Do di petto. E non solo Riccardo Lenzi, L'Espresso, 30 May 2002 Ventinove anni, peruviano. Fisico da macho latino. Amatissimo in Inghilterra. Ora si confessa. Fra Rossini, le donne e la pasta con le sarde In questi giorni, dopo l'uscita del suo ultimo disco e una serie di concerti anglosassoni, il "Times", il "Financial Times", l'"Economist", il "Guardian", il "Sunday Express" e "Gramophone" lo osannano come il nuovo Pavarotti. Esteticamente, certo, è tutta un'altra cosa: tipico fisico da macho latino un po' smilzo e guascone, occhi neri saettanti, il tutto incoronato da riccioli irrequieti, il ventinovenne tenore peruviano Juan Diego Florez è entrato nello star system della lirica a vele spiegate. Un classico tenore belcantista, di dizione cristallina, con una conturbante facilità nell'eseguire acuti, che sarà protagonista del "Barbiere" rossiniano il 20 giugno alla Scala. Tre grandi tenori rossiniani nati a Lima in Perù. Prima di lei, Luigi Alva ed Ernesto Palacio. Un caso? «Nel mio paese non esiste una grande tradizione di bel canto. Sono propenso a credere che sia una questione più di natura che di scuola: ogni cantante riflette la tecnica della lingua che parla». Del resto lei si è avvicinato alla lirica in maniera un po' casuale. «Mio padre era cantante professionale di musica popolare peruviana. Io cantavo in una rockband nello stile di Paul McCartney. A sedici anni vinsi persino una specie di Festival di Sanremo locale. Finché al Conservatorio di Lima conobbi un'aria di Verdi ("Questa o quella" dal "Rigoletto") e scoccò la scintilla d'amore». E da Lima andò a studiare al Curtis Institute Filadelfia. Grazie a una borsa di studio? «Non sarebbe bastata: dovetti impegnare l'auto di mia madre per racimolare abbastanza soldi e permettermi un'audizione di prova». Nel '96 al Rossini Festival di Pesaro il salto di qualità. Raccontano le cronache che avvenne in maniera un po' rocambolesca. È così? «Il protagonista di quella "Matilde di Shabran" di Rossini doveva essere Bruce Ford. All'ultimo momento dette forfait. Ebbi la grande occasione di ottenere la parte, ma per convincere gli organizzatori del festival dovevo superare una specie di provino. Ebbi solo poche ore per imparare una intera scena. Per fortuna la pianista che mi accompagnava mi aveva in simpatia, così mi suggerì sottecchi le parole corrette. E tutto andò bene». Pochi mesi dopo il grande debutto alla Scala per l'"Armida" di Christoph Willibald Gluck diretta da Riccardo Muti. Lì le cose andarono in modo meno romanzesco? «Nient'affatto. Era previsto che io dovessi entrare per le seconde recite. Invece alla prova generale il maestro Muti mi disse: "Io voglio che tu canti alla prima del 7 dicembre". Da far tremare le vene dei polsi». Ma le consentì di spiccare il volo definitivamente. A Londra, nel '97, la sua interpretazione della famosa aria "Ah mes amis" da "La Fille du régiment" di Gaetano Donizetti, quella con i nove do sparati uno dietro l'altro, fece scalpore. I giornali inglesi incominciarono in quella occasione a parlare di "nuovo Pavarotti". «Esagerarono allora come oggi. Io canto quell'aria frequentemente e per questo non mi sento un prodigio. Le assicuro che ne esistono altre, di Rossini, magari meno conosciute, ma assai più impegnative in quanto a tecnica, con re naturali ma tenuti, do dappertutto, canto legato, frasi enormi, acuti ben più estremi». Cosa l'affascina nella musica di Rossini? «Forse è il compositore che più esalta le potenzialità vocali. Non solo per gli acuti o per le volate vocali, ma anche per i passaggi di coloratura, per i "legati" mirabili che ti permettono di appoggiare, controllare e modellare ampie frasi lente». E come Rossini, grande cuoco di maccaroni e pasticci di pollo, ama anche il cibo? «Sono un cuoco provetto di carbonara, matriciana e pasta con le sarde. Ma amo anche l'arte culinaria del mio paese. La mia specialità è il "ceviche", pesce tenero marinato nel limone con cipolle, patate, sale e olio». E, sempre come Rossini, le donne? «Ho una fama di Casanova del tutto immeritata. Forse dovuta a certe irrequietezze giovanili. Da due anni ho messo la testa a posto e mi sono fidanzato con Laura, un bel soprano siciliano». In più ama il calcio? «Sempre piaciuto e praticato. Andrò anche in Giappone a vedere i Mondiali. E siccome il Perù non si è qualificato, tiferò per gli azzurri». Chi sono i Maradona dei tenori? «Marcelo Alvarez e Roberto Alagna». Che modestia. Studia molto? «Non molto, adesso; parecchio in passato. Sono stato rigoroso nel costruire la mia tecnica. Quest'ultima, ormai, è diventata una questione di automatismi». Come mai ha scelto di abitare a Bergamo. Un omaggio donizettiano? «Semplicemente perché lì vive il mio maestro di canto Ernesto Palacio, e tanti amici. Sa dove abito? In un palazzo all'incrocio fra via Rossini e via Donizetti». Era scritto nelle stelle. |
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