatto in casa fra un gruppo di amici aristocratici: è questo l'assunto iniziale scelto dallo spagnolo Lluis Pasqual responsabile di regia, scene e costumi, su cui si è srotolata la delizia musicale alla quale hanno contribuito l'ottima «Orchestra del Teatro Comunale di Bologna» diretta da Jesus Lopez Cobos, il sempre meraviglioso «Coro da Camera di Praga» diretto da Lubomír Mátl e una sfolgorante compagnia di canto che ha sostenuto, come vero cimento e senza mai sfigurare, la presenza di un fuoriclasse assoluto e travolgente come Juan Diego Florez in Ory: bellina, aggraziata, con grande presenza scenica, Stefania Bonfadelli è stata una coraggiosa Comtesse nell'affrontare lo scatenato virtuosismo delle sue crudeli variazioni, irresistibile Le Gouverneur di Alastair Miles, diligente e disinvolta Marie-Ange Todorovitch nel tratteggiare le doppie ambiguità di Isolier, trascinante Bruno Praticò in Rimbaud, "compagnon de folies du Comte Ory"; brave Marina de Liso e Rossella Bevacqua nei ruoli di Ragonde e Alice. Il primo atto ha sostenuto ottimamente quel doppio e intrecciato gioco del teatro nel teatro, con qualche punta di eccellenza (la scena della confessione esibita come una fosca processione spagnola è stata proprio bella): nel secondo atto, dopo l'esaltante e goliardica scena bacchica delle false pellegrine, quando i tre protagonisti dovrebbero giocare, raffinatamente, con i desideri dei propri sensi, il regista si è un po' perduto, forse perché nei nostri avidi tempi, non è comprensibile raggiungere un delizioso stato di eccitamento solo con un'ambigua e sfuggente vicinanza. Ma è stata la musica a rivelarcelo... «Le comte Ory», applausi alla compagnia di canto Carla Maria Casanova, Gazzetta del Sud, 12 August 2003 Non è invece piaciuta la regia di Lluis Pasqual dell'opera rossiniana al Festival di Pesaro PESARO - Dopo la ripresa dell'atto unico «Adina», produzione del 1999 volenterosamente rivisitata ma rimasta uno spettacolo scenicamente senza storia mentre sul versante musicale è una rassegna un po' stucchevole di arie chiuse (senza nulla togliere alla valentia degli interpreti: Joyce di Donato, Raul Gimenez, Saimir Pirgu e del direttore Renato Palumbo), il Rof ha presentato il terzo titolo del cartellone ufficiale: «Le comte Ory», nella edizione originale francese. Rossini la scrisse nel 1828 nel desiderio di far rivivere parte della musica inutilizzata del «Viaggio a Reims» e l'opera venne ammessa alla insolita sede dell'Accadémie Royale de Musique (vedi Opéra) destinata al genere grand opéra. Forse questo il motivo della indicazione generica sul frontespizio «opéra en deux actes». In realtà si tratta di opera buffa, quando non farsa. È vero che la strumentazione della piena maturità rossiniana (manca solo il Guglielmo Tell) conferma una innegabile grandeur, ma il testo è tra i più comici di tutto il repertorio leggero. Con il Conte Ory si ride proprio, se il regista mette in scena la ruspante favola medioevale con il suo piccante spirito boccaccesco. All'edizione del Rof il riso è mancato. Lluis Pasqual - autore anche di scene e costumi - ha scelto una cifra di estremo intellettualismo: in un salotto anni Quaranta, un gruppo di raffinati amici inventa una rappresentazione ludica. Ancora una volta, teatro nel teatro. Senonché, le paradossali situazioni del Comte Ory, divertenti in quanto impreviste, non lo sono più laddove gli «attori» recitano a soggetto. L'ambiente (rosso e nero i colori) intimidisce, le dame del castello, qui inguainate in succinte sottovesti di raso, piacciono molto al pubblico maschile in sala, ma certo mancano di comicità. Gli uomini della scorta del Conte travestiti da suore (come vuole il libretto), rimasti qui in canottiera e mutande, sono più penosi che grotteschi. Tuttavia va detto che, per una felice combinazione, questo cast esibisce cantanti belli quando non bellissimi, a cominciare dai due protagonisti Juan Diego Florez (Ory) e Stefania Bonfadelli (contessa Matilde) i quali entrambi, splendidi e giovani, regalano autentiche mirabilie virtuosistiche. Florez - Bonfadelli, coppia vincente su tutta la linea. Alastair Miles (Gouverneur) e Marie - Ange Todorovitch (Isolier) aggiungono una indefettibile dizione. Bruno Praticò (Raimbaud) la sua irresistibile carica di simpatia. Né sfigurano in tanto cast Marina de Liso e Rossella Bevacqua. L'Orchestra è del Teatro Comunale di Bologna (dove questa produzione si trasferirà nella prossima stagione) e a dirigerla c'è Jesus Lopez Cobos, a volte con ritmi un po' pesanti. Sempre impegnato a fondo (come in tutta la programmazione del Festival) il Coro da camera di Praga diretto da Lubomir Matl. Come già accaduto per Semiramide (ma in quel caso non abbiamo condiviso la reazione negativa) il pubblico ha fischiato rumorosamente la regia del comte Ory, andando in delirio, come di dovere, per gli interpreti. Repliche fino al 22 agosto. E già sono stati resi noti i titoli XXV Rof (6-20 agosto 2004); «Tancredi», «Elisabetta regina d'Inghilterra», «Matilde di Shabran». Un Rossini allusivo Vincenzo R. Segreto, Gazzetta di Parma, 12 August 2003 Ottimi gli interpreti e il direttore d'orchestra Caloroso successo per «Le Comte Ory» in scena a Pesaro PESARO - Per una volta i solitamente inflessibili vigili del fuoco hanno chiuso un occhio, e così è stato possibile introdurre a teatro, il Rossini di Pesaro, una quantità altrimenti pericolosa di fuochi d'artificio assortiti, razzi, mortaretti, stelle filanti. Naturalmente si trattava di petardi musicali, di razzi fatti di sovracuti, di girandole composte di volatine da un'ottava e mezza di estensione, ed è per questo che non solo è stato permesso introdurli in teatro, ma ogni deflagrazione è stata salutata da applausi quasi