Reviews
Nina o sia la pazza per amore, Milan, September 1999 & Ravenna, July 2000
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Nina fa innamorare Adriano Cavicchi, Il Resto del Carlino, 12 July 2000
Muti scava nel cuore dell'opera. Antonacci super
RAVENNA - Nina, o sia la pazza per amore di Giovanni Paisiello è un modello di perfezione del nostro teatro musicale tardo settecentesco, tra il genere semiserio-larmoyant e il giocoso. Con felice scelta il Ravenna Festival, in collaborazione con la Scala e il Piccolo di Milano, ne ha realizzata un'edizione che rimarrà nella storia per l'esemplare lettura musicale di Riccardo Muti e l'eccellente messa in scena firmata dal regista Ruggero Cappuccio.
Ecco intanto la trama. Nina ama il già promesso sposo Lindoro quando il padre, per ottenere un partito migliore, le impone un altro consorte. A tale sopruso la ragazza impazzisce e non ricorda né riconosce più nessuno. Il dramma si impernia sull'attesa dell'amato, che alla fine ritorna, e sul suo riconoscimento che concluderà l'opera col prevedibile lieto fine.
Proposta nella sua seconda versione con i dialoghi parlati in italiano, al modo dell'opéra comique francese, Nina rivela la sua straordinaria eleganza di scrittura fin dalla bellissima ouverture. L'aspetto più originale dell'arte di Paisiello - indimenticabile il "finale primo" - sta nella capacità di cogliere e illustrare lo stato d'animo dei personaggi, attraverso un sottile scavo psicologico e una rara maestria vocale e strumentale. Muti non solo ha disegnato una lettura palpitante ed elegantissima ma ha, allo stesso tempo, portato in luce inaspettate correlazioni con Mozart e Rossini. Ne è scaturita una qualità esecutiva perfetta, che rimarrà a lungo un punto di riferimento per la timbrica dell'opera napoletana. E vanno naturalmente sottolineati la fusione del suono dell'orchestra e del coro, le belle scene di Edoardo Sanchi e i preziosi costumi di Carlo Poggioli.
A una così alta qualità musicale ha corrisposto un taglio registico ben curato nella recitazione e soprattutto nei movimenti. Da ricordare la componente giocosa tradotta da Cappuccio con una gestualità da raffinata commedia dell'arte. Di Anna Caterina Antonacci, inimitabile protagonista (sia pure in stato di gravidanza), è difficile dire se sia stata migliore come cantante o come attrice: è apparsa sempre ai massimi livelli per la tensione espressiva e il vigore drammatico impresso al suo difficile ruolo. Juan Diego Florez è stato un Lindoro ideale per generosità e passionalità. Forse un po' troppo austero e compunto nel ruolo di padre-padrone pentito è parso Michele Pertusi, comunque incisivo. Successo personale per il comico-caricato Carlo Lepore, unico personaggio giocoso. La spigliata Donatella Lombardi ha ben interpretato il ruolo di mezzo carattere di Susanna. Applausi calorosi a scena aperta ed entusiastici alla fine da parte del folto pubblico dell'Alighieri. Repliche giovedì e sabato. Da non perdere.
Paisello La dolcezza della follia Paolo Isotta, Corriere della Sera, 27 September 1999
Il tema dell' amore sospeso tra sogno ed elegia reso con perfezione stilistica da Muti. Nonostante i limiti di acustica del teatro PAISIELLO La dolcezza della follia Nina, o sia la pazza per amore rappresentata nella nuova sede del "Piccolo Teatro": con le note di Paisiello, dopo quelle di Aldo Clementi, inizia una sperata collaborazione fra due, piu' che teatri, istituzioni milanesi. Solo in via incidentale si accennera' al carattere inospitale dell' edificio, alle sue inspiegabili bruttezze, alla sua acustica disastrosa specie per l' esecuzione musicale. Occorre mettere in rilievo come, proprio per l' occasione, agli inconvenienti di ordine acustico si sia tentato per quanto possibile di porre riparo; e cosi' anche a taluni di ordine estetico. Appare gia' miracoloso che nella secchezza acustica atta a impoverire qualsiasi nota di voce o strumento privandola di parte dei suoni armonici concomitanti l'Orchestra de lla Scala sotto la bacchetta del maestro Muti renda ben piu' che potenzialmente il timbro soffice e trasparente della partitura. Parlare di uno dei prodigi della musica italiana e del suo grande autore ci riporta ai frammenti del discorso sull' eros che da mesi occasioni musicali vengono sollecitando. Qui la prospettiva e' ancor diversa: nell' eros e negl' impulsi affettivi della psiche si vede causa e insieme rimedio della follia. Il tema risale ben di la' dal Settecento. L' Antico, a partire d al frammento di Saffo tradotto da Catullo, considerava automatica l' identificazione tra l' amore siccome ipocritamente inteso dal Moderno e la pazzia. Accompagnato dall' epiteto di "divino" era solo l' invasamento creativo. La perdita della ragione a seguito di invincibile passione erotica e' topos letterario vivo per secoli. La psicologia e la psichiatria settecentesca si sovrappongono alla quieta elaborazione del topos: esse rudimentalmente credevano che traumi emotivi eguali e contrari potes sero salvare il paziente dal pozzo oscuro. Il soggetto della Nina possiederebbe allora elementi di attualita' storica e sociale; ma un' anima naturaliter classica come quella di Paisiello non vi ha molto da fare. Il potere astrattivo della musica, e della sua musica, prospetta la vicenda con occhio ancora antico: