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L'italiana in Algeri, Milan, March 2003

Che gioia «L'Italiana in Algeri» se sul palco c'è Juan Diego Flores, Il Resto del Carlino, 10 March 2003
Rovaris, un bergamasco alla Scala, L'Eco di Bergamo, 10 March 2003
Isabella, una femminista ai tempi di Rossini, La Stampa, 11 March 2003
Messinscena dedicata a Lucia Valentini Terrani, Gazzetta del Sud, 11 March 2003
Seduce «L'italiana in Algeri», Corriere della Sera, 12 March 2003
"L'italiana in Algeri" di Rossini al Teatro degli Arcimboldi, Il Giornale dei lavoratori, 10 March 2003
El gran Rossini comico, Opera Ayre, 15 June 2003
Image: Kasarova and Florez
Vesselina Kasarova and Juan Diego Flórez


Che gioia «L'Italiana in Algeri» se sul palco c'è Juan Diego Flores [sic]
Lorenzo Arruga, Il Resto del Carlino, 10 March 2003


MILANO  Algeri, come tutti sanno, è in Turchia; e lì i Pascià sperano sempre che, per pirateria o naufragio, arrivi qualche bella ragazza italiana. Il guaio è che, come tutti sanno, l'italiana riesce a far su algerini, turchi, e Pascià. Così, esorcizzando il pericolo arabo-musulmano con caricature buffe teatrali, fin dalla Battaglia di Lepanto di oltre quattro secoli fa ce la ridiamo felici.

Non che questi siano i tempi più adatti; ma c'è di mezzo in questo caso la musica di Rossini, e tutto diventa con lui non uno scherzo ma un delirio, una vertigine, un'ebbrezza: la prova che la felicità esiste, e basta la bellezza del canto, la fiducia nel teatro e un po' di colpi di genio per goderla e farla nostra. Così alla Scala cioè agli Arcimboldi si è vissuta una serata divertente e lietissima con «L'italiana in Algeri».

Oggi divertirsi all'opera buffa non è poi, però, una cosa così facile e diffusa. Qui c'era il vecchio, glorioso e comicissimo allestimento di Jean Pierre Ponnelle (nella foto una scena), dove tutti si scatenano con allegria, e abbiamo avuto vere metamorfosi inaspettate. Per esempio, il Pascià di Michele Pertusi, anche se la sua voce resta nella zona d'una bellezza un po' chiusa e scura; sembra come non mai in vacanza: comanda, s'impaurisce, salta, balla, con comicità esuberante ed esatta. Carla Di Censo e Larissa Schmidt sono due bocconcini.

Il giovane Cadouro ha ancora da finire di timbrare bene la voce peraltro assai promettente, ma tiene il palcoscenico con un'autorità davvero straordinaria. Aggiungete Antoniozzi, che disegna un Taddeo fantozziano molto originale, sottraete, ahi, la protagonista Kasarova che bombarda le note basse e solfeggia con grazia quelle medie e acute senza entrare nel vivo del rapporto con la scena e la parola (e qualcuno le ha indirizzato alla fine qualche bùu) e capirete quasi tutto.

Ma per capire tutto bisogna avere ascoltato il tenore Juan Diego Flores. Tutto quello che ci ha fatto per tanti decenni pensare che Rossini avesse esagerato, cioè finezza unita alla potenza, agilità al fraseggio intenso, grazia segreta e spregiudicatezza in una tessitura ardimentosa, ci vien dato con una gioia, una malinconia, una bellezza così naturali o vorticosamente vere, da farci venir voglia di passare la fine della serata al telefono a raccontarlo agli amici.

Naturalmente, il pubblico gli decreta un trionfo.

Sul podio c'è Corrado Rovaris, che fa suonare benissimo l'orchestra e riesce con il coro eccellente e con gran parte della compagnia a imporre una linea animata e coerente (è più in difficoltà con la protagonista, ma non credo senza motivo). Non capisco perché segue anche lui la moda, nei concertati, di inseguire qualche inutile record di velocità: sarebbe così bello udir parole e gesti portati alla follia ma senza affanni e sbrodolature. Comunque, in una sera piena di pericolose nostalgie, uscire cantando di buon umore è già una gran cosa.