altrettanto rumorosi. Ci si passi la nostra debole metafora introduttiva, necessaria però a dare anche solo un'idea dell'atmosfera nella quale domenica sera ha debuttato al Rossini Opera Festival l'ultima opera del cartellone, e della sua accoglienza. L'opera era Le Comte Ory - l'unica dell'edizione del Festival rossiniano di quest'anno andata in scena in teatro, cioè lo storico, piccolo, accogliente e appena restaurato Rossini - la penultima partitura scritta da Rossini, mentre già si apprestava a scrivere il suo ultimo definitivo capolavoro, il Tell. Un'opera di difficile definizione, che si ribella a qualunque steccato la si voglia ricondurre, uno splendido sui generis nel quale rifluiscono (significativamente, in questo senso) molte parti di quell'incredibile nonsense musicale e drammaturgico che è Il viaggio a Reims, talmente assurdo nella sua unicità da essere «tolto dal mercato» da Rossini stesso, dal quale però, con la consueta tecnica dell'autoimprestito trasferì diverse parti nella nuova opera. L'argomento del Comte Ory tratta delle avventure quasi boccaccesche di un conte che, invece di farsi crociato come i suoi pari, approfitta della situazione per insidiare pulzelle e maritate. Tra queste, una contessa di cui è però invaghito anche il suo nobile paggio. Per insidiare la sua preda si traveste prima da eremita, e poi addirittura da suora: il giuoco degli inganni e dei travestimenti giunge al culmine quando il conte, penetrato nottetempo nella camera della contessa (travestito appunto da suora) fa le sue avances, naturalmente senza saperlo, proprio al suo paggio. A questo libretto di Scribe Rossini offre una musica tra le sue piu' belle, complesse, trasparenti, in cui il giuoco allusivo, a volte pesante, della storia, si eleva - e pensiamo proprio alla grande scena notturna - a vertici assoluti. A questa complessità formale il cast musicale della produzione pesarese ha corrisposto con un risultato di straordinaria qualità. Cominciamo dal dominatore della serata, Juan Diego Florez, senza dubbio il migliore tenore rossiniano al mondo, che affrontata la sua improba parte risolvendone le difficoltà impossibili con quella «sprezzatura» che era un misto di temerarietà e tecnica, d'incoscienza e superba, vittoriosa musicale tenuta. Al suo fianco, in godibilissima guerra di soli vincitori, una Stefania Bonfadelli in stato di grazia, a suo agio tanto negli acuti stellari quanto nelle fioriture piu' intricate, in una parte altrettanto difficile di quella eponima. Completava come meglio non si poteva il trio dei protagonisti il delizioso paggio en travesti di Marie Ange Todorovitch, mentre una coppia godibilissima scenicamente e musicalmente era quella formata da Bruno Praticò e Alastair Miles, in un cast ben completato da Marina de Liso e Rossella Bevacqua. Quando tutte le cose vanno così bene in palcoscenico, di solito in buca c'è un buon direttore, e infatti Jesus Lopez Cobos ha offerto una prova di grande tenuta e di scorrevole musicalità, sostenendo questa musica così apparentemente e «facilmente» normale, e invece così complicata nella realtà, con molta esperienza, coadiuvato anche dalla prova davvero eccellente del bravissimo Coro da Camera di Praga diretto da Lubomir Matl, da quasi venti anni colonna delle realizzazioni musicali pesaresi. Dopo le polemiche sulla regia di Semiramide, c'era molta attesa per la soluzione scenica proposta da uno dei grandi nomi mondiali della regia, Lluis Pasqual. Neppure a lui è mancato qualche buuhh, sopraffatto però dagli applausi della quasi totalità del pubblico. Le Comte Ory è strano nella sua essenza: se lo si prende come opera buffa e basta, sfuggono tutte le sottigliezze di una soluzione musicale che è anche altra, ma d'altra parte non la si può non affrontare anche come tale. Pasqual ha scelto una strada tutta sua: la vicenda si trasforma in un giuoco di (alta) società in cui tutto l'intrigo è dichiarato fin dall'inizio, e il teatro nel teatro ci fa vedere tutta l'opera come tra virgolette. Si ride probabilmente meno che in versioni più dirette, però si porge orecchio meglio alla molteplicità di dimensioni che la musica di Rossini ci suggerisce. Il tutto, naturalmente, confezionato (Pasqual firma anche scene e costumi) con mano di grande pulizia e scorrevolissimo senso musicale, aiutato anche dalla disponibilità attoriale di cantanti che si sono dimostrati molto solleciti nel rispondere alle sue esigenze. Come dicevamo in apertura, successo entusiastico per i cantanti e qualche dissenso per il regista, in una serata dal festosissimo bilancio complessivo. Ambiguità Mario Messinis, Il Gazzettino (Pesaro), 12 August 2003 Ambiguità enigmatica di "Le comte Ory", proposto al Rossini Opera Festival, caratterizzato da un erotismo a fior di labbra che sfiora l'assenza. I personaggi sono figure metaforiche, inserite nei meccanismi di una commedia giocosa dagli sguardi elegiaci, sospesi spesso in una malinconica insensatezza. L'euforia travolgente, il "comico assoluto" delle opere buffe della giovinezza si rapprende qui in un sottile distacco, con una "francese" eleganza che anticipa Offenbach. Rossini conserva solo apparentemente gli stilemi del passato, poichè questo teatro vive in una luce astratta e crepuscolare, sfiorando l'impassibilità drammaturgica. Così il Conte Ory, con le astuzie da finto eremita per conquistare la contessa Adele, è condannato alla beffa, mentre la bella castellana si unisce al paggio del Conte, Isoliero, un contralto "en travesti". Le scelte arcaicizzanti, tuttavia, esaltano la modernità compositiva: nel 1828 il discorso straniato, pensato per l'Opéra di Parigi, appare quasi novecentesco. La suggestiva regia di Lluis Pascal, ambientata in un salotto del ventesimo