REVIEWS La Sonnambula, La Scala, January 2001
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Il (bel) canto libero Elvio Giudici, Diario, January 2001
All'Opera Il (bel) canto libero Ottimi interpreti per un successo alla Scala
Arduo, oggi, affrontare quel capolavoro che pure è la belliniana Sonnambula: all'impervia vocalità sommandosi una trama tutta staticità e buoni sentimenti, col rischio dello spot del Mulino Bianco sempre dietro l'angolo. Pier'Alli ha inteso schivare tale insidia eliminando prati, monti, boschetti, e confinando l'onnipresente coro ai lati, a fare nulla più che il coro, mentre la scarsa azione viene affidata a uno stuolo (invadente, però) di mimi danzatori. Idea buona, ma vanificata da svolazzi intellettuali oltremodo fastidiosi sia nei gesti d'insistita leziosità cui costringe i personaggi, sia nel galleggiare a mezz'aria di stanze e verzura che, lungi dall'evocare inquietudini oniriche, fa piuttosto pensare a difettose Sante Case di Loreto. La direzione di Benini è un ron-ron solfeggiante, che sfugge ogni pulsione dinamica, colore o rubato, però riesce quantomeno a non coprire mai il canto: ovvero l'unica, ma sublime, ragion d'essere di questo spettacolo. La splendida voce di Michele Pertusi, piegata a un canto morbido, fluido e sfumatissimo, plasma un Conte di giovanile passionalità, cui la sapida ironia di certi fraseggi conferisce tratti d'accattivante simpatia. Chiara, luminosa, omogenea e sicurissima nell'oltremodo sollecitato registro acuto, la vocalità di Juan Diego Florez è tanto notevole da compensare talune saltuarie monotonie di fraseggio. Laddove, nell'Amina di Natalie Dessay, cantante e interprete fanno una cosa sola: e di portata storica. Tutto l'armamentario della suprema virtuosa è gloriosamente presente all'appello, ivi compreso il virtuosismo supremo di non sembrar tale: ma l'accento, da ogni vertiginoso sovracuto o preziosità acrobatica estrae sempre la loro ragion d'essere espressiva, apice una scena finale le cui ineffabili carezze vocali che trascolorano a mezz'aria sono altrettanti brividi dell'anima, di quelli che si ricordano poi per una vita. La sonnambula direttore: Maurizio Benini regia, scene, costumi: Pier'Alli interpreti: Natalie Dessay, Michele Pertusi al: Teatro alla Scala di Milano.
La Sonnambula alla Scala: Bel canto ricamo di sentimenti Marco Pocchiola, www.jactus.it, 14 January 2001
Da dove inizio? Sicuramente dalle impressioni del cuore. Perché direttamente al cuore si rivolgeva l'interpretazione dei cantanti nella Sonnambula, ieri sera alla Scala. A volte l'interpretazione del bel canto è fatta di tecnica e di vocalità impeccabile, ma drammaticamente non pertinente al testo. In questo nuovo allestimento le cose non stavano così: l'impegno richiesto dal punti di vista del canto è stato onorato alla grande, e la drammaturgia semplice ed essenziale di quest'opera è stata sbalzata splendidamente.
Inizio da Michele Pertusi: il bel canto italiano trionfa nella interpretazione della sua aria del primo atto. Si rimane sbalorditi dalla nobiltà del suono e dell'accento, dallo straordinario senso del legato; nella ripresa della cabaletta porta delle variazioni e delle fioriture (per me inedite) di particolare ricchezza, e, mi pare, difficoltà. Ma lo stesso senso del legato Pertusi lo porta in ogni frase cantata dal Conte, e anche lui contribuisce a rendere indimenticabile la scena del sonnambulismo, di cui dirò in seguito.
Juan Diego Florez: ma chi può interpretare meglio di lui Elvino??? Il più grande merito di questo cantante, la cosa che mi lascia ad ogni ascolto meravigliato, è la sua grande capacità di dare rilievo alla parola: sia dal punto di vista della dizione, sia da quello della interpretazione. Va da sé che dietro a ciò sta una tecnica ed una preparazione impeccabile, per cui Florez fa sentire perfettamente le parole che canta, l'accento ed il sentimento che esprimono, aiutato da un timbro fresco e pertinente al personaggio di Elvino, semplicione che si muove per emozioni "elementari". Non si può non parlare degli acuti, che sicuri e timbratissimi sono risuonati nella grande Scala, ma io preferisco ricordare certi attacchi da brivido, in cui le variazioni nella dinamica sonora sono state usate per esprimere sentimenti e commozione. Dall'entrata, a "Prendi, l'anel ti dono", e poi "Son geloso del zefiro errante".
