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L'Italiana in Algeri,Teatro dell'Opera, Rome, October 2003
Juan Diego Flórez and Daniela Barcellona
Photo credit: Corrado Maria Falsini

Un peruviano a Roma, Il Giornale della Musica, 23 October 2003
Exito en Roma de tenor peruano Juan Florez, ANSA 23 October 2003
«DIN-din, bum-bum, cra-cra, tac-tac; e din-din, bum-bum, cra-cra, tac-tac», Il Tempo, 23 October 2003
Rossini caldo, pubblico distratto, La Repubblica, 27 October 2003
Applausi e divertimento per "L'italiana" di Rossini, Il Messaggero, 26 October 2003
Roma: L'Italiana in Algeri, Riccardo Rocca, Operaclick, 30 October 2003 [this link is currently unavailable]
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Un peruviano a Roma
Luca Del Fra, Il Giornale della Musica, 23 October 2003

Sarà un brutto colpo per qualcuno ai piani alti sapere che alla prima dell' "L'Italiana", all'Opera di Roma, a spopolare è stato un extracomunitario. Lui, il peruviano Juan Diego Flòrez, ha steso il pubblico romano con un Lindoro da mettere in cornice. L'opzione a questo punto è: dargli la nazionalità o il voto? Perché sembra tutto facile a questo ragazzo, che ha le perfette sembianze del bell'innamorato, ma anche voce da vendere e musicalità forte che naturalmente esprime con particolare sapienza nei da capo delle arie. E già da "Languir per una bella" per gli applausi rischia di venire giù il teatro, che poi non è neanche pienissimo. L'impostazione ancora molto naturale di Florez lo spinge a eccitare molto l'emissione, il che gli riesce bene avendo appena 30 anni, ed è anche più divertente per chi ascolta. Semmai viene il dubbio se riuscirà a lungo a cantare in questo modo, ma naturalmente è affar suo. In ogni caso sono senz'altro le belle voci rossiniane a fare spettacolo in questa Italiana: da Abdrazakov che arriva in porto tirando il suo Mustafà per i capelli con un notevole mestiere; a De Simone anche se un po' schiacciato sulla buffoneria di Taddeo; a un pulito Accurso nei panni di Haly. Per ultima abbiamo lasciato Daniela Barcellona, l'altra stella del cast, appena sotto tono rispetto all'ultima volta che l'avevamo ascoltata  in platea si favoleggia d'un pregresso raffreddore, fosse così andrà meglio alle repliche. Tuttavia questa Isabella non proprio spinta è piaciuta, anche perché la Barcellona non è mai sopita, anzi, più concentrata sul canto. Il tutto dentro la cornice della regia di Scaparro che ha spinto sul pedale dell'istrionismo. Collocata nella normale ambientazione turchesca, si è basata su un'unica scena, sezionata da separé orizzontalmente mobili, di legno intarsiato, che lasciavano trasparire quanto capitava dietro, con garantito effetto harem. Il lavoro maggiore del regista è stato dunque sulla recitazione degli attori, molto teatrale, come s'usa dire. Sarà pure vero che Scaparro scrosta una serie di gag di tradizione, ma per infilarci le sue, andando ben oltre la commedia, anche della commedia all'italiana o dell'arte, con scivolate nell'avanspettacolo.

Qui si confessa il peccato capitale dello scrivente, che poco gradisce la versione commedistica di Rossini. Al di là dei gusti: è mai possibile che Mustafà fin da "Mi hai rotto il timpano" debba portare di continuo le mani alla testa, praticamente per tutta l'opera, in segno di disperazione, rabbia, sconcerto, esultanza, e qualsiasi altro stato d'animo... Si aggiunga che il povero Abdrazakov deve continuamente aggiustarsi il turbante che gli va largo e dal momento che ne cambia 4 o 5 nasce l'atroce dubbio: ma si tratta di un gag? E poi il Coro ogni volta che entra in scena ha in mano qualcosa, cuscini o fagotti, e si sventola senza posa coi ventagli; Taddeo è vestito come un beota...

Notevole invece è stata la direzione di Frizza, ed è sembrato buono anche il lavoro di concertazione  croce e delizia delle contemporanee bacchette. L'Orchestra e il Coro gli sono andati appresso bene, per una delle serate musicalmente più riuscite cui s'è assistito all'Opera di Roma nel 2003.