secolo, conosce il parlare per simmetrie e per gesti lucidi di Rossini, ma tende a rendere fin troppo espliciti i momenti buffi soprattutto nel second'atto, in cui la raffinatezza del primo cede a risvolti al limite farseschi nei travestimenti dei cavalieri del Conte. Del pari il capolavoro dell'opera, il terzetto in cui Ory, credendo di abbracciare la Contessa, insidia invece il paggio (sono memorie del "Figaro" mozartiano viste in una luce quasi berlioziana), perde un poco dell'ambiguità notturna, del segreto intellettuale del mistero. C'è una opzione registica singolare e nuova, anche se forse lontana dalle idee del librettista Scribe e dello stesso Rossini. La Contessa appare consapevole delle intenzioni del Conte e dei suoi mascheramenti; anzi diviene il motore del gioco, moltiplicando le proprie seduzioni: in fondo, la protagonista si divide tra Ory e il paggio Isoliero: non c'è passione, ma asessuata esibizione erotica. In questo ruolo affascinante, la giovanissima Stefania Bonfadelli si conferma come il nuovo soprano italiano anche in Rossini. Di impeccabile disinvoltura scenica, canta con grande gusto e perfetta dizione; trasparente la vocalità e la tecnica delle colorature (un filologo come Gossett, tuttavia, notava l'altra sera un eccesso di quelle brillanti "puntature" improvvisatorie, che a suo dire si sarebbero divulgate nel melodramma qualche decennio dopo). Juan Diego Florez, nel ruolo del Conte Ory, è sempre il massimo tenore rossiniano del nostro tempo: stupefacenti la nitidezza del suono e la precisione ornamentale, come l'identificazione col personaggio seduttivo: il canto come astrazione, librato nel senza tempo, mima il retrospettivo contralto "en travestì", prefigurando però la irriverente grazia operettistica. Di grande autorevolezza anche Marie-Ange Todorovitch, un Isolier di efficace intensità, dai registri molto omogenei. Com'è noto, vari pezzi chiusi sono traduzioni in francese e abbastanza fedeli rielaborazioni del "Viaggio a Reims", composto quattro anni prima, e largamente ripreso nel "Conte Ory": quasi metà dell'opera attinge alla cantata scritta per l'Incoronazione di Carlo X. In particolare, l'aria di Raimbaud (un elogio del vino), amico e sodale del Conte, è ripresa alla lettera dall'aria di Profondo del "Viaggio". Bruno Praticò, un baritono quasi tenorile, punta sulla disinvolta fluidità della recitazione in "Dans ce lieu solitaire". Il basso inglese Alastair Miles si compiace di una nobile sottogliezza espositiva nel ruolo del precettore di Ory. Jesus Lopez Cobos è tra i rari direttori rossiniani di oggi: la sua impostazione è essenzialmente classicista, senza alcuna inopportuna concessione romantica. È un classicismo quasi astratto e astorico, tra echi illuministici e premonizioni novecentesche. Il direttore è seguito con notevole precisione dall'orchestra del Comunale di Bologna; prezioso l'apporto del Coro da camera di Praga. Caldissimo successo, con qualche dissenso nei confronti della regia, per la più significativa produzione dell'attuale stagione pesarese. Florez e Bonfadelli E' il trionfo delle star Roberto Molinelli*, Il Messaggero, 12 August 2003 Trionfale successo de "Le Comte Ory" andato in scena al Rossini Opera Festival. Un cast vocale di altissimo livello ha interpretato il grande capolavoro rossiniano frutto, ad onor del vero, di un "pastiche" tra brani originali (meno felici), e già collaudate arie e pezzi d'insieme tratte dal fortunato "Il viaggio a Reims" (scritto tre anni prima e debuttato con grandissimo successo), restituendo un'esecuzione tecnicamente e musicalmente impeccabile, come da tempo non si riscontrava nel prestigioso festival pesarese. Su tutti hanno spiccato il tenore Juan Diego Florez e la soprano Stefania Bonfadelli, assolutamente padroni del ruolo e dello spirito rossiniano e, facendo propria ed esaltando la complessa scrittura vocale, autori di un modo di cantare Rossini che sicuramente sarà l'esempio da seguire per i loro successori. La mezzosoprano Marie-Ange Todorovitch, debuttante al Rof, ha saputo affiancare le due star con doti vocali di primissimo ordine e grande padronanza di palcoscenico, impersonando le vesti maschili del paggio Isolier. I due registri gravi del cast erano affidati al basso inglese Alastair Miles e al basso-baritono Bruno Praticò, al suo debutto al Rof il primo, e storico e applauditissimo ospite il secondo. Entrambi hanno entusiasmato la gremitissima platea con le arie a loro affidate: quella del Governatore nel primo atto per lo strepitoso Miles e l'aria, ex "Medaglie incomparabili" di Reimsiana memoria, del secondo atto, dove Praticò (apparso all'inizio con Florez in uno spassosissimo travestimento da suora), ha saputo come sempre catturare il pubblico con il suo ineguagliabile talento scenico e vocale. Marina de Liso è stata la corretta interprete della religiosa Ragonde, al suo debutto in questa edizione insieme alla soprano Rossella Bevacqua, proveniente dall' Accademia Rossiniana, dove si è distinta lo scorso anno nelle recite del Festival giovane. Ottimo il coro Filarmonico di Praga, che anche quest'anno ha confermato la propria bravura e raffinatezza musicale, così come buona è stata la prova dell' Orchestra del Teatro Comunale di Bologna diretta da Jesus Lopez Cobos, quest'ultimo forse responsabile di qualche problema d'insieme di troppo, che si è tradotto in ripetute instabilità ritmiche tra orchestra e palcoscenico. L'unico neo della serata? Il contestato regista Lluis Pasqual, non è forse stato all'altezza di uno spettacolo così importante, firmando una regia scenograficamente discutibile, ma sicuramente inesistente dal punto di vista dei movimenti, imprecisi e lasciati spesso al caso, salvati più volte grazie