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REVIEWS
La Sonnambula,  La Scala, January 2001

Il (bel) canto libero, Diario, January 2001
Bel canto ricamo di sentimenti, jactus.it, 14 January 2001
Il doloroso profumo della melodia, Corriere della Sera, 16 January 2001
La Sonnambula Milan [excerpt], Opera News, April 2001
______________________________________________________________

Il (bel) canto libero
Elvio Giudici, Diario, January 2001

All'Opera Il (bel) canto libero Ottimi interpreti per un successo alla
Scala

Arduo, oggi, affrontare quel capolavoro che pure
è la belliniana Sonnambula: all'impervia vocalità sommandosi una trama
tutta staticità e buoni sentimenti, col rischio dello spot del Mulino
Bianco sempre dietro l'angolo. Pier'Alli ha inteso schivare tale insidia
eliminando prati, monti, boschetti, e confinando l'onnipresente coro ai
lati, a fare nulla più che il coro, mentre la scarsa azione viene
affidata a uno stuolo (invadente, però) di mimi danzatori. Idea buona,
ma vanificata da svolazzi intellettuali oltremodo fastidiosi sia nei
gesti d'insistita leziosità cui costringe i personaggi, sia nel
galleggiare a mezz'aria di stanze e verzura che, lungi dall'evocare
inquietudini oniriche, fa piuttosto pensare a difettose Sante Case di
Loreto. La direzione di Benini è un ron-ron solfeggiante, che sfugge
ogni pulsione dinamica, colore o rubato, però riesce quantomeno a non
coprire mai il canto: ovvero l'unica, ma sublime, ragion d'essere di
questo spettacolo. La splendida voce di Michele Pertusi, piegata a un
canto morbido, fluido e sfumatissimo, plasma un Conte di giovanile
passionalità, cui la sapida ironia di certi fraseggi conferisce tratti
d'accattivante simpatia. Chiara, luminosa, omogenea e sicurissima
nell'oltremodo sollecitato registro acuto, la vocalità di Juan Diego
Florez è tanto notevole da compensare talune saltuarie monotonie di
fraseggio. Laddove, nell'Amina di Natalie Dessay, cantante e interprete
fanno una cosa sola: e di portata storica. Tutto l'armamentario della
suprema virtuosa è gloriosamente presente all'appello, ivi compreso il
virtuosismo supremo di non sembrar tale: ma l'accento, da ogni
vertiginoso sovracuto o preziosità acrobatica estrae sempre la loro
ragion d'essere espressiva, apice una scena finale le cui ineffabili
carezze vocali che trascolorano a mezz'aria sono altrettanti brividi
dell'anima, di quelli che si ricordano poi per una vita. La sonnambula
direttore: Maurizio Benini regia, scene, costumi: Pier'Alli interpreti:
Natalie Dessay, Michele Pertusi al: Teatro alla Scala di Milano.

La Sonnambula alla Scala: Bel canto ricamo di sentimenti
Marco Pocchiola, www.jactus.it, 14 January 2001

Da dove inizio? Sicuramente dalle impressioni del cuore. Perché direttamente al cuore si rivolgeva l'interpretazione dei cantanti nella Sonnambula, ieri sera alla Scala. A volte l'interpretazione del bel canto è fatta di tecnica e di vocalità impeccabile, ma drammaticamente non pertinente al testo. In questo nuovo allestimento le cose non stavano così: l'impegno richiesto dal punti di vista del canto è stato onorato alla grande, e la drammaturgia semplice ed essenziale di quest'opera è stata sbalzata splendidamente.

Inizio da Michele Pertusi: il bel canto italiano trionfa nella interpretazione della sua aria del primo
atto. Si rimane sbalorditi dalla nobiltà del suono e dell'accento, dallo straordinario senso del legato;
nella ripresa della cabaletta porta delle variazioni e delle fioriture (per me inedite) di particolare
ricchezza, e, mi pare, difficoltà. Ma lo stesso senso del legato Pertusi lo porta in ogni frase cantata dal Conte, e anche lui contribuisce a rendere indimenticabile la scena del sonnambulismo, di cui dirò in seguito.

Juan Diego Florez: ma chi può interpretare meglio di lui Elvino??? Il più grande merito di questo cantante, la cosa che mi lascia ad ogni ascolto meravigliato, è la sua grande capacità di dare rilievo alla parola: sia dal punto di vista della dizione, sia da quello della interpretazione. Va da sé che dietro a ciò sta una tecnica ed una preparazione impeccabile, per cui Florez fa sentire perfettamente le parole che canta, l'accento ed il sentimento che esprimono, aiutato da un timbro fresco e pertinente al personaggio di Elvino, semplicione che si muove per emozioni "elementari". Non si può non parlare degli acuti, che sicuri e timbratissimi sono risuonati nella grande Scala, ma io preferisco ricordare certi attacchi da brivido, in cui le variazioni nella dinamica sonora sono state usate per esprimere sentimenti e commozione. Dall'entrata, a "Prendi, l'anel ti dono", e poi "Son geloso del zefiro errante".

