REVIEWS Matilde di Shabran, Pesaro, August 1996 |
||||||||||||||||||
Click images for larger versions In review from around the world, Opera News, 28 December 1996 Con le ali del sorriso, Corriere della Sera, 15 August 1996 Matilde di Shabran, Opera Web, August 1996 _______________________________________________________________ |
||||||||||||||||||
In review from around the world Stephen Hastngs, Opera News, December 28, 1996 PESARO Rossini's semiserious Matilde di Shabran, first performed in Rome in 1821, was revived sporadically throughout the nineteenth century (it was a popular vehicle with the Marchisio sisters) but has been mounted only once before in this century (Genoa, 1974). The Rossini Opera Festival's new production at the Palafestival (seen Aug. 17), based on the more satisfactory -- but practically unknown -- Neapolitan version of the score (prepared by Jürgen Selk), proved quite a discovery. None of the solo numbers may be instantly memorable, but it is clearly a major work: the ensembles are exquisitely crafted and bewitching in effect, and the contrasting moods of Ferretti's tragicomic libretto, in which the tyrannical misogynist Corradino falls abjectly in love with Matilde, are ideally suited to the expressive ambivalence of Rossini's music. The production, designed and directed by Pier'Alli, caught the spirit of the score to perfection, making ironical use of a forbiddingly fortified setting and poking fun at Corradino's fetishistic love for weapons. Yves Abel's conducting matched the witty fluency of the staging, though the dynamic level of the orchestra of Bologna's Teatro Comunale (which gave its best performance ever at the festival) sometimes proved too much for the relatively lightweight voices. The cast included no star names but proved both stylish and homogenous. Elizabeth Futral -- though not ideally virtuosic in the final scene -- was convincing as the quick-witted Matilde and made much of the encounters with her nasty rival, the Contessa d'Arco (Francesca Franci). The twenty-three-year-old Peruvian tenor Juan Diego Florez proved something of a revelation as Corradino, dispatching his formidable florid measures without any sacrifice of tonal beauty or diction. Bruno Praticò offered a hilarious portrayal (in Neapolitan dialect) of the buffo Isidoro, and Roberto Frontali was excellent as Aliprando, though the part lies low for his high baritone. Perhaps the most eloquent, if not the most immaculate, singing came from Patricia Spence, who offered vibrant legato phrasing and expressively integrated coloratura in the travesty role of Edoardo. Like the rest of the cast (and the Prague Chamber Chorus), she was warmly applauded at the end of a long evening (the first of the two acts lasts two hours). Con le ali del sorriso Francesco Colombo, Corriere della Sera, 15 August 1996 A Pesaro la semiseria rossiniana, che anticipa il melodramma e l'operetta francese Mademoiselle Matilde di Shabran è giunta a Pesaro dove, negli ultimi giorni, l'attesa si era fatta febbrile. L'apparizione in pubblico dell'eroina «en titre» dell'opera di Rossini non ha deluso: Matilde è una creatura semiseria, l'ultima di questo ge nere fra quelle prodotte dal suo autore. Ha chiacchierato amabilmente per tutta la serata, senza mai toccare la sfera del patetico o del comico assoluto, ma con una certa brillantezza e una facondia mai smentita: e prima di congedarsi si è illuminata di bellezza, improvvisamente, dileguandosi in fretta e lasciando una cometa di incanto. Questa, in breve, è l'impressione suscitata dall'opera-clou del Festival rossiniano di quest'anno, la terz'ultima opera italiana di Rossini e forse la più mist eriosa fra tutte. «Matilde di Shabran», eseguita nella redazione napoletana (1821), è un immenso fondaco di formule musicali, che in quanto tali suonano come risultato della convenzione e della fretta, ma che in quanto discendenti dalla penna di un genio conservano una verve e uno charme irresistibili; poi, a metà del second'atto e in corrispondenza di un monumentale «Sestetto», le formule si fanno più incisive e diventano idee melodiche e drammaturgiche straordinarie: come se Rossini volesse far vedere chi è: dopo quel Sestetto, la «Matilde» prosegue su un piano sempre altissimo, e nella scena finale, dominata dalla protagonista, addirittura si