Rovaris, un bergamasco alla Scala
Bernardino Zappa, L'Eco di Bergamo, 10 March 2003

MILANO Rossini porta decisamente bene a Corrado Rovaris. La bacchetta
bergamasca è tornata al teatro degli Arcimboldi con un'Italiana in Algeri
spumeggiante, dopo il Barbiere dello scorso anno. Le intenzioni e le scelte
stilistiche del maestro bergamasco erano già abbastanza esplicite nella
celebre sinfonia d'apertura: leggerezza e sottigliezze, grande spazio a una
cantabilità spianata e distesa, contrappuntata da un rigore ritmico preciso
e serrato, che poi, in alcuni concertati, è divenuto serratissimo. In
effetti il Rossini di Rovaris risente abbastanza chiaramente di due
precedenti matrici stilistiche: da un lato il gusto musicale barocco, con
giochi in eco sofisticati e ben evidenziati, dall'altro una schietta vena
melodica suadente e amabile di sapore mozartiano.

Anche il peso sonoro dell'orchestra, e la formazione scaligera ha confermato
l'eccellenza che da tempo ne fa sicuramente la migliore formazione italiana,
è stato sfruttato a fondo, svariando da passaggi lievi e quasi sussurrati
fino a sonorità a tutto tondo, massicce e solenni.

Dunque un mix di comico e sentimentale che si è irradiato con pienezza
grazie a una compagnia di canto di ottima levatura.

Su tutti - con applausi scroscianti e chiamate a più riprese - va messo il
Lindoro del tenore peruviano Juan Diego Florez, apparso in forma smagliante.
Impeccabile nelle agilità, sonorità vibranti nel fraseggio, equilibrate a
meraviglia con un timbro chiaro che non ha niente da invidiare ai migliori
colleghi: l'eleganza dell'eloquio, la scioltezza delle effusioni hanno
contribuito ad un'interpretazione di rara compiutezza. Ha un po' deluso
invece il mezzosoprano bulgaro Vesselina Kasarova, pur accreditata come una
delle più interessanti voci del panorama internazionale. La sua Isabella è
decollata solo a tratti, la voce mancava di omogeneità timbrica e molta
discrepanza di intensità. È stata l'unica nota in ombra in un'edizione che
non ha mostrato sbavature, con ottime prestazioni da parte del basso Michele
Pertusi (Mustafà), di Carla di Censo (Elvira) di uno spassoso Alfonso
Antoniozzi (Taddeo), di Larissa Schmidt (Zulma), un soprano che sembra avere
potenzialità interessanti da proporre, e di Giorgio Caoduro (Haly).
La regia e l'allestimento ormai storico di Ponnelle, ripreso da Sonja
Frisell, con i giochi di simmetria spruzzate di ironia, sembrava in piena
sintonia con la scelta di Rovaris che ha scelto tempi a precipizio nei
proverbiali concertati «folli» e meccanici, esaltandone la componente
surreale e fiabesca.



Isabella, una femminista ai tempi di Rossini
Giangiorgio Satragni, La Stampa, 11 March 2003