All'inizio del secondo atto "Tutto è sciolto" è stato attaccato da Florez con una mezza voce da
brivido. Ecco, quest'ultimo è un esempio della meraviglia di questa Sonnambula: credere nella
drammaturgia semplice di questa opera, nei sentimenti dei personaggi, e farli sentire in una
dimensione di universalità. Così Elvino che entra in scena, e canta il suo dolore: "Tutto è
sciolto:/ più per me non v'ha conforto./ Il mio cor per sempre è morto/ alla gioia ed al dolor". Letta
di filato può fare sorridere, cantata da Florez diventa l'espressione di un sentimento tragico e
romantico, diventa verità in scena. Il suo dolore diventa il dolore di tutti, ed è espressione del distacco: per Elvino il distacco da Amina, per chi ascolta... ma chi non ha vissuto un distacco? Elvino canta per tutti noi, sulle labbra di Florez, che si è ben meritato le ovazioni del pubblico.

Amina di Nathalie Dessay: il mio cuore l'ho lasciato nella sala del Piermarini, per troppo palpitare (palco 10 sinistra, per chi lo trovasse). Incredibile. Lascio a chi conosce la partitura, e ai musicisti entrare nel merito
tecnico di questa incredibile interpretazione. Non avevo mai ascoltato la Dessay dal vivo. Avevo sentito parlare di voce dal volume non particolarmente grande, il che mi è parso vero solo in parte. Il timbro
è fantastico: pieno e lirico, e soprattutto usato al servizio delle varie situazioni dello sviluppo drammatico, insieme ad una tecnica strepitosa. Parlare della sicurezza degli acuti, parlare della straordinarietà delle
coloriture è riduttivo, al cospetto di un'interpretazione del personaggio di Amina nella quale ogni singola parola ha avuto il suo giusto rilievo.

Così Amina entra in scena, canta la sua prima aria ("Come per me sereno"), e poi arriva il momento
della cabaletta ("Sovra il sen la man mi posa"), nella cui ripresa vengono snocciolate variazioni
virtuosistiche personali e stellari; "...egli è il cor che i suoi contenti/ non ha forza a sostener": la Dessay esprime con la coloratura l'emozione del personaggio per le nozze imminenti, il suo non stare più nella pelle.

Poi l'incontro con Elvino: straordinario l'affiatamento con Florez, e la resa del duetto "Son geloso del zefiro errante", con le infinite ripetizioni in chiusura sulla meravigliosa frase "Pur nel sonno il mio cor ti vedrà".

Nella prima scena del Sonnambulismo, la Dessay esce con un timbro differente: il timbro della dormiente; la voce diventa uno strumento musicale, ad esprimere il sogno di nozze con Elvino, il timore per la sua gelosia.
Un'immagine in questa scena resterà impressa per sempre nella mia memoria, l'immagine simbolo
della straordinaria Dessay attrice: verso la fine, Amina si avvicina al divano, nella stanza del conte.
Questi canta "Giglio innocente e puro, conserva il tuo candor", poi la Dessay, sempre cantando si
lascia cadere lentamente sulle ginocchia, la schiena e la testa leggermente reclinate all'indietro, come un fiore della notte, che all'arrivo del giorno chiude i propri petali. Il Conte Rodolfo è dietro Amina, le mani appena rivolte alle spalle di lei, risolto a non svegliarla, ma canta "Ah se più resto, io sento la virtù mancar", e tanto è il precipitare all'indietro e sulle ginocchia, lento, di Amina, tanta è l'ansia del Conte affinché Amina/fiore della notte non si spezzi, ma anche affinché la propria tentazione non abbia il sopravvento: così le mani seguono il movimento delle spalle pur senza toccarle. Commozione infinita.

Al risveglio la Dessay tira fuori un accento nuovamente differente, questa volta drammatico, ad
esprimere il dolore di Amina ("D'un pensiero e d'un accento"), così completa il primo atto presentando il personaggio sotto tre diverse angolazioni: la prima, estatica ed innamorata, la seconda (scena del sonnambulismo) e quest'ultima, in chiusura. Tutto questo reso con la voce e con il proprio modo di stare sulla scena.