Interpreti: Daniela Barcellona /Agata Bienkowska, Ildar Abdrazakov/Carlo Lepore, Carla Di Censo/Brunella Bellone, Eufemia Tufano/Mariella Guarnera, Roberto Accurso/Filippo Morace, Juan Diego Flòrez/Giovanni Botta, Bruno De Simone/Giorgio Coaduro

Regia: Murizio Scaparro

Scene: Emanuele Luzzati

Costumi: Santuzza Calì

Orchestra: Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma

Direttore: Riccardo Frizza

Coro: Coro del Teatro dell'Opera di Roma

Maestro del coro: Andrea Giorgi


Exito en Roma de tenor peruano Juan Florez
ANSA, 23 October 2003

Una ovación unánime saludó la actuación del tenor peruano Juan Diego Florez en la Opera de Roma cantando uno de sus caballitos de batalla, el Lindoro de "La italiana en Argel" de Gioacchino Rossini.

"Fue un triunfo anoche en la Opera de Roma gracias también a la actuación de Daniela Barcellona y del director de orquesta Robert Frezza", comentó el tenor peruano, mientras descansaba acompañado por su novia con un paseo por las calles del centro de Roma.

Florez es un mimado del público italiano. Tiene casa en Bérgamo desde su debut en el Rossini Opera Festival hace más de diez años con una "Matilde di Shabran" de la que asumió el rol protagónico a último momento.


«DIN-din, bum-bum, cra-cra, tac-tac; e din-din, bum-bum, cra-cra, tac-tac»
Enrico Cavallotti, Il Tempo, 23 October 2003

Su questo metallico «nonsense» che evoca qualche zoo demenziale, od allampanate congreghe di spiritelli in risate a crepapelle, od universi finalmente sgombri dal disacconcio umanume e colmi invece di puri giuochi trascendentali: su questi fonemi, che manco il Marinetti piú futurista ne ha mai imaginati di cosí gagliardi, Gioachino Rossini ha scritto nel 1813 una delle perfette e piú geniali pagine che vanti la storia della musica.

L'arte, in genere, ha di fascinoso che, al contrario della vita (acerrima sua nemica), può assurgere al vertice di sé assumendo a materiale delle assolute inezie. La vita s'agghinda di tregende, eroicheríe e triboli, oppure d'estasi, deliquescenze e raptus: casi madornalissimi, insomma. L'arte no. I suoi contenuti non contano punto: anzi, quanto piú sono vitrei ninnoli, tanto piú l'alata Musa è incline ad imprimere alla forma estetica vertiginosi ghirigori, linee risplendenti nei secoli, messe di canti inoppugnabili.

«Din-din, bum-bum, cra-cra, tac-tac» vanno cantando con feroce ilarità i personaggî della rossiniana «Italiana in Algeri», in scena da iersera al Teatro dell'Opera di Roma. Sono personaggî contigui all'alto Reame della follia: là dove le contraddizioni e le illogicità magicamente svaniscono sotto la luminaria di un'adempiuta armonia cosmica. Personaggî per modo di dire: in realtà, membri di un unico, corrusco monumento di suoni. Ben noto il plot: Mustafà, bey d'Algeri, noiato dalla moglie Elvira, brama la schiava italiana Isabella, che fingendo di corrisponderci, lo riduce ad un «Pappataci»: per mezzo del quale stratagemma essa con tutti gli schiavi italiani in Algeri può imbarcarsi ed abbandonare le arene africane. Ma e chi è un «Pappataci»? È un pirla assoluto che, volendo abboffarsi di sesso debole notte e dí senza requie, è costretto a cessare da ogni altra pratica che non sia pappare, trincare, dormire e starsene zitto come un pesce, qualsivoglia evento accada dinanzi ai suoi occhî allocchi.

Allegria, parossistico frizzío, ordine indefettibile della scrittura, architetture geometriche, soavità e leggerezza di tinte, e «crescendi» travolgenti: ordigni strumentali e vocali d'una finezza calligrafica. «Ecco la perfezione del genere buffo. Nessun altro compositore vivente merita una simile lode» notava Stendhal nel 1832, rapito dagl'incantesimi de «L'Italiana in Algeri». Questa musica imparadisata, d'un genio poco piú che ventenne (coadiuvato dall'ottimo librettista Angelo Anelli), era fra le poche italiche dell'Ottocento che per raffinatezza, bellezza e dottrina potevano essere accostate ai sommi del Classicismo viennese: e fra le pochissime nostre in grado di fronteggiare la rivoluzione della prima «Romantik» tedesca; l'unico autore nostro che il demone mozartiano avrebbe volentieri tenuto a fratello. Gli altri operisti italiani, dopo Rossini, sarebbero discesi da quell'Olimpo a quaggiú, per mettersi a far esagitata cronaca di moti interiori e di rovelli varî: psicologici e mondani. La discesa segnava la mesta conclusione dell'età aurea della musica italiana.
Con esito plausibile la presente edizione dell'«Italiana» s'avvale dell'allestimento del «Massimo» di Palermo, per la svelta regía di Maurizio Scaparro. Sovente rimarcata la fantasia vorticosa del capolavoro dalla favolistica scenografia di Lele Luzzati, il migliore in campo, e dalla gioiosa costumista Santuzza Calí: sarabanda di colori e movimenti in riva al Mediterraneo. Volenteroso il cast vocale ove hanno primeggiato il tenore Juan Diego Florez (Lindoro), Bruno De Simone (Taddeo) e Ildar Abdrazakov (Mustafà). Non hanno demeritato Daniela Barcellona (Isabella) e Carla Di Censo (Elvira). Applausi per tutti, non escluso il giovane direttore Riccardo Frizza.