PER LA FESTA DELLA DONNA LA SCALA HA RIPROPOSTO
LO STORICO ALLESTIMENTO DI PONNELLE

«L´Italiana in Algeri» scintilla con la voce della Kasarova

Per la festa della donna non vi era per la Scala di meglio che riprendere,
al Teatro degli Arcimboldi, «L´Italiana in Algeri» di Rossini, il
celeberrimo dramma giocoso che nel 1813 portò sulle scene veneziane una
donna fiera ed emancipata, Isabella: prigioniera dei corsari dopo un
naufragio, si fa beffe del grullo bey Mustafà di lei invaghito, ordisce il
piano per la fuga degli italiani tenuti lì come schiavi, compreso il suo
amato Lindoro, al quale Isabella impartisce una lezione di coraggio, estesa
all´altro pauroso spasimante, Taddeo. Insomma, quando la donna decide di
farla a qualcuno, non vi è scampo, dice Rossini col sorriso dell´opera
buffa. E´ il sorriso dell´allestimento storico di Jean-Pierre Ponnelle,
ancora ripreso a Milano per le cure di Sonja Frisell a trent´anni dalla
produzione originaria, dopo i passati ripescaggi della «Cenerentola» e del
«Barbiere di Siviglia». E´ sempre un piacere tornare a quegli archi moreschi
e alle grate da serraglio, all´ironia leggera che sa non rendere volgari
pure gli ancheggiamenti di Mustafà e del coro. E´ la classica messinscena
che consente al profano d´imparare e di ridere, specie di fronte ad alcune
trovate di Ponnelle, come la piccola navicella che si spezza e affonda alla
cannonata dei musulmani, fino al conclusivo pasto di Mustafà, buffamente
nominato Pappataci, di fronte a un colossale piatto di spaghetti con accanto
il fiasco di vino rosso. E´ anche una produzione che annovera di nuovo pezzi
da novanta del belcanto rossinano d´agilità, a partire dalla Isabella di
Vesselina Kasarova, energica dove ci vuole, ricca di sottigliezze
psicologiche, dotata di una voce scura quasi da contralto: in qualche passo
ricorda la compianta Lucia Valentini Terrani, alla cui attività scaligera è
dedicato un volumetto allegato al programma di sala. Lindoro è Juan Diego
Florez, tenore povero di sfumature timbriche, ma con acuti cristallini che
mandano in visibilio ammiratrici e ammiratori, e poi abbiamo la morbidezza
del basso Michele Pertusi (Mustafà), la misura di Alfonso Antoniozzi
(Taddeo), la proprietà di Carla Di Censo (Elvira), Larissa Schmidt (Zulma) e
Giorgio Caoduro (Haly) Sono tutti bravi cantanti, soprattutto veri
musicisti, ed è per questo che la direzione di Corrado Rovaris può giungere
a magnifici esiti di concertazione. Mentre altri si limitano ad accompagnare
il canto, pur con brioso piglio orchestrale, egli applica con naturalezza un
principio di logica unità che pare derivato dallo stile sinfonico classico.
Cogliendo l´impronta strumentale del canto rossiniano, le voci sono
perfettamente inglobate nell´orchestra, mettendo Rovaris in luce l´ordito
fatto di scambi continui, d´intrecci fra idee principali e secondarie, fra
personaggi, strumenti solisti e figurazioni sì di contorno, ma essenziali
nel quadro globale. Questa impostazione classica, arricchita dalla bellezza
dei timbri vocali e strumentali, emergeva ancor più laddove Rossini smette
il passo svelto (svelto è stato Rovaris, quando necessario) e lascia
emergere i sentimenti dei personaggi: l´intimo stupore d´Isabella e Lindoro
che si ritrovano possedeva una grazia mozartiana, amabilmente effusa in più
punti. Basti pensare a un nonnulla trasformato in cammeo, come il terzettino
di congedo da Mustafà di Lindoro, Elvira e Zulma, fraseggiato con eleganza
squisita.