Mille cose vorrei dire sulla Dessay, e un libro intero si potrebbe scrivere sulla scena finale, la seconda del sonnambulismo: la voce si fa di nuovo strumento, e veicolo di emozioni universali: "Ah, non credea mirarti/ si presto estinto fiore;/ passasti al par d'amore,/ che un giorno sol durò": tutti sappiamo che la vicenda si concluderà, che Elvino è già lì, pronto a restituirle l'anello, ma tutto è fermo, al cospetto del dolore di Amina, e Nathalie Dessay fa fermare il tempo con la sua voce e con la sua interpretazione (è lì che ho lasciato il cuore del tutto). Poi arriva la cabaletta, cantata nella ripresa senza troppe fioriture, ma con una cadenza finale stellare e di grande impatto, ed il teatro è venuto giù dagli applausi.

Un breve cenno sulla regia e sul direttore. Pier'Alli è stato contestato dal pubblico. A me la regia non è troppo
dispiaciuta, tutta basata su atmosfere rarefatte, con il tulle sempre presente (mi è parso...) al proscenio.
Bella seconda scena del primo atto, con le sue geometrie moderne; viceversa non mi è piaciuta per nulla la seconda scena del secondo atto, con una ruota di mulino che girava in fondo, ma che era assolutamente irrealistica, e del tutto avulsa dal disegno complessivo della scena. Non c'è assolutamente stato, alla fine, il trionfo di luce e di colore (promesso dal regista) sulla cabaletta finale di Amina, piuttosto si sono visti dei mimi a fondo scena, e non ho ben capito che cosa stessero maneggiando. Peccato per i colori sempre complessivamente plumbei: in particolare in tutto il primo atto c'è stato un "concetto" di colori pastello tutto virato al grigio/beige. I cantanti si sono mossi sulla scena con passionalità e sicurezza, partecipi delle emozioni dei personaggi.

Anche il direttone Benini è stato contestato, a mio parere ingiustamente. Ha avuto il grande merito di sostenere degli interpreti, e l'umiltà di fare un passo indietro, lasciando l'orchestra al servizio del canto, cosa niente affatto frequente.

Come detto un mare di ovazioni ha salutato i cantanti alla fine della
rappresentazione

Il doloroso profumo della melodia
Paola Isotta, Corriere della Sera 16 January 2001

ELZEVIRO «La Sonnambula» alla Scala Il doloroso profumo della melodia E
ra davvero un tipaccio, Vincenzo Bellini: biondo, bellissimo, elegante,
di naturale distinzione, provava invidia per qualunque collega suo,
sfruttò per tutta la vita le donne avv alendosi della sua attrattiva e
della rinomanza delle prestazioni erotiche. Prestazioni: in senso
stretto, essendo egli in realtà attratto dagli uomini, come il
compositore, ancor di lui più distinto, al quale per innata affinità di
ethos musicale va accostato, Chopin. Il sacrificio pecuniario di molte
dame va benedetto e considerato patrimonio ideale della nostra Nazione e
della nostra storia, giacché permise di scrivere le sue opere a colui il
quale, benché prematuramente e forse per cause mis teriose scomparso, è
da considerare il più grande compositore italiano dell' Ottocento. Il
MMI (2001) è anche centenario della nascita di Bellini, che meriterebbe
d' esser celebrato almeno quanto l' illustre collega. Pensino gli
appassionati di Verdi a placare i Mani di Bellini e di Donizetti. Se il
primo, che naturalmente odiava il secondo essendone altrettanto
naturalmente amato con tenerezza, non avesse avuto il garbo, seguito
dopo un decennio dal Bergamasco, di uscir di scena, la vita e la c
arriera di Verdi sarebbero state diverse, forse migliori: il confronto
l' avrebbe costretto a superare se stesso. Chi sa se alle donne Bellini
parlasse con quel pathos elegiaco, con quell' eleganza irraggiungibile
sempre trascolorante in mestizia, del più affascinante suo personaggio
maschile, Elvino. E' questi il protagonista della Sonnambula: per
inciso, si tratta a nostra opinione del ruolo tenorile più difficile
dell' intero repertorio. Così, con gioia nostra condivisa da tutto il
pub blico, il nostro teatro al Trovatore inaugurale fa seguire una
meravigliosa Sonnambula: una delle motivazioni dell' aggettivo si radica
proprio nell' angelico stile di canto del nostro Elvino, Juan Diego
Florez, all' impeccabilità tecnica congiungente l' aristocrazia della
linea e un timbro specificamente belliniano. Se la voce di Bellini
riusciva a far sentire a una donna un tono riecheggiante quelle melodie
roride di lagrime, ben si possono comprendere talune appassionate
dedizioni che gli furono dedicate. Il divino soprano Giuditta Pasta,
prima interprete della Sonnambula al Carcano, poi della Norma, orgoglio
un po' negletto del municipio di Saronno, causa di onta del municipio di
Blevio (Como) che ne possiede la tomba e non Gli ha dedica to nemmeno
una via, fu artista elettissima e geniale, spirito fra i più sensibili e
ricchi di humour: come non commuoversi fino al pianto al leggere le
parole, accompagnanti un fiore disseccatosi (delicata allusione all'
«estinto fiore» di Ah non cre dea mirarti, Romanza fra le più alte mai
create da mente umana) ch' Ella conservò nel manoscritto della Norma
finché non le riuscì di dominare appieno Casta diva? La voce della Pasta
tacerà per sempre per noi. La Sonnambula ha per interprete alla Scala
un' illustre vocalista, Nathalie Dessay. Attesa, forse anche troppo,
dagli appassionati del Bel Canto, consegue un trionfo personale non
inferiore a quello attribuito al Florez. Signora com' è della
coloratura, ella è artista impeccabile e lussuos a; il suo sforzo per
adeguarsi al possibile allo stile cantabile belliniano va apprezzato.