All'inizio del secondo atto "Tutto è sciolto" è stato attaccato da Florez con una mezza voce da brivido. Ecco, quest'ultimo è un esempio della meraviglia di questa Sonnambula: credere nella drammaturgia semplice di questa opera, nei sentimenti dei personaggi, e farli sentire in una dimensione di universalità. Così Elvino che entra in scena, e canta il suo dolore: "Tutto è sciolto:/ più per me non v'ha conforto./ Il mio cor per sempre è morto/ alla gioia ed al dolor". Letta di filato può fare sorridere, cantata da Florez diventa l'espressione di un sentimento tragico e romantico, diventa verità in scena. Il suo dolore diventa il dolore di tutti, ed è espressione del distacco: per Elvino il distacco da Amina, per chi ascolta... ma chi non ha vissuto un distacco? Elvino canta per tutti noi, sulle labbra di Florez, che si è ben meritato le ovazioni del pubblico.
Amina di Nathalie Dessay: il mio cuore l'ho lasciato nella sala del Piermarini, per troppo palpitare (palco 10 sinistra, per chi lo trovasse). Incredibile. Lascio a chi conosce la partitura, e ai musicisti entrare nel merito tecnico di questa incredibile interpretazione. Non avevo mai ascoltato la Dessay dal vivo. Avevo sentito parlare di voce dal volume non particolarmente grande, il che mi è parso vero solo in parte. Il timbro è fantastico: pieno e lirico, e soprattutto usato al servizio delle varie situazioni dello sviluppo drammatico, insieme ad una tecnica strepitosa. Parlare della sicurezza degli acuti, parlare della straordinarietà delle coloriture è riduttivo, al cospetto di un'interpretazione del personaggio di Amina nella quale ogni singola parola ha avuto il suo giusto rilievo.
Così Amina entra in scena, canta la sua prima aria ("Come per me sereno"), e poi arriva il momento della cabaletta ("Sovra il sen la man mi posa"), nella cui ripresa vengono snocciolate variazioni virtuosistiche personali e stellari; "...egli è il cor che i suoi contenti/ non ha forza a sostener": la Dessay esprime con la coloratura l'emozione del personaggio per le nozze imminenti, il suo non stare più nella pelle.
Poi l'incontro con Elvino: straordinario l'affiatamento con Florez, e la resa del duetto "Son geloso del zefiro errante", con le infinite ripetizioni in chiusura sulla meravigliosa frase "Pur nel sonno il mio cor ti vedrà".
Nella prima scena del Sonnambulismo, la Dessay esce con un timbro differente: il timbro della dormiente; la voce diventa uno strumento musicale, ad esprimere il sogno di nozze con Elvino, il timore per la sua gelosia. Un'immagine in questa scena resterà impressa per sempre nella mia memoria, l'immagine simbolo della straordinaria Dessay attrice: verso la fine, Amina si avvicina al divano, nella stanza del conte. Questi canta "Giglio innocente e puro, conserva il tuo candor", poi la Dessay, sempre cantando si lascia cadere lentamente sulle ginocchia, la schiena e la testa leggermente reclinate all'indietro, come un fiore della notte, che all'arrivo del giorno chiude i propri petali. Il Conte Rodolfo è dietro Amina, le mani appena rivolte alle spalle di lei, risolto a non svegliarla, ma canta "Ah se più resto, io sento la virtù mancar", e tanto è il precipitare all'indietro e sulle ginocchia, lento, di Amina, tanta è l'ansia del Conte affinché Amina/fiore della notte non si spezzi, ma anche affinché la propria tentazione non abbia il sopravvento: così le mani seguono il movimento delle spalle pur senza toccarle. Commozione infinita.
Al risveglio la Dessay tira fuori un accento nuovamente differente, questa volta drammatico, ad esprimere il dolore di Amina ("D'un pensiero e d'un accento"), così completa il primo atto presentando il personaggio sotto tre diverse angolazioni: la prima, estatica ed innamorata, la seconda (scena del sonnambulismo) e quest'ultima, in chiusura. Tutto questo reso con la voce e con il proprio modo di stare sulla scena.