Messinscena dedicata a Lucia Valentini Terrani
Carla Maria Casanova, Gazzetta del Sud, 11 March 2003

Trent'anni dopo torna a Milano «L'italiana in Algeri» di Gioacchino Rossini

MILANO - E sì che nell'immaginario occidentale la scuola della seduzione
femminile ha sempre avuto sede nel medio oriente, negli harem dove agivano
le odalische, prototipi di arti raffinatissime finalizzate al maggior
piacere maschile. Non dello stesso parere il signor Angelo Anelli che nel
libretto del dramma giocoso «L'Italiana in Algeri» musicato da Gioachino
Rossini, racconta l'avventura di una Italiana alle prese con un bey di
Algeri obnubilato dai vezzi delle signorine del nostro Paese (rimanendone
poi amaramente sbeffeggiato). L'improbabile storia, tra i capolavori
musicali del Pesarese, è tornata nel cartellone della Scala/Arcimboldi in
quell'allestimento di Jean Pierre Ponnelle che trant'anni fa stabilì una
data storica per quest'opera. Con la fantasia straripante di Ponnelle
c'erano un direttore come Claudio Abbado e una protagonista (debuttante!)
come Lucia Valentini Terrani. Alla indimenticabile Valentini questa ripresa
è dedicata, insieme con un libro offerto in cofanetto con il programma di
sala e che percorre tutte le tappe scaligere dell'artista (1973-1986).
Ricordo doveroso anche se qui diviene una volta di più rimpianto. Nonostante
il grande successo (in certi momenti trionfale) dello spettacolo, la memoria
ha lasciato sapore amaro. Vasselina Kasarova, attuale protagonista, per una
singolare combinazione assomiglia in modo sorprendente alla Valentini, ma
l'evenienza è controproducente perché vien fatto di aspettarsi un riscontro
anche vocale che non esiste. Qualche accenno di buu, al termine dell'opera,
ha sottolineato la delusione. Sono poi piaciuti Michele Pertusi (Mustafà),
Carla Di Censo (Elvira), Alfonso Antoniozzi (Taddeo). E c'è chi ha avuto
l'ovazione, subito dalla prima aria (Languir per una bella). È il giovane
Juan Diego Florez (Lindoro) che ha proprio tutte dalla sua: età, fisico,
nobiltà di portamento, sicurezza vocale, facilità nella tessitura alta,
tecnica eccezionale, finezze d'accento. Magari il colore della voce non fa
impazzire, ma tutto il resto è ineccepibile. (Che era poi l'identikit di
Alfredo Kraus). Il pubblico ha subito fatto capire che decretava il tenore
trionfatore della serata. Forte del vantaggio, Diego ha proseguito e portato
a termine il suo compito con grinta superlativa. Un po' in sottordine invece
il direttore Corrado Rovaris, molle e titubante fin dalla Ouverture,
perdendosi qua e là alla ricerca di piccole note e trascurando l'insieme
rossiniano gioioso e scattante. Anche il giovane rampante Rovaris è un
beniamino del pubblico tuttavia, nel tripudio generale, per lui ci sono
stati alcuni dissensi di una certa consistenza.


Seduce «L'italiana in Algeri»
Enrico Girardi, Corriere della Sera, 12 March 2003

Applaudito ritorno del capolavoro rossiniano agli Arcimboldi

Si sa, sono tre i capolavori buffi di Rossini. Si sa anche che le edizioni
di tali opere prodotte dalla Scala 30 e più anni fa, con Abbado e
Jean-Pierre Ponnelle, hanno segnato un punto fermo nella storia dell'
interpretazione rossiniana, probabilmente impossibile da superare. E' però
meno facile sapere perché quell'allestimento de L'italiana in Algeri abbia
circolato meno, sia alla Scala sia fuori, dei consimili Barbiere e
Cenerentola . A rivederlo ora, 20 anni dopo l'ultima ripresa scaligera,
continuano infatti a sorprendere l'intelligenza, lo spirito, il garbo, l'
eleganza di quella messinscena musicalissima, che Sonja Frisell ha rimontato
con fedele spirito di servizio. E fedele a quel modello, sia pure
inimitabile, sembra altresì la lettura orchestrale di Corrado Rovaris,
articolata nelle dinamiche e spigliata nei tempi: fin troppo nei concertati,
dove l'intelligibilità delle linee ne risente un po'.