Purché sia chiaro che si parla di cantatrice di prima sfera, sia lecito
tuttavia osservare che la sua vocazione (chiamata, incarico: va bene?
avete imparato un a parola) rappresenta, per la Sonnambula, uno spreco e
un «non abbastanza». Va dapprima ricordato che in tutto il Melodramma,
ma in particolare in Bellini, il Recitativo ha importanza pari, se non
superiore, rispetto ai pezzi chiusi. Nell' Ari oso belliniano, ove la
sillaba stessa acquisisce valore melico-timbrico, e ove il rapporto tra
vuoti e pieni, musica e silenzio, è difficillimo a realizzarsi, ella si
sforza giungendo al buono, non certo all' ottimo. Aggiungeremo che né il
suo timbro né sempre il volume sono omogenei lungo tutta la gamma.
Insuperabile nel canto fiorito, il suo virtuosismo è forse eccessivo
rispetto al ruolo: tanto che in taluna «ripresa» di Cabaletta le note
aggiunte a mo' di Variazione varcano i limiti del buon gusto. Noi
vorremmo ascoltarla, per esempio, nella squisita Lakmé di Delibes: va
ricordata la suprema linearità neoclassica della melodia belliniana,
laddove lo stile della signorina Dessay pare piuttosto il Liberty. Ci
permettiamo di dissentire anc he per la riapertura dei tagli di
tradizione nel ruolo di Lisa, Cinzia Forte. Esso è inutilmente
difficile, non attingendo supremi valori musicali: togliersi sfizi del
genere conviene quando si possegga un' interprete fuori del comune. Il
bravo Miche le Pertusi canterà di sicuro da par suo alle repliche.

Veniamo agli altri punti di forza dello spettacolo. Il geniale Pier'
Alli concepisce come sempre unitariamente i suoi spettacoli: a lui si
debbono regia, bozzetti, figurini. L' allestimento è fra i più belli,
nel coraggio di alcune scelte radicali, che mai si siano visti: ma è due
volte bello per il fatto di fondersi con l' ethos belliniano fino a
scomparire in esso. Elegantissime prospettive architettoniche tra il
razionalismo e il neo-goti co o analoghi fondali assumono tutti tinta
cinerea da far rabbrividire; lo spettacolo va delicatissimamente
ombrandosi fino a divenir immagine stessa del crepuscolo; le luci son
trattate con mano così sapiente da consentirci di definire Pier' Alli er
ede di Adolphe Appia nel trasformare l' illuminotecnica in poesia. Ciò
ricorda cosa terribile che non tutti sono disposti ad accettare: la
suprema e in apparenza solo lirica bellezza di questa musica nasce dal
dolore e il dolore dipinge, trasfigurato . Gran fonte di soddisfazione
viene all' ascoltatore dalla presenza sul podio del maestro Maurizio
Benini. Conoscitore dello stile, egli sfugge a ogni insidia dell'
acustica della Scala e della cattiva orchestrazione di Bellini; onde mai
si verifican o squilibrii fonici. Accompagnatore, a dir così, di
elasticità e prontezza di riflessi eccellenti, capace, come suol dirsi,
di dare aria e flou alla musica, egli, senza parere, lascia che il
profumo della melodia si esali al punto da inebriare.

Review: La Sonnambula Milan [excerpt]
Stephen Hastings, Opera News, April 2001

[...] The cast was as strong as any one could hear today, and some of the
music -- such as the "Zefiro errante" duet in Act I -- was performed
with breathtaking refinement and virtuosity. Natalie Dessay (Amina) and
Juan Diego Flórez (Elvino) are extraordinarily musical singers, and it
was a rare pleasure to hear them onstage together. [...]