Rossini caldo, pubblico distratto
Michelangelo Zurletti, La Repubblica, 27 October 2003

Il debutto dell´"Italiana in Algeri" al Teatro dell´Opera di Roma. Regia di Scaparro

Questa nuova Italiana in Algeri del Teatro dell´Opera ha un allestimento (di Lele Luzzati) che più sobrio e efficace non si può, costumi (Santuzza Calì) divertenti nei loro vivacissimi colori e fogge, una regia (Maurizio Scaparro) che trova sempre le occasioni per un divertimento leggero e appropriato. E ha una compagnia di canto di grande rilievo, con un Juan Diego Florez al solito bravissimo, una Daniela Barcellona che non sarà proprio nei panni per lei più giusti ma che sfoggia bella voce e coloratura impeccabile, e un Ildar Abdrazakov accettabile come Mustafà. Accanto a loro un Bruno De Simone inappuntabile e un terzetto d´appoggio: Carla Di Censo, Eufemia Tufano e Roberto Accurso di sicura professionalità. C´è un´orchestra che suona bene e un coro discreto. Ma c´è sul podio Riccardo Frizza che non si sa perché sia capitato in un´opera buffa, genere per il quale non sembra molto attrezzato. È un direttore che abbiamo molto apprezzato in altre occasioni ma che qui troviamo appannato. La Sinfonia aveva lasciato bene a sperare, guidata con garbo e molta attenzione all´apparato strumentale. Non che quell´attenzione manchi nel resto dell´opera ma viene sopraffatta da precauzioni eccessive. Soprattutto, sembra, è uno che non si diverte con Rossini, e di conseguenza non diverte gli altri: i protagonisti in primo luogo, che si trovano defraudati delle ragioni buffe dell´opera, in secondo luogo il pubblico, che non ha modo di apprezzare la partitura rossiniana. E il pubblico dell´Opera? Non si diverte mai e non applaude mai e non vede l´ora di precipitarsi al guardaroba e di uscire all´aria aperta.


Applausi e divertimento per "L'italiana" di Rossini
Il Messaggero, 26 October 2003

Al Teatro dell'Opera si sorride, sia per il buon momento che la fondazione sta attraversando, sia per il divertimento portato da L'italiana in Algeri di Rossini in un'edizione musicalmente di pregio. Un successo corale che rispecchia il sistema adottato dal Teatro: puntare sul gioco di squadra più che sull'acuto del singolo.

E la squadra di cantanti dell' Italiana va in gol con tutti i suoi elementi. Juan Diego Florez, intrepido e preciso nelle arditezze dal ruolo tenorile di Lindoro, è il più applaudito. Daniela Barcellona,Isabella di grande merito musicale e tecnico. Non diresti che sia dell'Azerbaigian il basso Ildar Abdrazakov, Mustafà: pronuncia italiana perfetta e senza inflessioni slave, morbidezza, "appoggio" continuo e fiato a non finire, come vuole il virtuosismo rossiniano. Bruno De Simone, un simpatico, tremebondo Taddeo. Carla di Censo (Elvira)accende con sicurezza la miccia di Nella testa ho un campanello . Bene Accurso e la Tufano (Haly, Zulma).

Il merito della resa delle voci va anche al direttore Riccardo Frizza che è giovane ma ha già una buona maturità: evita frenesie e sonorità orchestrali eccessive dimodoché voci e strumenti si sentono nitidamente. E gli strumenti solisti "cantano", come l'oboe di Luca Vignali e il corno di Agostino Accardi, ma anche le sezioni si fanno apprezzare per la loro compattezza. Il coro recita e canta con grazia.

Nella regia di Maurizio Scaparro c'è, alla cerimonia di "Pappataci", una citazione del film Miseria e nobiltà , quando Totò mangia con le mani gli spaghetti. Lo spirito è quello, recitazione arguta e briosa con qualche gag, anche se un poco convinto tentativo di fuga dei prigionieri italiani illanguidisce un po' il finale. Ma c'è sempre aria e luce nelle scene di Luzzati col loro turchese magico e nei costumi fiabeschi di Santuzza Calì. Oggi si replica.


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This page was last updated on: May 6, 2004