onde il miracolo d' un' inquietante rappresentazione della follia che vapora a tal punto nel patetico, nella melancolia intesa come categoria universale, nell' onirico, da trasfigurare ogni fatto e ogni accento. La raffinatezza e' insuperabile: sofisticati mezzi piegano in senso realistico la naturale autonomia del linguaggio musicale, ma l' esito finale e' la distruzione del realismo. Resta a galleggiare nell' aria, per sempre, il profumo dell' elegia. L' ispirazione melodica di Paisiello puo' definirsi solo celeste; chi fosse nella lieta condizione dell' assoluta ingenuita' potrebbe starsene contento a essa e ascoltare tutta la Nina con lo stupore dedicato a una favola bosch ereccia. Quanto ci vuole per scrivere cosi' "naturali" melodie! Ed e' solo il presupposto, necessario ma insufficiente. Paisiello circonfonde la melodia degli accordi piu' patetici; elabora ampie forme musicali per violarne ad arte il corso; dissemin a figuralismi (imitatio naturae) e dell' ambiente pastorale (il trattamento di oboi, fagotti e clarinetti e' addirittura commovente) e del continuo mutare dell' animo, l' instabilita' propria della pazzia. I musicisti italiani viventi durante il Classico mostrano spesso un suono orchestrale con "buchi" per frettolosa rifinitura. Della finitura l' orchestra di Paisiello e' , nella sua studiata semplicita' , esempio principe: e possiede un timbro pastello suo proprio, ove spesso il velluto delle v oci medie guida il discorso. Se il grande talento del Tarantino nel genio qui trapassa, si vorrebbe una piu' attenta considerazione di tutta la sua opera. Di ogni compositore napoletano per scuola si finisce collo studiare ed eseguire la produzione c omica; la Nina non e' opera tragica solo secondo le gerarchie dei "generi" e, modernamente diremmo, per il suo carattere onirico ed elegiaco; ma gia' la sublime Passione metastasiana, diretta da Raffaello Monterosso, mostra quali complesse frecce la faretra di Paisiello possegga. La rappresentazione della Nina al "Piccolo" andrebbe qualificata avvenimento storico sotto vari profili. La scelta d' un titolo del genere implica coraggio e consola che il successo la premi.
Coraggio ulteriore mostra Riccardo Muti nella perfezione stilistica con che legge la partitura. Il suo naturale riserbo classico si sposa a una quasi estenuata decantazione del timbro orchestrale. Se si considera la congiunta decantazione nella pronuncia di ogni singola locuzi one musicale e, piu' ampiamente, nel fraseggio, ecco che ogni battuta diviene ex se espressiva. + difficile immaginare una lettura musicale parimenti perfetta: in essa le pause, i silenzi, le esitazioni ottenuti con alta arte ("intermittences du coeur") contano quanto la musica stessa. Si pensi alla grande Scena e Aria di Lindoro nel II atto; Juan Diego Florez, con la bellezza del timbro, la chiarezza della dizione, la lodevole tecnica del fiato, s' integra nella visione del Maestro fornendo pre stazione ammirevole. Quella di tutti gli altri cantanti e' aduggiata da una preferenza che non condividiamo: derivando il testo dell' opera da un originale francese con musiche di Dalayrac, s' e' adottata la versione "Opera comique" (in italiano), os sia quel genere ibrido che alterna parti recitate in prosa a quelle messe in musica. Gli inconvenienti vanno dalla rottura dell' unita' del linguaggio al continuo costringere i cantanti a mutare d' impostazione, con l' esito di impedire la distension e del diaframma. Come vorremmo che il Flauto magico e il Fidelio possedessero recitativi! come siamo grati a Lachner e Guiraud per averne scritti per la Medea e la Carmen! e qual senso di lieve delusione invade di fronte a commedie musicali che non s iano di Cole Porter...
Pretendere che cantanti siano buoni attori di prosa e' eccessivo. Ma la prosa e' in Italia cosi' decaduta che la prestazione di tutti non pare inferiore al birignao teatrale ordinario; cio' sembra peraltro lo scopo del regista Ruggero Cappuccio. Egli dissipa l' unita' di tono meravigliosamente raggiunta da Paisiello mediante incongrui moti di mimi, resa dei personaggi caricata fino alla caricatura, fallite simbologie, ammicchi furbeschi a De Simone, a Ronconi, a Marini, at ti, evidentemente, a ostendere la sua cultura. La protagonista Caterina Antonacci, aiutando anche le ridotte dimensioni della sala, offre un' accettabile prestazione vocale che diviene pregevole nella ricerca di sfumature. Le manca purtroppo il senso dell' elegia, della sospensione del tempo e dello spazio ove tutta la vicenda si svolge. Ella drammatizza ogni attitude e moto, fino al saccade' della dizione, spingendosi al grottesco; siamo lieti per lei che, giusta odierna intervista, voglia dedi carsi anche al teatro parlato. Esemplare, come sempre, Michele Pertusi; il baritono Carlo Lepore canta bene a onta di moti e attitudini a lui imposti, questi si' di vera follia; all' incirca lo stesso puo' dirsi del soprano Donatella Lombardi; il "pa store" Giuseppe Filianoti ha cosi' bel timbro che una piu' curata intonazione lo valorizzerebbe a fondo. Ma non c' e' riserva che tenga: dallo spettacolo si esce in stato di estasi. Anche solo cosi' , dovrebbe restare tra i perni del repertorio. Chi scrive vorrebbe riascoltare la Nina una volta all' anno.
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