REVIEWS
La Sonnambula,  La Scala, January 2001

Il (bel) canto libero, Diario, January 2001
Bel canto ricamo di sentimenti, jactus.it, 14 January 2001
Il doloroso profumo della melodia, Corriere della Sera, 16 January 2001
La Sonnambula Milan [excerpt], Opera News, April 2001
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Il (bel) canto libero
Elvio Giudici, Diario, January 2001

All'Opera Il (bel) canto libero Ottimi interpreti per un successo alla
Scala

Arduo, oggi, affrontare quel capolavoro che pure
è la belliniana Sonnambula: all'impervia vocalità sommandosi una trama
tutta staticità e buoni sentimenti, col rischio dello spot del Mulino
Bianco sempre dietro l'angolo. Pier'Alli ha inteso schivare tale insidia
eliminando prati, monti, boschetti, e confinando l'onnipresente coro ai
lati, a fare nulla più che il coro, mentre la scarsa azione viene
affidata a uno stuolo (invadente, però) di mimi danzatori. Idea buona,
ma vanificata da svolazzi intellettuali oltremodo fastidiosi sia nei
gesti d'insistita leziosità cui costringe i personaggi, sia nel
galleggiare a mezz'aria di stanze e verzura che, lungi dall'evocare
inquietudini oniriche, fa piuttosto pensare a difettose Sante Case di
Loreto. La direzione di Benini è un ron-ron solfeggiante, che sfugge
ogni pulsione dinamica, colore o rubato, però riesce quantomeno a non
coprire mai il canto: ovvero l'unica, ma sublime, ragion d'essere di
questo spettacolo. La splendida voce di Michele Pertusi, piegata a un
canto morbido, fluido e sfumatissimo, plasma un Conte di giovanile
passionalità, cui la sapida ironia di certi fraseggi conferisce tratti
d'accattivante simpatia. Chiara, luminosa, omogenea e sicurissima
nell'oltremodo sollecitato registro acuto, la vocalità di Juan Diego
Florez è tanto notevole da compensare talune saltuarie monotonie di
fraseggio. Laddove, nell'Amina di Natalie Dessay, cantante e interprete
fanno una cosa sola: e di portata storica. Tutto l'armamentario della
suprema virtuosa è gloriosamente presente all'appello, ivi compreso il
virtuosismo supremo di non sembrar tale: ma l'accento, da ogni
vertiginoso sovracuto o preziosità acrobatica estrae sempre la loro
ragion d'essere espressiva, apice una scena finale le cui ineffabili
carezze vocali che trascolorano a mezz'aria sono altrettanti brividi
dell'anima, di quelli che si ricordano poi per una vita. La sonnambula
direttore: Maurizio Benini regia, scene, costumi: Pier'Alli interpreti:
Natalie Dessay, Michele Pertusi al: Teatro alla Scala di Milano.

La Sonnambula alla Scala: Bel canto ricamo di sentimenti
Marco Pocchiola, www.jactus.it, 14 January 2001

Da dove inizio? Sicuramente dalle impressioni del cuore. Perché direttamente al cuore si rivolgeva l'interpretazione dei cantanti nella Sonnambula, ieri sera alla Scala. A volte l'interpretazione del bel canto è fatta di tecnica e di vocalità impeccabile, ma drammaticamente non pertinente al testo. In questo nuovo allestimento le cose non stavano così: l'impegno richiesto dal punti di vista del canto è stato onorato alla grande, e la drammaturgia semplice ed essenziale di quest'opera è stata sbalzata splendidamente.

Inizio da Michele Pertusi: il bel canto italiano trionfa nella interpretazione della sua aria del primo
atto. Si rimane sbalorditi dalla nobiltà del suono e dell'accento, dallo straordinario senso del legato;
nella ripresa della cabaletta porta delle variazioni e delle fioriture (per me inedite) di particolare
ricchezza, e, mi pare, difficoltà. Ma lo stesso senso del legato Pertusi lo porta in ogni frase cantata dal Conte, e anche lui contribuisce a rendere indimenticabile la scena del sonnambulismo, di cui dirò in seguito.

Juan Diego Florez: ma chi può interpretare meglio di lui Elvino??? Il più grande merito di questo cantante, la cosa che mi lascia ad ogni ascolto meravigliato, è la sua grande capacità di dare rilievo alla parola: sia dal punto di vista della dizione, sia da quello della interpretazione. Va da sé che dietro a ciò sta una tecnica ed una preparazione impeccabile, per cui Florez fa sentire perfettamente le parole che canta, l'accento ed il sentimento che esprimono, aiutato da un timbro fresco e pertinente al personaggio di Elvino, semplicione che si muove per emozioni "elementari". Non si può non parlare degli acuti, che sicuri e timbratissimi sono risuonati nella grande Scala, ma io preferisco ricordare certi attacchi da brivido, in cui le variazioni nella dinamica sonora sono state usate per esprimere sentimenti e commozione. Dall'entrata, a "Prendi, l'anel ti dono", e poi "Son geloso del zefiro errante".