Eccezionale e molto applaudito il cast. Juan Diego Flórez si conferma tenore
strepitoso, un paradigma di come vada intesa la vocalità rossiniana. Molto
bene anche il virile Mustafà di Michele Pertusi e il frizzante Taddeo di
Alfonso Antoniozzi. Non tutti hanno lodato l'Isabella invero più tenera che
scaltra di Vesselina Kasarova, ma la vocalità non ha crepe e il personaggio
risulta ben tratteggiato.


"L'italiana in Algeri" di Rossini al Teatro degli Arcimboldi
Alessandro Mormìle, Il Giornale dei lavoratori, 10 March 2003

Lo storico allestimento di Ponnelle piace e diverte ancora il pubblico

Milano - Sono davvero tanti gli anni di vita dell'allestimento de L'italiana
in Algeri di Rossini firmato nel 1973 da Jean-Pierre Ponnelle per il Teatro
alla Scala e più volte ripreso a Milano, prima nel 1975 e poi nel 1983,
sempre con la direzione di Claudio Abbado. Oggi (8 marzo 2003), rivisto al
Teatro degli Arcimboldi, piace e diverte ancora il pubblico. Se un velo di
polvere comincia ad annidarsi fra le pieghe di questo storico allestimento -
che assicura comunque allo scomparso Ponnelle una posizione di primaria
importanza nella rosa dei più ispirati geni registici che il Novecento ha
avuto per il teatro d'opera comico rossiniano (oggi la sua regia è ripresa
da Sonja Frisell) - alcuni effetti scenici conservano l'ironia e la
freschezza del primo giorno.

Il pubblico, ad esempio, ride ancora e applaude contento alla vista del
colpo di cannone che, nel primo atto dell'opera, provoca l'affondamento del
vascello che costringe Isabella e Taddeo a naufragare sui lidi di Algeri. Lì
i due, come sappiamo vuole il soggetto del libretto di Angelo Anelli,
vengono catturati dai corsari algerini e condotti al cospetto di Mustafà,
che subito vuole fare di Isabella "la stella e lo splendor del suo
serraglio". Ma la giovane italiana, triste per il destino che la tiene
lontano dall'amato Lindoro, alla ricerca del quale si è mossa in viaggio,
finirà per rincontrarlo proprio nel palazzo del Bey. Si riunirà a lui e
ripartirà per le amate sponde italiche. Ma prima dovrà fare appello alle
scaltre attitudini del suo fascino femminile, facendo girare la testa a
Mustafà, beffeggiandolo ed ingannandolo con le più fini astuzie del suo
charme, fino a indurlo a rinunciare a lei per ritornare all'amore della
moglie Elvira.

Questa trama dà respiro a situazioni comiche che la musica di Rossini
investe di una gioia ritmica e sonora di inventiva straordinariamente
fantasiosa, donando agli schemi dell'opera buffa del tempo (L'italiana in
Algeri è del 1813) nuova linfa vitale: quella di un virtuosismo strumentale
e vocale che, grazie al genio compositivo rossiniano, appare essere come
sotto l'effetto di una droga vitalistica che sfocia nel più paradossale e
meccanicistico gioco compositivo, tanto che lo stesso Stendhal ebbe a
definire il celebre concertato che chiude il primo atto "une folie organisée
et complète".

Per dar voce a questa universo sonoro strumentale e vocale così ricco di
possibilità virtuosistiche è necessaria la presenza di un direttore
d'orchestra e di cantanti all'altezza del difficile compito. Agli Arcimboldi
si è ammirata la soffice contabilità con la quale la bacchetta di Corrado
Rovaris ha condotto le file musicali dell'opera, imprimendo in orchestra
tempi rapidissimi (talvolta fino eccessivi), ma prestando attenzione ad
ottenere una dinamica sfumata, che non eccede in ritmi dagli accenti
mordenti, piuttosto si mette al servizio di una accuratissima tavolozza
strumentale dai tenui colori pastello. Non a tutti è piaciuta la sua
direzione, forse troppo intenta nel ricercare in orchestra fruscianti
filigranature sonore, ma è stata la più saggia da seguire considerando le
caratteristiche della compagnia di canto a sua disposizione, fra le migliori
oggi immaginabili.