Mille cose vorrei dire sulla Dessay, e un libro intero si potrebbe scrivere sulla scena finale, la seconda del sonnambulismo: la voce si fa di nuovo strumento, e veicolo di emozioni universali: "Ah, non credea mirarti/ si presto estinto fiore;/ passasti al par d'amore,/ che un giorno sol durò": tutti sappiamo che la vicenda si concluderà, che Elvino è già lì, pronto a restituirle l'anello, ma tutto è fermo, al cospetto del dolore di Amina, e Nathalie Dessay fa fermare il tempo con la sua voce e con la sua interpretazione (è lì che ho lasciato il cuore del tutto). Poi arriva la cabaletta, cantata nella ripresa senza troppe fioriture, ma con una cadenza finale stellare e di grande impatto, ed il teatro è venuto giù dagli applausi.
Un breve cenno sulla regia e sul direttore. Pier'Alli è stato contestato dal pubblico. A me la regia non è troppo dispiaciuta, tutta basata su atmosfere rarefatte, con il tulle sempre presente (mi è parso...) al proscenio. Bella seconda scena del primo atto, con le sue geometrie moderne; viceversa non mi è piaciuta per nulla la seconda scena del secondo atto, con una ruota di mulino che girava in fondo, ma che era assolutamente irrealistica, e del tutto avulsa dal disegno complessivo della scena. Non c'è assolutamente stato, alla fine, il trionfo di luce e di colore (promesso dal regista) sulla cabaletta finale di Amina, piuttosto si sono visti dei mimi a fondo scena, e non ho ben capito che cosa stessero maneggiando. Peccato per i colori sempre complessivamente plumbei: in particolare in tutto il primo atto c'è stato un "concetto" di colori pastello tutto virato al grigio/beige. I cantanti si sono mossi sulla scena con passionalità e sicurezza, partecipi delle emozioni dei personaggi.
Anche il direttone Benini è stato contestato, a mio parere ingiustamente. Ha avuto il grande merito di sostenere degli interpreti, e l'umiltà di fare un passo indietro, lasciando l'orchestra al servizio del canto, cosa niente affatto frequente.
Come detto un mare di ovazioni ha salutato i cantanti alla fine della rappresentazione
Il doloroso profumo della melodia Paola Isotta, Corriere della Sera 16 January 2001
ELZEVIRO «La Sonnambula» alla Scala Il doloroso profumo della melodia E ra davvero un tipaccio, Vincenzo Bellini: biondo, bellissimo, elegante, di naturale distinzione, provava invidia per qualunque collega suo, sfruttò per tutta la vita le donne avv alendosi della sua attrattiva e della rinomanza delle prestazioni erotiche. Prestazioni: in senso stretto, essendo egli in realtà attratto dagli uomini, come il compositore, ancor di lui più distinto, al quale per innata affinità di ethos musicale va accostato, Chopin. Il sacrificio pecuniario di molte dame va benedetto e considerato patrimonio ideale della nostra Nazione e della nostra storia, giacché permise di scrivere le sue opere a colui il quale, benché prematuramente e forse per cause mis teriose scomparso, è da considerare il più grande compositore italiano dell' Ottocento. Il MMI (2001) è anche centenario della nascita di Bellini, che meriterebbe d' esser celebrato almeno quanto l' illustre collega. Pensino gli appassionati di Verdi a placare i Mani di Bellini e di Donizetti. Se il primo, che naturalmente odiava il secondo essendone altrettanto naturalmente amato con tenerezza, non avesse avuto il garbo, seguito dopo un decennio dal Bergamasco, di uscir di scena, la vita e la c arriera di Verdi sarebbero state diverse, forse migliori: il confronto l' avrebbe costretto a superare se stesso. Chi sa se alle donne Bellini parlasse con quel pathos elegiaco, con quell' eleganza irraggiungibile sempre trascolorante in mestizia, del più affascinante suo personaggio maschile, Elvino. E' questi il protagonista della Sonnambula: per inciso, si tratta a nostra opinione del ruolo tenorile più difficile dell' intero repertorio. Così, con gioia nostra condivisa da tutto il pub blico, il nostro teatro al Trovatore inaugurale fa seguire una meravigliosa Sonnambula: una delle motivazioni dell' aggettivo si radica proprio nell' angelico stile di canto del nostro Elvino, Juan Diego Florez, all' impeccabilità tecnica congiungente l' aristocrazia della linea e un timbro specificamente belliniano. Se la voce di Bellini riusciva a far sentire a una donna un tono riecheggiante quelle melodie roride di lagrime, ben si possono comprendere talune appassionate dedizioni che gli furono dedicate. Il divino soprano Giuditta Pasta, prima interprete della Sonnambula al Carcano, poi della Norma, orgoglio un po' negletto del municipio di Saronno, causa di onta del municipio di Blevio (Como) che ne possiede la tomba e non Gli ha dedica to nemmeno una via, fu artista elettissima e geniale, spirito fra i più sensibili e ricchi di humour: come non commuoversi fino al pianto al leggere le parole, accompagnanti un fiore disseccatosi (delicata allusione all' «estinto fiore» di Ah non cre dea mirarti, Romanza fra le più alte mai create da mente umana) ch' Ella conservò nel manoscritto della Norma finché non le riuscì di dominare appieno Casta diva? La voce della Pasta tacerà per sempre per noi. La Sonnambula ha per interprete alla Scala un' illustre vocalista, Nathalie Dessay. Attesa, forse anche troppo, dagli appassionati del Bel Canto, consegue un trionfo personale non inferiore a quello attribuito al Florez. Signora com' è della coloratura, ella è artista impeccabile e lussuos a; il suo sforzo per adeguarsi al possibile allo stile cantabile belliniano va apprezzato.