inciela. E' una riscoperta, questa di «Matilde», che andava assolutamente fatta. Intanto, la trama è fra le più folli di tutti i tempi: come possano convivere, in una Spagna mitologica, un signorotto che tiene in spregio il mondo e particolarmente la sua metà femminile; un cavaliere che spasima per una bella la quale a sua volta fa innamora r di sé il signorotto, che essendo amato da un'altra (meno bella) stabilisce per tutti il carcere o la morte; un cantastorie napoletano che cita Dante e discetta di «porpette e maccarune» e che, davanti all'obbligo di giustiziare la bella gettandola in un dirupo, non esegue la condanna se non per «licenza poetica»; il tutto presso un castello che reca inscritte frasi come «A chi entra non chiamato / Sarà il cranio fracassato»: come, dicevo, questo ed altro possa comporsi in unità, è cosa impossibile a tutti ma non a Rossini. Perché unità si dia, ciascun numero dell'opera deve ampliarsi: Arie e Duetti diventano scene drammatiche pluricomposte, un «continuum» di musica che cambia foggia senza posa. Dal 1821 di «Matilde» intravedi g ià tanti aspetti dell'opera futura: da un lato, naturalmente, il melodramma romantico; dall'altro, ed è la cosa che sembra più interessante, quella «logica dell'assurdo» che, radicalizzata, porterà all'operetta francese del Secondo Impero: tutti i ca nnoni e i trofei militari della «Matilde» producono solo l'effetto del riso, perché la musica alleggerisce ogni cosa e la colora di tinte surreali: in lontananza, appaiono già l'argento vivo della «Fille du Régiment» di Donizetti, e il pennacchio tri onfale della «Grande-Duchesse de Gerolstein» di Jacques Offenbach. L'ingegno, le agilissime soluzioni, il gusto del paradosso, la vera eleganza cui ci ha assuefatto il regista Pier'Alli hanno trovato nella «Matilde di Shabran» il luogo dove manifes tarsi ancora una volta, vittoriosamente. L'Orchestra del Comunale di Bologna era diretta da Yves Abel, che ha saputo garantire scioltezza e fluidità alla pièce, e governare il «crescendo» rossiniano con mano felice. Il cast era buono ma mancava di una vera eroina nel ruolo eponimo: si sono illustrati, per dominio della scrittura ed esattezza di stile, Juan Diego Florez, Patricia Spence, Francesca Franci, Roberto Frontali e soprattutto Bruno Praticò, che a dispetto della parlata napoletana a no i richiama, nella gestualità del ruolo di Isidoro, l'arte grandissima di Lino Banfi. Quanto a Matilde, ella è graziosa come la sua interprete, Elizabeth Futral, che entra in scena come fosse una Mary Poppins capitata per sbaglio in quei luoghi tremen di: ma ci vogliono prestigio e personalità vocale d'altro smalto. MATILDE DI SHABRAN di Gioachino Rossini Palafestival, Pesaro fino al 23 agosto Matilde di Shabran Riccardo Domenichini, Opera Web, August 1996 La composizione di Matilde di Shabran, andata in scena con scarsa fortuna al teatro romano di Tordinona il 24 febbraio 1821, concluse un anno che, partito con Bianca e Falliero, aveva visto succedersi Ermione, Eduardo e Cristina, La donna del lago e Maometto II. Ridottosi a comporre quando già l'opera avrebbe dovuto essere andata in scena, Rossini pensò bene di avvalersi della collaborazione di Giovanni Pacini per la composizione dei recitativi e, soprattutto, di alcuni numeri. Nonostante la non entusiastica accoglienza romana, l'opera fu ripresa nell'autunno successivo a Napoli, ma in una versione ampiamente rimaneggiata e, questa volta, tutta di Rossini. Gli equilibri drammaturgici furono aggiustati conferendo maggior peso al contralto en travesti, ridimensionando il terzo ruolo di basso e, in generale, enfatizzando il ruolo dei brani di assieme. La Matilde romana e quella napoletana sono così, per molti aspetti, due opere diverse. Fra uno spartito parzialmente autografo e uno successivo ma completamente rossiniano e, anzi, attentamente rivisto e rielaborato, la Fondazione Rossini ha scelto quest'ultimo come versione di riferimento da ricostruire con l'edizione critica. E' così che Pesaro ha visto la prima ripresa in tempi moderni della Matilde napoletana. Nel rispetto delle convenzioni del genere semiserio, il libretto di Giacomo Ferretti alterna episodi buffi e tragici in una macchina farraginosa che, in una ambientazione medioevale, parte dal motivo buffo del tiranno misogino, passa per quello patetico dell'innocente ingiustamente