Assai attesa la prova, nei panni di Isabella, del mezzosoprano bulgaro
Vesselina Kasarova. Il pubblico non l'ha accolta con grande entusiasmo e,
alla prima recita, alcuni incontentabili nostalgici non le hanno risparmiato
qualche isolato ed immeritato "buu" al termine dell'opera. Forse la
tessitura della parte è troppo grave per le sue caratteristiche vocali e
l'omogeneità dell'emissione non è del tutto immune da riserve nel passaggio
da un registro all'altro. Eppure la fascinosa brunitura del timbro, lo
stile, la classe dell'interprete e le buone doti virtuosistiche le hanno
assicurato un rendimento pari al prestigio della sua fama internazionale.
Certo i paragoni con chi ricordava le prestazioni alla Scala di Teresa
Berganza e soprattutto di autentiche virtuose quali Marilyn Horne e Lucia
Valentini Terrani (quest'ultima ricordata con uno splendido volume ricordo,
allegato al programma di sala, nel quale si ripercorrono le gloriose tappe
scaligere, rossiniane e non, di questo amatissimo mezzosoprano, scomparso da
pochi anni e sempre nel cuore del pubblico) la pongono in posizione di
inferiorità, non impedendole tuttavia di mostrare gran gusto nell'intonare
un "Per lui che adoro" morbido e fascinoso, o di sfoggiare capacità tecniche
ragguardevoli nel rondò "Qual piacer! Fra pochi istanti", eseguito con
agilità sgranate senza sfrontatezza esibizionistica ma ricche di elegante
fluidità.

La medesima musicalità e sicurezza nel canto di agilità è esibita da Michele
Pertusi, che dona alla figura del cosiddetto buffo "nobile" rossiniano le
caratteristiche richieste: una vena comica spiccata, chiamata però a fare
sempre i conti con una scrittura vocale che, per la parte di Mustafà, pare
aver ereditato dall'opera seria il medesimo bagaglio virtuosistico. Pertusi
non ha un tonante volume di voce, ma nel canto di agilità è ferratissimo e
lo utilizza mettendolo al servizio di una nobile morbidezza d'emissione e di
un'eleganza nel porgere ogni frase, ogni accento delle parte con ironia
sottile e mai spinta all'eccesso. Più caricata, come si conviene alla parte
di Taddeo, è la comicità di Alfonso Antoniozzi, che con questa prova
conferma di essere il miglior basso buffo oggi in circolazione, spiritoso
sulla scena come nessun altro ed attentissimo nella cura di una fraseggio
dagli accenti sempre pertinenti ad ogni situazione, con una gestualità
scenica da grande attore comico.

Un vero trionfo è stato decretato al Lindoro di Juan Diego Flórez, giovane
tenore peruviano già affermatissimo nel repertorio rossiniano. La sua
impervia cavatina d'ingresso, "Languir per una bella", ha letteralmente
mandato in visibilio il pubblico per la naturalezza con la quale ha dominato
la tessitura acuta dell'aria e per la facile disinvoltura di un registro
acuto svettante ed infallibile. Anche il lato virtuosistico, se non
spericolato come ancora oggi lo sa rendere in quest'aria l'americano
Rockwell Blake, è mirabile. Nulla vogliamo rimproverare a questa
straordinaria prova, se non, forse, una maggior malia nell'abbandonarsi ad
un canto dai toni nostalgici e sospirosi che siano riflesso di un
personaggio che, più di ogni altro in quest'opera, fa vibrare la corda del
sentimento amoroso. Discrete le prove di Carla Di Censo (Elvira), Larissa
Schmidt (Zulma) e Giorgio Caoduro (Haly), che completano il cast nelle parti
di contorno. Si replica fino al 5 aprile.