All'inizio del secondo atto "Tutto è sciolto" è stato attaccato da Florez con una mezza voce da
brivido. Ecco, quest'ultimo è un esempio della meraviglia di questa Sonnambula: credere nella
drammaturgia semplice di questa opera, nei sentimenti dei personaggi, e farli sentire in una
dimensione di universalità. Così Elvino che entra in scena, e canta il suo dolore: "Tutto è
sciolto:/ più per me non v'ha conforto./ Il mio cor per sempre è morto/ alla gioia ed al dolor". Letta
di filato può fare sorridere, cantata da Florez diventa l'espressione di un sentimento tragico e
romantico, diventa verità in scena. Il suo dolore diventa il dolore di tutti, ed è espressione del distacco: per Elvino il distacco da Amina, per chi ascolta... ma chi non ha vissuto un distacco? Elvino canta per tutti noi, sulle labbra di Florez, che si è ben meritato le ovazioni del pubblico.

Amina di Nathalie Dessay: il mio cuore l'ho lasciato nella sala del Piermarini, per troppo palpitare (palco 10 sinistra, per chi lo trovasse). Incredibile. Lascio a chi conosce la partitura, e ai musicisti entrare nel merito
tecnico di questa incredibile interpretazione. Non avevo mai ascoltato la Dessay dal vivo. Avevo sentito parlare di voce dal volume non particolarmente grande, il che mi è parso vero solo in parte. Il timbro
è fantastico: pieno e lirico, e soprattutto usato al servizio delle varie situazioni dello sviluppo drammatico, insieme ad una tecnica strepitosa. Parlare della sicurezza degli acuti, parlare della straordinarietà delle
coloriture è riduttivo, al cospetto di un'interpretazione del personaggio di Amina nella quale ogni singola parola ha avuto il suo giusto rilievo.

Così Amina entra in scena, canta la sua prima aria ("Come per me sereno"), e poi arriva il momento
della cabaletta ("Sovra il sen la man mi posa"), nella cui ripresa vengono snocciolate variazioni
virtuosistiche personali e stellari; "...egli è il cor che i suoi contenti/ non ha forza a sostener": la Dessay esprime con la coloratura l'emozione del personaggio per le nozze imminenti, il suo non stare più nella pelle.

Poi l'incontro con Elvino: straordinario l'affiatamento con Florez, e la resa del duetto "Son geloso del zefiro errante", con le infinite ripetizioni in chiusura sulla meravigliosa frase "Pur nel sonno il mio cor ti vedrà".

Nella prima scena del Sonnambulismo, la Dessay esce con un timbro differente: il timbro della dormiente; la voce diventa uno strumento musicale, ad esprimere il sogno di nozze con Elvino, il timore per la sua gelosia.
Un'immagine in questa scena resterà impressa per sempre nella mia memoria, l'immagine simbolo
della straordinaria Dessay attrice: verso la fine, Amina si avvicina al divano, nella stanza del conte.
Questi canta "Giglio innocente e puro, conserva il tuo candor", poi la Dessay, sempre cantando si
lascia cadere lentamente sulle ginocchia, la schiena e la testa leggermente reclinate all'indietro, come un fiore della notte, che all'arrivo del giorno chiude i propri petali. Il Conte Rodolfo è dietro Amina, le mani appena rivolte alle spalle di lei, risolto a non svegliarla, ma canta "Ah se più resto, io sento la virtù mancar", e tanto è il precipitare all'indietro e sulle ginocchia, lento, di Amina, tanta è l'ansia del Conte affinché Amina/fiore della notte non si spezzi, ma anche affinché la propria tentazione non abbia il sopravvento: così le mani seguono il movimento delle spalle pur senza toccarle. Commozione infinita.

Al risveglio la Dessay tira fuori un accento nuovamente differente, questa volta drammatico, ad
esprimere il dolore di Amina ("D'un pensiero e d'un accento"), così completa il primo atto presentando il personaggio sotto tre diverse angolazioni: la prima, estatica ed innamorata, la seconda (scena del sonnambulismo) e quest'ultima, in chiusura. Tutto questo reso con la voce e con il proprio modo di stare sulla scena.