accusata e vola (si fa per dire, dopo più di tre ore di musica) al canonico lieto fine. La scrittura vocale è florida ed estremamente ornata, soprattutto per quanto riguarda Matilde (soprano), Corradino (tenore) ed Ernesto (contralto). Il ruolo sostenuto dall'elemento giocoso, il peso del personaggio buffo del poeta Isidoro e, soprattutto, la schiacciante predominanza dei brani di insieme sulle arie solistiche, riportano ai caratteri più tipici dell'opera buffa rossiniana. Se con la Cambiale di matrimonio dello scorso anno Yves Abel aveva mostrato una rara sintonia con la musica di Rossini, questa Matilde lo ha confermato come una entusiasmante realtà nel panorama direttoriale di oggi. L'esatta comprensione del valore espressivo della coloratura, la brillantezza del suono orchestrale, la cura negli accompagnamenti, sono stati gli elementi principali di una esecuzione che ha fatto del giovane direttore il vero trionfatore della serata, premiato anche dalla splendida prova dell'orchestra del Teatro Comunale di Bologna, ai suoi massimi livelli. Il tenore Juan Diego Florez, giunto con lieve preavviso a sostituire l'originariamente previsto Bruce Ford, è stato probabilmente il protagonista più giovane dell'intera storia del Festival. Ma si farà ricordare anche per la bellezza e l'omogeneità del timbro, saldo nel registro medio-grave come in quello acuto, e, soprattutto, per la spavalda facilità della coloratura. A ventitre anni ha ancora sicuramente da imparare, soprattutto come interprete e attore, ma quello che si è sentito in questa Matilde è senza alcun dubbio un cantante già assolutamente fuori del comune. Non è stata invece una sorpresa la splendida prova di Bruno Praticò, ormai senza rivali nel repertorio buffo. Scenicamente straordinario, abilissimo nell'uso del dialetto napoletano, disinvolto al punto di sfruttare a proprio vantaggio gli incidenti tecnici, Praticò possiede anche una notevolissima perizia vocale, gusto per il canto legato, sensibilità per la resa della linea melodica. Elizabeth Futral ha esibito un piacevole timbro zuccherino e una considerevole (ma non sempre) padronanza del canto di agilità, mentre gli estremi acuti sono spesso stati raggiunti con qualche difficoltà. Non ha, complessivamente, esercitato una grande presa sul pubblico, soprattutto a causa del peso specifico veramente ridotto della sua voce. La grazia scenica e una generica piacevolezza dell'esecuzione non sono stati sufficienti a compensare la mancanza di vera autorità vocale per un ruolo che avrebbe richiesto un'autentica primadonna buffa. Patricia Spence, che pure ha ottenuto clamorose ovazioni, non mi è sembrata una cantante indimenticabile. Il timbro è piuttosto comune e, in un ruolo da contralto, ha prodotto nel registro grave note gutturali, mostrando una fastidiosa tendenza a schiacciare i suoni. Le va riconosciuta un'ottima padronanza della coloratura e anche diligenza interpretativa ma il suo ruolo, che è l'unico cui sono affidate due arie di estrema difficoltà, richiedeva sicuramente una cantante con una marcia in più. Unico responsabile della parte visiva dello spettacolo, Pier'Alli ha offerto un contributo fondamentale al grande successo di questa produzione, dimostrando ancora una volta di essere uno dei pochi registi d'opera capaci di sviluppare un'idea in uno spettacolo formalmente compiuto. Intanto ha colto esattamente lo spirito dell'opera, inventando un medioevo da barzelletta tutto torri, muraglie, corazze e macchine da guerra fra le quali, in rosa, l'eterea Matilde si aggira attonita con crinolina, cappello e ombrellino. Il lavoro del regista era poi curato nei minimi dettagli, la recitazione di tutti (dalle prime parti alle comparse) sempre scritta sulla partitura, i gesti (in un'opera che certo non si pone il problema dello scavo psicologico) differenziati a seconda della tipologia drammatica dei personaggi. Il soprano era un impalpabile cammeo, il contralto un fratellino di Tancredi, il tenore uno smargiasso pieno di tic ad ogni scoppio d'ira. Dopo i contrasti dell'inaugurale Ricciardo e Zoraide, questa Matilde ha ottenuto un successo clamoroso. E i rossiniani doc sono già in agitazione: per il prossimo anno il Festival promette la più succulenta delle riesumazioni, Moise et Pharaon. |
||||||||||||||||||
This page was last updated on: June 5, 2003 |