Purché sia chiaro che si parla di cantatrice di prima sfera, sia lecito tuttavia osservare che la sua vocazione (chiamata, incarico: va bene? avete imparato un a parola) rappresenta, per la Sonnambula, uno spreco e un «non abbastanza». Va dapprima ricordato che in tutto il Melodramma, ma in particolare in Bellini, il Recitativo ha importanza pari, se non superiore, rispetto ai pezzi chiusi. Nell' Ari oso belliniano, ove la sillaba stessa acquisisce valore melico-timbrico, e ove il rapporto tra vuoti e pieni, musica e silenzio, è difficillimo a realizzarsi, ella si sforza giungendo al buono, non certo all' ottimo. Aggiungeremo che né il suo timbro né sempre il volume sono omogenei lungo tutta la gamma. Insuperabile nel canto fiorito, il suo virtuosismo è forse eccessivo rispetto al ruolo: tanto che in taluna «ripresa» di Cabaletta le note aggiunte a mo' di Variazione varcano i limiti del buon gusto. Noi vorremmo ascoltarla, per esempio, nella squisita Lakmé di Delibes: va ricordata la suprema linearità neoclassica della melodia belliniana, laddove lo stile della signorina Dessay pare piuttosto il Liberty. Ci permettiamo di dissentire anc he per la riapertura dei tagli di tradizione nel ruolo di Lisa, Cinzia Forte. Esso è inutilmente difficile, non attingendo supremi valori musicali: togliersi sfizi del genere conviene quando si possegga un' interprete fuori del comune. Il bravo Miche le Pertusi canterà di sicuro da par suo alle repliche.
Veniamo agli altri punti di forza dello spettacolo. Il geniale Pier' Alli concepisce come sempre unitariamente i suoi spettacoli: a lui si debbono regia, bozzetti, figurini. L' allestimento è fra i più belli, nel coraggio di alcune scelte radicali, che mai si siano visti: ma è due volte bello per il fatto di fondersi con l' ethos belliniano fino a scomparire in esso. Elegantissime prospettive architettoniche tra il razionalismo e il neo-goti co o analoghi fondali assumono tutti tinta cinerea da far rabbrividire; lo spettacolo va delicatissimamente ombrandosi fino a divenir immagine stessa del crepuscolo; le luci son trattate con mano così sapiente da consentirci di definire Pier' Alli er ede di Adolphe Appia nel trasformare l' illuminotecnica in poesia. Ciò ricorda cosa terribile che non tutti sono disposti ad accettare: la suprema e in apparenza solo lirica bellezza di questa musica nasce dal dolore e il dolore dipinge, trasfigurato . Gran fonte di soddisfazione viene all' ascoltatore dalla presenza sul podio del maestro Maurizio Benini. Conoscitore dello stile, egli sfugge a ogni insidia dell' acustica della Scala e della cattiva orchestrazione di Bellini; onde mai si verifican o squilibrii fonici. Accompagnatore, a dir così, di elasticità e prontezza di riflessi eccellenti, capace, come suol dirsi, di dare aria e flou alla musica, egli, senza parere, lascia che il profumo della melodia si esali al punto da inebriare.
Review: La Sonnambula Milan [excerpt] Stephen Hastings, Opera News, April 2001
[...] The cast was as strong as any one could hear today, and some of the music -- such as the "Zefiro errante" duet in Act I -- was performed with breathtaking refinement and virtuosity. Natalie Dessay (Amina) and Juan Diego Flórez (Elvino) are extraordinarily musical singers, and it was a rare pleasure to hear them onstage together. [...]
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