Mille cose vorrei dire sulla Dessay, e un libro intero si potrebbe scrivere sulla scena finale, la seconda del sonnambulismo: la voce si fa di nuovo strumento, e veicolo di emozioni universali: "Ah, non credea mirarti/ si presto estinto fiore;/ passasti al par d'amore,/ che un giorno sol durò": tutti sappiamo che la vicenda si concluderà, che Elvino è già lì, pronto a restituirle l'anello, ma tutto è fermo, al cospetto del dolore di Amina, e Nathalie Dessay fa fermare il tempo con la sua voce e con la sua interpretazione (è lì che ho lasciato il cuore del tutto). Poi arriva la cabaletta, cantata nella ripresa senza troppe fioriture, ma con una cadenza finale stellare e di grande impatto, ed il teatro è venuto giù dagli applausi.

Un breve cenno sulla regia e sul direttore. Pier'Alli è stato contestato dal pubblico. A me la regia non è troppo
dispiaciuta, tutta basata su atmosfere rarefatte, con il tulle sempre presente (mi è parso...) al proscenio.
Bella seconda scena del primo atto, con le sue geometrie moderne; viceversa non mi è piaciuta per nulla la seconda scena del secondo atto, con una ruota di mulino che girava in fondo, ma che era assolutamente irrealistica, e del tutto avulsa dal disegno complessivo della scena. Non c'è assolutamente stato, alla fine, il trionfo di luce e di colore (promesso dal regista) sulla cabaletta finale di Amina, piuttosto si sono visti dei mimi a fondo scena, e non ho ben capito che cosa stessero maneggiando. Peccato per i colori sempre complessivamente plumbei: in particolare in tutto il primo atto c'è stato un "concetto" di colori pastello tutto virato al grigio/beige. I cantanti si sono mossi sulla scena con passionalità e sicurezza, partecipi delle emozioni dei personaggi.

Anche il direttone Benini è stato contestato, a mio parere ingiustamente. Ha avuto il grande merito di sostenere degli interpreti, e l'umiltà di fare un passo indietro, lasciando l'orchestra al servizio del canto, cosa niente affatto frequente.

Come detto un mare di ovazioni ha salutato i cantanti alla fine della
rappresentazione

Il doloroso profumo della melodia
Paola Isotta, Corriere della Sera 16 January 2001

ELZEVIRO «La Sonnambula» alla Scala Il doloroso profumo della melodia E
ra davvero un tipaccio, Vincenzo Bellini: biondo, bellissimo, elegante,
di naturale distinzione, provava invidia per qualunque collega suo,
sfruttò per tutta la vita le donne avv alendosi della sua attrattiva e
della rinomanza delle prestazioni erotiche. Prestazioni: in senso
stretto, essendo egli in realtà attratto dagli uomini, come il
compositore, ancor di lui più distinto, al quale per innata affinità di
ethos musicale va accostato, Chopin. Il sacrificio pecuniario di molte
dame va benedetto e considerato patrimonio ideale della nostra Nazione e
della nostra storia, giacché permise di scrivere le sue opere a colui il
quale, benché prematuramente e forse per cause mis teriose scomparso, è
da considerare il più grande compositore italiano dell' Ottocento. Il
MMI (2001) è anche centenario della nascita di Bellini, che meriterebbe
d' esser celebrato almeno quanto l' illustre collega. Pensino gli
appassionati di Verdi a placare i Mani di Bellini e di Donizetti. Se il
primo, che naturalmente odiava il secondo essendone altrettanto
naturalmente amato con tenerezza, non avesse avuto il garbo, seguito
dopo un decennio dal Bergamasco, di uscir di scena, la vita e la c
arriera di Verdi sarebbero state diverse, forse migliori: il confronto
l' avrebbe costretto a superare se stesso. Chi sa se alle donne Bellini
parlasse con quel pathos elegiaco, con quell' eleganza irraggiungibile
sempre trascolorante in mestizia, del più affascinante suo personaggio
maschile, Elvino. E' questi il protagonista della Sonnambula: per
inciso, si tratta a nostra opinione del ruolo tenorile più difficile
dell' intero repertorio. Così, con gioia nostra condivisa da tutto il
pub blico, il nostro teatro al Trovatore inaugurale fa seguire una
meravigliosa Sonnambula: una delle motivazioni dell' aggettivo si radica
proprio nell' angelico stile di canto del nostro Elvino, Juan Diego
Florez, all' impeccabilità tecnica congiungente l' aristocrazia della
linea e un timbro specificamente belliniano. Se la voce di Bellini
riusciva a far sentire a una donna un tono riecheggiante quelle melodie
roride di lagrime, ben si possono comprendere talune appassionate
dedizioni che gli furono dedicate. Il divino soprano Giuditta Pasta,
prima interprete della Sonnambula al Carcano, poi della Norma, orgoglio
un po' negletto del municipio di Saronno, causa di onta del municipio di
Blevio (Como) che ne possiede la tomba e non Gli ha dedica to nemmeno
una via, fu artista elettissima e geniale, spirito fra i più sensibili e
ricchi di humour: come non commuoversi fino al pianto al leggere le
parole, accompagnanti un fiore disseccatosi (delicata allusione all'
«estinto fiore» di Ah non cre dea mirarti, Romanza fra le più alte mai
create da mente umana) ch' Ella conservò nel manoscritto della Norma
finché non le riuscì di dominare appieno Casta diva? La voce della Pasta
tacerà per sempre per noi. La Sonnambula ha per interprete alla Scala
un' illustre vocalista, Nathalie Dessay. Attesa, forse anche troppo,
dagli appassionati del Bel Canto, consegue un trionfo personale non
inferiore a quello attribuito al Florez. Signora com' è della
coloratura, ella è artista impeccabile e lussuos a; il suo sforzo per
adeguarsi al possibile allo stile cantabile belliniano va apprezzato.