alla già citata bravura scenica degli interpreti. *Violista e compositore Florez in trionfo La Provincia Pavese, 12 August 2003 Un vero fuoriclasse al Rof di Pesaro PESARO. Al Rossini Opera Festival l'altra sera è andato in scena "Le Comte Ory" interpretato superbamente dall'astro del belcanto Juan Diego Florez. Il regista Lluis Pasqual ha ambientato la vicenda in un salotto ottocentesco dove un gruppo di amici decide di giocare a rappresentare "Le Comte Ory". Null'altro dunque che un gioco di società in cui l'inganno iniziale va a sovrapporsi ai travestimenti e alle ambiguità che sono la cifra caratteristica del lavoro rossiniano: un'opera semiseria dove c'è posto per il sorriso e il divertissement, tutt'altra cosa rispetto alla risata pura e semplice. L'acme dell'ambiguità e dell'erotismo coincide con la figura di Isolier, il paggio del Conte, innamorato della contessa che "sostituirà" nel terzetto notturno fra le braccia di Ory. Le scelte del regista spagnolo - che ha curato anche scene, costumi e luci - non sono piaciute a qualcuno del pubblico che ha accolto con qualche fischio di disappunto un'impostazione ritenuta "da avanspettacolo". Qualche perplessità ha suscitato anche la direzione, peraltro rispettosa della partitura, di Jesus Lopez Cobos, a capo dell'Orchestra del Comunale di Bologna e del Coro da Camera di Praga. La musica di Rossini non ha bisogno di commento: è splendida. In questa atmosfera magica si sono calati gli interpreti, un cast eccellente che ha reso possibile uno spettacolo degno della migliore tradizione del Rossini Opera Festival. Di Juan Diego Florez, autentico fuoriclasse, si è già detto: voce strabiliante, con bellissimi armonici, è stato attore perfetto ed interprete ironico del Conte, inguaribile Don Giovanni, e forse anche di se stesso. Il pubblico alla fine della rappresentazione gli ha tributato un'autentica e prolungata ovazione. Molto applauditi il simpatico Raimbaud di Bruno Praticò e Le Gouverner di Alastair Miles. Apprezzate anche la coerente espressività e la sottile malizia di Stefania Bonfadelli nel ruolo della Contessa e la vivacità vocale e scenica di Marie-Ange Todorovitch (Isolier). La sezione femminile era completata da Marina De Liso (Ragonde) e Rossella Bevacqua (Alice). Le Comte Ory Il belcanto va in scena Fabio Brisighelli, Il Corriere Adriatico, 12 August 2003 E i coristi di Praga dove li collochiamo? Sempre nel novero di una partecipazione di puntuale bravura Ottimo il cast Vibrante la conduzione orchestrale Ironia e intelligenza: un successo PESARO - Avrebbe dovuto ascoltarlo l'altra sera alla 'prima'; Rossini dovrebbe poter ascoltare Juan Diego Flórez mentre dà alito vitale di canto al suo Conte Ory, con il corredo di un'ammiccante e gustosa recitazione. Forse non rimpiangerebbe più i tempi andati dei prediletti evirati cantori, perché la vocalità paradisiaca "di grazia" che il giovane tenore, ormai gloria stabile del Rof, sa esprimere è di quelle che dischiudono i paradisi del virtuosismo dell'ugola: purezza timbrica, bellezza di linea melodica, lucentezza mirabile di acuti e sopracuti. Quando Flórez, nel magistrale trio prima del finale, attacca con ammaliante ispirazione "À la faveur de cette nuit obscure" l'impatto emotivo di ritorno è da procurato orgasmo musicale. I compagni della sua sfortunata avventura sentimentale, del suo Ory -s'intende-, lo affiancano al meglio: così per "La Comtesse" di Stefania Bonfadelli, abile vocalista e spiritosa prim'attrice; così per il Raimbaud di Bruno Praticò, che nell'aria "Dans ce lieu solitaire" traduce in foga divertita di note variegate e incalzanti la sua classe riconosciuta di "buffo"; così per la grazia elegante di Isolier espressa da Marie-Ange Todorovitch; così infine per "Le Gouverneur" di Alastair Miles, generoso di note gravi. Con loro la Ragonde di Marina de Liso e l'Alice di Rossella Bevacqua. E i coristi di Praga dove li collochiamo? Sempre nel novero di una partecipazione di puntuale bravura. La stessa di cui ha dato prova sul podio il maestro Jesús López Cobos alla guida del duttilissimo complesso orchestrale del Teatro di Bologna, calibrando al meglio la mutevole temperatura musicale dell'opera per adattarla alle sonorità cangianti di una partitura raffinata e percorsa da un senso di aerea leggerezza, in una col gioco straordinario delle parti. Non tutti hanno aderito -qualcuno giudicandolo un po' sopra le righe in termini di rilevanza "osée"- all'idea di gioco scenico proposta da Lluís Pasqual, che a noi, e a molti altri, è sembrata invece creativa nell'insieme e pertinente ad avallare il gusto dell'ironia e dell'intelligenza sotteso all'intreccio. Quell'atmosfera simpaticamente "cocotte" del castello dagli interni rosso cardinale dorato, con quei lampadari di luminosità cangiante che si specchiano oltre parete, e che rifrangono la concitata, esilarante doppiezza delle situazioni e degli animi, ha momenti di felicità visiva specie nel secondo atto, fino all'elegante scioglimento conclusivo, suggestivo di luci e di penombre. Anche "con il favore della notte oscura" abbiamo riassaporato i fasti del Rof: in alto i calici, e "buvons soudain", cari amici Mariotti e Zedda! Le Comte Ory Shirley Apthorp, Financial Times, 14 August 2003 There are a number of ways of looking at Le Comte Ory, Rossini's penultimate work for the stage. Written in French, much of it recycled, it could be an over-long comedy by a composer rapidly losing his creative powers. On the other hand, as a poignantly unfulfilled variation of the Don Giovanni tale, it's inventive and ahead of its time in many ways. Neglected for many years, it is enjoying a resurgence of popularity and where better to hear it than Pesaro? With Jesús López Cobos on the