El gran Rossini comico
Jorge Binaghi, Opera Ayre, 15 June 2003

La italiana en Argel, Teatro degli Arcimboldi (Scala), Milán, 8 de marzo
En 1975 entraba yo por primera vez a la Scala para una reposición de esta obra, entonces muy reciente, debida a Jean-Pierre Ponnelle en la parte escénica y a Claudio Abbado en la musical. Entre los cantantes -excelentes- había un peruano de nombre italianizado "Luigi" Alva que había debutado en el Colón en un histórico BARBERO de 1962. A sólo veintiocho años de aquella ocasión, asistí esta vez a la primera función de esta temporada que recupera la misma escenografía y puesta, aunque el régisseur no esté. Sin duda una parte del espíritu y de la iluminación se han ido, pero las puestas de Ponnelle resisten bien el tiempo porque estaban hechas sobre el texto y la música (todavía hoy, el coro de introducción y el de presentación a Mustafá de la recién capturada Isabella son un modelo escénico). Y el hacía surgir la risa, la sonrisa, la risotada y el humorismo irónico y a veces cínico de Rossini (sobre el sensacional libreto de Anelli) como no lo hacía en la orquesta Corrado Rovaris, que ya desde el principio de la obertura demostró que poca idea tenía de la estructura rossiniana: a un inicio que parecía más bien el de la "Casta diva" de Bellini seguían ritmos marciales, precipitados, crescendos tirados de los cabellos sin ningún motivo, acompañamientos carentes de imaginación aunque la orquesta sonara bien. El coro cantó algo fuerte, pero esperaremos a una próxima ocasión para dar un juicio definitivo. Si algunos silbaron al maestro, varios lo hicieron (también al final del espectáculo) con la protagonista. Probablemente no sea este el mejor papel para Vesselina Kasarova, que sin embargo es una excelente cantante. Comenzó algo destemplada en las agilidades -y con problemas de ajuste con el director- en su aria de entrada, pero fue creciendo (soprendentemente, mientras los aplausos iban creciendo a medida que se afianzaba -y era justo- al final aparecieron los "buh", debidos probablemente a las habituales viudas de cantantes que hacían lo mismo o peor -por ejemplo en los graves artificiales y exagerados, que es en todo caso lo que más se le puede discutir). Se movió bien, pero no pareció nunca disfrutar de lo que estaba haciendo (si uno piensa en cómo se divertía Berganza en esta parte). Esta vez había también un peruano, jovencísimo y ya consagrado: Juan Diego Florez es hoy por hoy el tenor rossiniano del presente y del futuro próximo. Ya lo había escuchado en París, pero ha crecido en desenvoltura, en el dominio de los recitativos y en las variaciones de las coloraturas, y el agudo sigue tanto o más firme que nunca. Tuvo la ovación de la noche con la cavatina de entrada "Languir per una bella", que simplemente nunca oí cantar así (incluso por él) y -algo menos- en la del segundo acto "O come il cor di giubilo".

También había visto en París a Alfonso Antoniozzi, cuyas últimas actuaciones en esa misma ciudad me habían dejado perplejo: por fortuna, uno de los alumnos dilectos del gran Sesto Bruscantini ha demostrado también con su Taddeo que ha conseguido finalmente madurar y realizó un espléndido trabajo. También encontré superado a Michele Pertusi en un Mustafá musical y divertido (el trío de "Pappataci" fue excepcional) que cantó con sobrados recursos su aria, sus escenas con Isabella y los demás, pero sobre todo el dificilísimo dúo "Se inchinassi a prender moglie" con Florez. Carla di Censo estaba nerviosa en Elvira, pero cuando logró superar el trac demostró que tenía una voz pequeña e hiriente en el agudo, en tanto que Larissa Schmidt y Giorgio Caoduro no se fatigaron mucho como Zulma y Haly (claro que éste, en su arietta "Le femmine d'Italia" - sea o no de Rossini es un dechado de gracia y más en esta puesta- no tuvo la ayuda del director).

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This page was last updated on: July 1, 2003