Purché sia chiaro che si parla di cantatrice di prima sfera, sia lecito
tuttavia osservare che la sua vocazione (chiamata, incarico: va bene?
avete imparato un a parola) rappresenta, per la Sonnambula, uno spreco e
un «non abbastanza». Va dapprima ricordato che in tutto il Melodramma,
ma in particolare in Bellini, il Recitativo ha importanza pari, se non
superiore, rispetto ai pezzi chiusi. Nell' Ari oso belliniano, ove la
sillaba stessa acquisisce valore melico-timbrico, e ove il rapporto tra
vuoti e pieni, musica e silenzio, è difficillimo a realizzarsi, ella si
sforza giungendo al buono, non certo all' ottimo. Aggiungeremo che né il
suo timbro né sempre il volume sono omogenei lungo tutta la gamma.
Insuperabile nel canto fiorito, il suo virtuosismo è forse eccessivo
rispetto al ruolo: tanto che in taluna «ripresa» di Cabaletta le note
aggiunte a mo' di Variazione varcano i limiti del buon gusto. Noi
vorremmo ascoltarla, per esempio, nella squisita Lakmé di Delibes: va
ricordata la suprema linearità neoclassica della melodia belliniana,
laddove lo stile della signorina Dessay pare piuttosto il Liberty. Ci
permettiamo di dissentire anc he per la riapertura dei tagli di
tradizione nel ruolo di Lisa, Cinzia Forte. Esso è inutilmente
difficile, non attingendo supremi valori musicali: togliersi sfizi del
genere conviene quando si possegga un' interprete fuori del comune. Il
bravo Miche le Pertusi canterà di sicuro da par suo alle repliche.

Veniamo agli altri punti di forza dello spettacolo. Il geniale Pier'
Alli concepisce come sempre unitariamente i suoi spettacoli: a lui si
debbono regia, bozzetti, figurini. L' allestimento è fra i più belli,
nel coraggio di alcune scelte radicali, che mai si siano visti: ma è due
volte bello per il fatto di fondersi con l' ethos belliniano fino a
scomparire in esso. Elegantissime prospettive architettoniche tra il
razionalismo e il neo-goti co o analoghi fondali assumono tutti tinta
cinerea da far rabbrividire; lo spettacolo va delicatissimamente
ombrandosi fino a divenir immagine stessa del crepuscolo; le luci son
trattate con mano così sapiente da consentirci di definire Pier' Alli er
ede di Adolphe Appia nel trasformare l' illuminotecnica in poesia. Ciò
ricorda cosa terribile che non tutti sono disposti ad accettare: la
suprema e in apparenza solo lirica bellezza di questa musica nasce dal
dolore e il dolore dipinge, trasfigurato . Gran fonte di soddisfazione
viene all' ascoltatore dalla presenza sul podio del maestro Maurizio
Benini. Conoscitore dello stile, egli sfugge a ogni insidia dell'
acustica della Scala e della cattiva orchestrazione di Bellini; onde mai
si verifican o squilibrii fonici. Accompagnatore, a dir così, di
elasticità e prontezza di riflessi eccellenti, capace, come suol dirsi,
di dare aria e flou alla musica, egli, senza parere, lascia che il
profumo della melodia si esali al punto da inebriare.

Review: La Sonnambula Milan [excerpt]
Stephen Hastings, Opera News, April 2001

[...] The cast was as strong as any one could hear today, and some of the
music -- such as the "Zefiro errante" duet in Act I -- was performed
with breathtaking refinement and virtuosity. Natalie Dessay (Amina) and
Juan Diego Flórez (Elvino) are extraordinarily musical singers, and it
was a rare pleasure to hear them onstage together. [...]

Page last updated on: June 3, 2002