podium, the Bologna Theatre Orchestra in the pit, and Juan Diego Florez in the title role, the Rossini Opera Festival could guarantee fleet tempi, solid top notes and plenty of vocal charisma. Add Pesaro stalwart Bruno Praticò in the comic role of Rimbaud, and what could possibly go wrong? Florez was predictably alluring as the playboy Count. Even in disguises of varying absurdity, from priest to nun, his erotic appeal is as constant as his famously flawless coloratura. Florez is still young, still beautiful, and still appallingly gifted, but he is already beginning to bawl a little in the upper register on the mistaken assumption that more is better. Alastair Miles was a little at sea as Le Gouverneur, muffled and monochromatic, and Stefania Bonfadelli occasionally inaccurate as the countess of Ory's desires. Marina de Liso outshone her in the relatively small role of Ragonde, and Marie-Ange Todorovitch turned the cheeky page Isolier into a figure of some vocal substance. What made it all unbearable was Lluís Pasqual's awful production, based on the numbingly unoriginal notion of playing out the whole thing as an elaborate parlour game. Rossini composed for the stage, and it's unfair to undermine him like this. After doing so much to bring Rossini's music to the attention of the wider world, perhaps the Rossini Opera Festival should consider inviting a few more opera directors of international stature to bring their stagings into the 21st century. Ory un po' croce e un po' delizia Roberta Pedrotti, Gli Amici della Musica, August 2003 PESARO - Come la Semiramide inaugurale anche la seconda importante nuova produzione del Rof 2003, Le Comte Ory, è stata salutata da calorosi applausi per tutti i cantanti, uniti a sonore contestazioni indirizzate agli autori della messa in scena. Il lavoro di Lluìs Pasqual, coadiuvato da Wolfgang Zoubek per il disegno luci, si distingueva però da quello del suo collega Kaegi per la coerenza di un progetto registico chiaro e definito, una discutibile ma legittima variazione sul tema del capolavoro rossiniano (indirizzata, ovviamente, a chi già lo conosce bene). Pasqual decide infatti di narrare una storia diversa da quella delle belle dame insidiate con mille travestimenti dal Conte e dai suoi compagni mentre gli altri uomini sono impegnati nelle crociate; giocando sulla sottile e divertita ambiguità che percorre tutta l'opera ci propone invece un elegante salotto che potrebbe appartenere a Violetta Valery o a qualche intellettuale dell'Inghilterra edoardiana (in un clima ben più permissivo di quello vittoriano che condannò Wilde): qui la bella padrona di casa si divide fra l 'amore di un'elegante dama e di un fremente giovanotto (Ory). Uno spunto originale realizzato con coerenza, brio, ma poco coraggio: il finale, soprattutto, appare sospeso e non convince del tutto quando, invece, Pasqual avrebbe potuto - e dovuto - osare di più, soprattutto nel sublime terzetto notturno della camera da letto. Tutti gli interpreti si sono calati alla perfezione nell' ottica registica di Pasqual, offrendo un'ottima prova teatrale, oltre che musicale. Juan Diego Flòrez (Ory) in particolare, è apparso decisamente cresciuto come attore, molto più spigliato e consapevole di come lo ricordavamo, sicurissimo vocalmente e più attento alle sfumature. Bravissima anche Marie-Ange Todorovitch, un Isolier musicalmente sicuro e piacevole e scenicamente perfetto, a metà fra il principe Orlovsky e la contessa della Lulu. Stefania Bonfadelli, Comtesse deliziosa a vedersi, appare invece insufficiente e sfocata, senza trovare, in un ruolo che richiede altro peso vocale, il languoroso trasporto erotico necessario soprattutto nella sortita. Anche Bruno Praticò non ha in Raimbaud il suo ruolo ideale e continuiamo a preferirlo in ruoli dove la sua verve possa meglio esprimersi (Gamberotto nell'Equivoco stravagante, Pomponio nella Gazzetta), mentre qui, anche vocalmente gioca spesso in difesa. Strepitoso attore è invece qui Alistair Miles come Gouverneur: calvo, alto e magro pare un personaggio di Frankenstein junior, irresistibile per mimica ed immedesimazione scenica, un vero talento comico, del tutto insufficiente, però, sotto il profilo vocale e stilistico nella sua bellissima aria "Veiller sans cesse". Completavano il cast Marina de Liso, Ragonde, Rossella Bevacqua, Alice, Richard Sporka, un Cavaliere. Ancora bravissimo (oltre che bello a vedersi) il Coro da Camera di Praga istruito da Lubomìr Màtl. Il vero punto debole dell'esecuzione era costituito però dalla concertazione di Jesus Lopez Cobos, anche lui molto contestato per la pesantezza con cui ha appiattito la preziosissima trama musicale del penultimo capolavoro donato da Rossini al teatro. Non solo il suono dell'orchestra del Comunale di Bologna copriva spesso le voci, ma le metteva anche in seria difficoltà con frequenti sfasamenti fra buca e palcoscenico. Anche gli elementi migliori del cast avrebbero potuto senza dubbio offrire prove più complete ed interessanti con un altro concertatore. Il pubblico ha saputo comunque premiarli con entusiastiche chiamate al proscenio, ampiamente meritate. Il Conte Ory in frac Mauro Mariani, Il Giornale della Musica, August 2003 Non ci sono castelli medioevali e crociati nel Comte Ory messo in scena da Lluis Pasqual. Gli uomini non sono coperti da pesanti ferraglie ma indossano eleganti frac e le donne non sono infagottate in ruvide lane ma sono fasciate in abiti di seta: siamo infatti nell'alta società degli Anni Trenta e la serie di burle e controburle ordita da Ory e da Isolier non è che un gioco di società organizzato per ravvivare una festa. Durante l'ouverture si sorteggiano i protagonisti e si assegnano i ruoli, poi si comincia a