Ma che bel tenore di vita Paola Zonca, La Repubblica, 30 March 2003 |
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Juan Diego Flórez: dalla Scala inizia la sua ascesa È attualmente impegnato nel ruolo di Lindoro dell´ "Italiana in Algeri" agli Arcimboldi dove il pubblico gli riserva applausi calorosi Vivo a Bergamo. Per chi ama Donizetti è naturale. E poi sto bene in Italia. Solo l´Inter mi fa soffrire Trentenne, peruviano, un fisico che si fa notare, energia da vendere, gira in giubbotto di pelle e non ha nulla dello stereotipo dell´ugola d´oro Sul palcoscenico ha una presenza impareggiabile. Adesso è in uscita un suo disco e ne sta registrando un altro con l´orchestra Verdi Muti mi ha preso sotto la sua ala protettrice e mi ha dato molti consigli. Rigoletto? Lo farò a 40 anni A vederlo così, nella vita di tutti i giorni, l´aria del tenore non ce l´ha proprio: niente sciarpa di seta al collo, banditi i cappottoni neri lunghi fino ai piedi, nessuna mania particolare per preservare l´ugola d´oro. Il look è semplice, polo e giubbotto di pelle, come quello di tanti ragazzi della sua età che incontri nei bar e al cinema. Eppure Juan Diego Flórez, trentenne, peruviano di Lima, quando sale sul palco è il più grande: presenza scenica impareggiabile, fisico scattante, occhi neri saettanti, energia da vendere. E poi la voce: cristallina, facile agli acuti, perfetta per il belcanto. Alla Scala ormai è una certezza dal dicembre ´96, quando (aveva appena 23 anni) Riccardo Muti lo volle per la "prima" dell´Armide di Gluck. Da lì in poi i suoi successi non si contano, e non solo in Italia. All´inizio di marzo, per il debutto agli Arcimboldi dell´Italiana in Algeri di Rossini nel personaggio di Lindoro, il pubblico lo ha applaudito per dieci minuti: un´eternità in teatro. Ma anche la sua carriera discografica va a gonfie vele: è appena uscito il cd Una furtiva lagrima, dedicato a Bellini e Donizetti, compresa la famosa aria "Ah! mes amis" da La Fille du Régiment, con la strepitosa raffica di nove "do" tutti in fila (lo presenterà mercoledì alle 17.30 alla Scala Bookstore di Palazzo Trussardi). E in questi giorni ne sta registrando un altro all´Auditorium, con l´Orchestra e il Coro Verdi, direttore Carlo Rizzi, in cui interpreta anche "La donna è mobile" dal Rigoletto. Lei ha scelto l´Italia come paese di elezione, e vive a Bergamo. «Dove mai dovrebbe vivere uno che ama Rossini, Bellini, Donizetti? Voi vi lamentate, ma qui la vita musicale è ricchissima, ed è pieno di artisti di valore. E poi avete anche il buon calcio, mia grande passione, anche se con l´Inter sono destinato a soffrire». La Scala è un po´ casa sua. «Mai avrei immaginato di debuttarci così presto. Nel ´95 l´ho visitata pensando: ecco, qui ci arriverò tra cinque anni, anzi no, tra dieci. Invece di lì a poco ero sul quel palcoscenico. Con tanta incoscienza, vista la giovane età. Quando sono arrivato in teatro per la "prima" di Armide e ho visto tutta quella gente, tutti quei fiori, mi sono detto: caspita, allora questo è un avvenimento importante». Il maestro Muti ha contribuito alla sua maturazione artistica. «Mi ha preso sotto la sua ala protettrice, nelle prove mi ha dato molti consigli. Ma lui lo fa con tutti i giovani bravi, ad esempio con Daniela Barcellona, che è una mia cara amica. Una volta ci siamo incontrati a Vienna e lui sapeva tutto di me. E poi, per le opere giuste, mi ha sempre scelto». Sta incidendo l´aria del Duca di Mantova. Significa che presto la vedremo interpretare il Rigoletto in teatro? «Non adesso, forse dopo i quarant´anni. Il personaggio mi piace, è adatto a me: allegro, frivolo, non eroico. In più mi piace la linea vocale, scritta per un tenore acuto. Mi hanno già proposto di farlo, ma penso che non sia ancora il momento giusto. Altri sono più bravi di me. Un nome? Marcelo Alvarez». Ma per lei che è il re del belcanto è un´aria difficile? «Assolutamente no, è una canzone, non ha acuti estremi. Spesso la canto nei recital e la gente alla fine mi dice: bravo, ce l´hai fatta. A me viene da sorridere, perché ho affrontato arie ben più impervie. Il punto è che Verdi lo conoscono tutti, e quel brano è il marchio dei più grandi tenori, da Caruso a Pavarotti». Vero che, in Perù, lei cantava la musica popolare? «Vengo da una famiglia di musicisti: mio padre è interprete di musica peruviana costeña, genere spagnoleggiante, con tanti valzer, danze negre, marinere; mia sorella è chitarrista professionista. In famiglia si faceva spesso musica assieme. Poi da ragazzino andavo per locali, per piano-bar, e cantavo di tutto: rock, pop, musica latino-americana. Ho scritto pure qualche canzone, e ho partecipato a una specie di Festival di Sanremo del mio paese». Quando la rivedremo alla Scala? «Nella prossima stagione non ci sarò, e mi mancherà tantissimo. L´appuntamento è per il 2005, con la Trilogia rossiniana». Non le sembra che i tenori rossiniani siano una categoria diversa rispetto ai colleghi? «Vero, siamo tipi umani particolari: forse una voce leggera, fresca, può venir fuori solo da un certo modo di stare al mondo, più allegro, ironico, scanzonato». |
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