giocare, travestendosi alla buona con qualche accessorio indossato direttamente sugli abiti da sera e improvvisando a braccio su un canovaccio deciso solo a grandi linee e aggiustato strada facendo secondo le idee che nascono sul momento. Verso la fine però la finzione sta per trasformarsi in realtà, perché l'elegante giovin signore che ha avuto in sorte il ruolo di Ory finisce col cercare di sedurre veramente l'affascinante padrona di casa, che impersona la Contessa. In tal modo Pasqual valorizza l'eleganza parigina di questo primo (e unico) incontro di Rossini con lo stile dell'opéra-comique. E dà il senso del gioco, che come tale deve divertire senza coinvolgere più di tanto e che, quando rischia di travalicare i limiti e diventarr pericoloso, viene riportato dal savoir faire della padrona di casa nell'ambito d'uno stuzzicante gioco e nulla più. Come gioco di società, diventa plausibile che i ridicoli travestimenti e le assurde manovre di Ory possano essere presi per buoni. E così la Contessa non è più una castissima castellana del tempo delle crociate ma una disinibita donna del ventesimo secolo, com'è giusto che sia, perché la sua sensualità è trasparente nella facilità con cui cadrebbe nelle insidie di Ory, se qualche ben intenzionato non venisse sempre a "salvarla" all'ultimo momento, contro i suoi desideri. Insomma Pasqual vince su tutta la linea, non solo per la bontà dell'idea iniziale ma anche e soprattutto per la coerenza con cui sa portarla avanti, arricchendola in continuazione con una serie di spunti ben azzeccati. E vince anche sul piano dell'economicità, perché la scenografia richiede solo qualche metro di broccato rosso per delimitare il salotto che fa da sfondo a questo gioco di società. Juan Diego Florez (Ory) è un cantante agile e pirotecnico ma anche virile e sensuale e per di più è un attore comico irresistibile, sia come santo eremita che come dubbia pellegrina. Stefania Bonfadelli (la Contessa) è brava quanto bella: ed è bellissima, oltre che elegantissima, sia quando indossa un abito con strascico sia quando rimane in sottoveste. Marie Ange Todorovitch sta benissimo nei panni del paggio Isolier, la cui ambiguità tra maschile e femminile è ulteriormente ingarbugliata da Pasqual. I due bassi sono Bruno Praticò, grasso e esuberante nel canto e nella recitazione, e Alistair Miles, asciutto e british, quindi perfettamente tagliati per interpretare rispettivamente Raimbaud, compagno di bagordi di Ory, e il rigido (almeno all'inizio) istitutore. Bravissima anche Marima De Liso (Ragonde). La direzione di Jesus Lopez Cobos è spumeggiante ma equilibrata, con un'attenzione speciale per la ricchezza polifonica e la varietà di impasti dell'orchestra del Rossini francese. Se proprio si deve fare almeno un appunto, si può osservare che talvolta non sono perfettamente regolati i rapporti col palcoscenico. ma lo si può capire, perché i cantanti sono totalmente presi dal gioco scenico. Tenor Peruano en "Conde Ory" Ansa Latina, 14 August 2003 PESARO, 14 (ANSA) - Un "Conde Ory" de ensueño con un Juan Diego Florez en plena forma fue el último espectáculo del 24o. Rossini Opera Festival (ROF) de 2003. La ópera es uno de los caballitos de batalla del tenor peruano, el mejor de los rossinianos actualmente en circulación, y lo demostró interpretando al libertino conde con su habitual seguridad de medios, su señorío de escena y ese carisma que lo han convertido en el niño mimado de este ROF que lo vió nacer artísticamente en 1996 con una "Matilde di Shabran" de la que asumió el rol protagónico al enfermarse imprevistamente el tenor titular. Desde entonces Florez no faltó a ningún festival Rossini, salvo el año pasado, y por eso este "Conde Ory" es la vuelta al nido del grande cuanto joven tenor peruano. Para celebrar el regreso, el ROF encargó una nueva versión escénica de la penúltima opera de Rossini al director español Lluis Pascual, quien modernizó la época de la acción, pasándola de la era de las Cruzadas a un momento indefinido del siglo XX y de un castillo medieval a un burdel de lujo, parecido al de "Eyes Wide Shut" de Stanley Kubrick. Y ésta es una sola de las libertades que se tomó Pascual con el libreto de Eugéne Scribe y Charles- Gaspard Delestre-Poirson ya que la más importante es haber transformado a la tribu de damas que espera castamente el regreso de sus maridos cruzados y se encuentra a la merced de una banda de libertinos capitaneados por el Conde Ory en una banda de feministas que tienden más de una trampa a un grupo de ingenuos seductores. Transformando así la balada picaresca original en un canto a la belleza y la sagacidad femeninas. Lo que no pudo cambiar el director español es el predominio de la música sobre el teatro y el Conde Ory, aún pasando de victimario a víctima, sigue siendo gracias a la voz y a la presencia de Juan Diego Florez el señor de la escena y de la trama. Como es casi habitual en el Rossini Opera Festival, desde el punto de vista vocal no ha habido peros. Florez cantó sus notas imposibles y sus saltos acrobáticos de tonalidad con la seguridad y la naturaleza de siempre, a las antípodas de los esfjuerzos sobrehumanos que hacen sus colegas norteamericanos para alcanzar las mismas notas. La soprano italiana Stefania Bonfadelli y la mezzo francesa Marie-Ange Todorovich estuvieron a la altura de su compañero de reparto, la primera como condesa Adela, buena voz y mejor figura, y la segunda como el paje Isolier, un personaje un poco ñoño exaltado por la magnífica música que le escribió Rossini. El momento culminante de la ópera fue como siempre el trío conclusivo del segundo acto, cuando con una vena erótica inusual en la historia de la música, el Conde cree hacer el amor con la Condesa cuando en realidad es el paje el que ha tomado su lugar. Pero gracias a la magnífica voz de Florez fueron momentos descollantes de la velada el duo de Isolier y Ory del segundo acto, el dúo de la Condesa y Ory del segundo y sobre todo la acrobática aria del tenor "Dans ce lieu solitaire". Alastair Miles (el Gobernador), Bruno Praticó (Raimbaud) y Marina de Liso (Ragonde) contribuyeron al éxito de la velada dirigida por el español Jesús López Cobos en su debut en el ROF al frente de la Orquesta del Teatro Municipal de Bolonia, que coproduce el espectáculo. Nel segno del comico e del sontuoso Cesare Galla, Il Giornale di Vicenza, 12 August 2003 Rossini Opera Festival. Il trittico inaugurale della rassegna pesarese si è concluso con «Le comte Ory» Ampi consensi al direttore Lopez Cobo e ai cantanti e parziale contestazione per il regista Pasqual Pesaro . Il trittico inauguale del Rossini Opera Festival di Pesaro si è concluso nel segno del comico, con «Le comte Ory», opera francese che genialmente riutilizza anche molti materiali musicali del Viaggio a Reims. Serata di sontuosa brillantezza esecutiva, al Teatro comunale, e di controversa cifra registica. Il pubblico ha puntualmente registrato: ha decretato il trionfo per i cantanti e il direttore dividendosi nelle accoglienze al regista Lluis Pasqual. Certamente si è rimasti lontani dalla corale contestazione della «Semiramide» inaugurale, ma i dissensi si sono fatti ben sentire, e gli applausi pure molto calorosi anche all'indirizzo del responsabile dello spettacolo non sono riusciti a soverchiarli. L'operazione realizzata da Pasqual (responsabile anche di scene e costumi) è complessa e sofisticata, e finisce per non avere tenuta omogenea, nonostante molti momenti di efficace spettacolarità. Di fatto, il regista catalano destruttura la penultima opera di Rossini, e la "ricostruisce" secondo una linea di costante straniamento, di teatro nel teatro che mette a rischio la maliziosa sottigliezza nativa, l'esprit de finesse del penultimo capolavoro rossiniano. Basata su una ballata medievale licenziosa che narra gli inutili tentativi di seduzione da parte del «Conte Ory» nei confronti di una bella castellana, fra travestimenti e scambi di persona, qui l'opera diventa infatti il racconto del gioco di società di una borghesia annoiata che cerca il brivido della trasgressione. L'ambientazione è un ricco salotto in un'epoca che potrebbe essere la metà del '900. Fin dall'inizio, mentre si ascoltano le note dell'Introduzione, si assiste alla distribuzione delle parti. Il gioco è la seduzione ma è anche lo spettacolo, e viceversa, e tutti i suoi protagonisti ne sono consci da subito. Il racconto svela continuamente la sua trama, allude alla finzione negli atteggiamenti dei personaggi, nel loro straniante distacco da quel che stanno facendo. L'ironia nasce così dalla razionale e disincantata coscienza dei ruoli, ma soffoca completamente l'elemento-sorpresa che in questa drammaturgia rossiniana delle allusioni e degli equivoci è decisiva per innescare la comicità. E così il gioco delle seduzioni mancate e delle velleità sempre frustrate finisce per assumere una concettosa pesantezza cui non basta la raffinata precisione del meccanismo teatrale per assicurare la brillantezza sorridente e maliziosa dell'idea rossiniana. La compagnia di canto era di altissimo livello, e su tutti ha visto trionfare Juan Diego Flórez e Stefania Bonfadelli, Ory e la Contessa, i due "poli" del gioco. Flórez è oggi il tenore rossiniano per eccellenza, capace di unire al superbo controllo del fraseggio e dell'espressione (memorabili certe suadenti sottigliezze dinamiche) un'incisività e uno smalto senza ombre fin nella zona più alta della tessitura (e la sua parte in quest'opera è acutissima). Lo squillo è perentorio eppure sempre perfettamente timbrato, la coloratura smagliante di energia e precisione. Superba belcantista si è confermat a anche la veronese Stefania Bonfadelli, che canta con naturalezza avvincente e con tenica impeccabile. L'estensione è ampia e omogenea, controllata ovunque con leggerezza inappuntabile e seducente, l'agilità nitidissima, adamantina, la tenuta sull'acuto e sul sovracuto indefettibile. Si aggiungano una presenza scenica di eleganza raffinata e di matura sensibilità e si avrà il quadro di un'interpretazione straordinaria per coscienza stilistica e perfezione dei mezzi vocali e musicali necessari a realizzarla. Attorno ai due dominatori della serata si sono mossi con precisa efficacia Bruno Praticò, "buffo" di estroversa e accattivante pienezza vocale, Alastair Miles, basso "nobile" di grande sostanza vocale e di ricca predisposizione al cantabile, Marie-Ange Todorovich, che ha dato al paggio Isolier (concorrente di Ory nelle velleità seduttive) morbidezza di tinta vocale, e duttilità inappuntabile nella linea di canto. Brillanti anche i comprimari, Marina De Liso e Rossella Bevacqua, e come sempre il coro da camera di Praga istruito da Lubomír Mátl. Dal podio ha guidato il tutto Jesús Lopez Cobos, concertatore di estrema precisione che ha messo in risalto i tesori strumentali dell'accompagnamento (precisa l'orchestra del Comunale di Bologna) e ha delineato una linea intepretativa di morbida dolcezza sul versante sentimentale, di trascinante vivacità in quello comico. Interminabile, alla fine, la serie delle uscite a proscenio per tutti i protagonisti musicali dell'opera. Le repliche sono in programma domani mercoledì, sabato, il 19 e il 22 agosto. Un musicologo americano, Paul Hume, ha definito Le comte Ory: un'erezione ... Patrik Pen, Il Tempo, 20 August 2003 Un musicologo americano, Paul Hume, ha definito «Le comte Ory»: «un'erezione ...che dura circa due ore un quarto». Il 37nne, ma già bigotto, Giacomo Rossini utIlizzò un libretto ispirato ad una boccaccesca novella mediovaleggiante per comporre l'ultima opera erotica di un musicista italiano prima del melodramma romantico. Ai tempi delle crociate, il conte Ory le prova tutte per portare sotto le lenzuola la casta Adele; proprio quando crede di essere giunto al dunque, finisce in un letto in cui Adele è già con il paggio Isolier; nella confusione amoreggia con il giovanotto (che non gradisce), proprio mentre tornano a castello mariti e fidanzati delle donne che l'erotomane Ory ed i suoi scudieri avrebbero voluto possedere. Nell'allestimento presentato al Rossini Opera Festival, in co-produzione con il Comunale di Bologna, Luiss Pasqual trasporta la vicenda all'inizio del Novecento in un party dove ragazzi e ragazze in smoking ed abito da sera rappresentano l'opera. È una scelta discussa ma funzionale. Pasqual dispone di un gruppo eccellente di cantanti attori e di un maestro concertatore di grande classe, il veterano Jesùs López Cobos. Nonostante per gran parte del secondo atto sfoggi mutande di lino, non sapremo mai se Juan Diego Flórez, ha la robustezza muscolare evocata da Paul Hume; Flórez, vero divo del Rof da circa un lustro, svetta per tutta la durata dell'opera con vocalizzi virtuosistici, do di petto e sì naturali. Adele è una Stefania Bonfandelli, spigliatissima sia nella recitazione sia nella vocalità ; utilizza il registro molto ampio e la coloratura per essere tutta ammiccamenti. Il paggio Isolier è Marie-Ange Todorovitch, una vera e propria rivelazione di questa XXIV edizione del Rof; perfetta en travesti da adolescente ed agilissima soprattutto a correre verso le note gravi. Bruno Praticò, vecchia volpe del Rof, è il precettore Rambaud che sornionamente, ha fatto del conte un esperto erotomane. Molte risate e molti meritati, applausi. Tanto più che con le altre due opere del Festival rossiniano («Semiramide» e «Adina»), come è stato scritto, c'era poco da stare allegri. Le Comte Ory 13 de agosto de 2003 Josep Subirá, CD Compact, October 2003 El estreno de Lluís Pasqual en el ROF fue afortunado ya que modernizó Le comte Ory, situándolo en los años 30 del siglo XX, haciendo del castillo una sala de juegos iluminada por unas monumentales lámparas con unos telones rojizos que reflejaban perfectamente el carácter "amoroso" de la trama, dada la sensualidad del ambiente desde el primer momento reflejado en los movimientos de los actores. Los diferentes medios de los que se vale el Conde para conseguir los favores de la Condesa Adèle en el acto I le llevaron a una sugestiva imaginería religiosa, con símiles de los pasos de Semana Santa, y mundana, con las mesas de juego de un salón burgués de los años 30. En el acto II, la irrupción en el castillo de un grupo de monjas que en realidad son los caballeros del séquito del conde y la correspondiente hilaridad que provoca su comportamiento, con un casi strip-tease a lo Full Monty en el coro "Buvons, buvons soudain", aportó el tono burlescoa una trama que alcanza la mayor sutilidad en el terceto "À la faveur de cette nuit obscure". López Cobos dirigió con sumo acierto en el coqueto Teatro Rossini, más atractivo si cabe por el aire acondicionado, dada la ola de calor reinante también en Italia, esta ópera buffa en dos actos, dotada de un refinamiento orquestal que anticipa el Guillaume Tell. Resaltó debidamente las combinaciones orquestales, acompañó con precisión y conjuntó admirablemente el coro filarmónico de Praga, de canto bien empastado y muy idiomático, con los solistas, todos de un nivel más que notable. La orquesta del Communale de Bolonia se mostró flexible en las diversas atmósferas de la obra y reveló un sonido brillante y sin ningún fallo en las entradas, demostrando que es la segunda orquesta mejor de Italia, tras la de la Scala. Juan Diego Flórez se impuso luciendo su ejemplar belleza vocal, con un canto elegante, de fraseo variado y un alarde de reguladores que revelaron su dominio del instrumento. Interpoló incluso un Re sobreagudo en su aria del acto I "Que les destins prospères" y mostró una endiablada facilidad para la ornamentación en los números corales, que enloqueció al entusiasta público. La soprano Stefania Bonfadelli (Adèle) se mostró cómoda en un rol próximo a los de soubrette. Segura en los sobreagudos, llegó con facilidad al Re5 en la conclusión de su aria "En proie à la tristesse", pero la voz no demostró calidad en el centro, además de aspirar la coloratura y marcarse notas picadas en el terceto del acto II antes citado, que afearon su canto, más técnico que interpretativo. Destacó también la mezzo Marina de Liso (Ragonde) por su autoridad en centro y grave muy acontraltados, a la vez que la espléndida actriz Marie-Ange Todorovich (Isolier), resultó algo gritona en los agudos, si bien demostró su musicalidad en el resto de sus intervenciones. Comicidad a raudales y dominio del estilo buffo fueron las cartas que hábilmente jugó Bruno Praticò (Rimbaud) , a pesar del desgaste de su ya opaca voz de bajo cómico, con una dicción francesa terriblemente abierta. El otro bajo, Alastair Miles (Gouverneur), mostró mayor brillantez en directo que sus grabaciones discográficas, gracias a su técnica y timbre homogéneo y flexible a la vez. Su aria del acto I fue estilísticamente impecable, variando a gusto la cabaletta. Pasqual debutó a lo grande en el ROF mediante un montaje festivo, repleto de ideas y una dirección de actores muy cuidadosa hasta en los pequeños detalles. Le Comte Ory desbordó en chispa y gracia, como debe ser, gracias a los cantantes, la regiduría, la orquesta y la batuta, en una deseable conjunción que pocas veces se logra. |
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