REVIEWS Werther, Teatro Regio di Torino, June 2005 |
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Photo by Ramella & Giannese Roberto Alagna, generoso «Werther», La Stampa, 16 June 2005 L'intimità della tragedia, La Stampa, 16 June 2005 La sfida culturale del Teatro Regio, Il Giornale dei lavoratori, 4 July 2005 Un Werther en famille, ConcertoNet, June 2005 [external link] Teatro Regio: Werther, OperaClick, June 2005 [externa; link] ___________________________________________________________ |
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Roberto Alagna, generoso «Werther» Paolo Gallarati, La Stampa, 16 June 2005 È ritornato, graditissimo, al Teatro Regio, il «Werther» di Massenet, opera che il pubblico italiano ha sempre amato per la bellezza dello stile vocale e l'abbondanza delle melodie, legate, nel tempo, ai nomi di tenori che hanno fatto epoca: le voci di Tito Schipa, Beniamino Gigli, Alfredo Kraus sono ben fisse nell'immaginario di ogni musicofilo come espressione di un personaggio dolente e appassionato, nostalgico e tenero, disperato e tragico cui Massenet ha riservato alcune delle invenzioni più belle della sua fantasia musicale. Compito tremendo, quindi, quello del tenore Roberto Alagna che ieri sera, nella prima parte dello spettacolo, ha affrontato generosamente il suo personaggio, gettando le premesse per una interpretazione che solo alla fine si potrà veramente giudicare nella sua completezza. Su questo punto torneremo domani. Per ora ci preme solamente riferire del successo che lo spettacolo ha avuto dopo l'esecuzione del primo atto: accanto al protagonista, il mezzosoprano Monica Bacelli, nella parte di Charlotte, è stata vivamente applaudita. Il direttore Alain Guingal sembra dominare la situazione con buona consapevolezza di causa, nel rispetto dei dati fondamentali della partitura di Massenet: delicatezza, finezza strumentale, ritmi elastici e andamento narrativo scorrevole. Massenet richiede dall'orchestra un andamento fluido e una grande morbidezza di suono, esigenza che il complesso del Teatro Regio ha potuto soddisfare, grazie ai progressi fatti negli ultimi anni che l'hanno vista impegnata su fronti diversissimi, ma sempre desiderosa di dare il meglio di sé, anche in campo sinfonico, come hanno mostrato i concerti della Filarmonica Novecento, dediti ad un repertorio che affina le capacità tecniche e le intenzioni interpretative. Molti fattori concorrono, quindi, a far prevedere un successo anche per questo «Werther», che si avvale della scenografia di David e Frédérico Alagna, le cui intenzioni interpretative sembrano opportunamente confluire con quelle del fratello Roberto nella parte del protagonista. L'intimità della tragedia Paolo Gallarati, La Stampa, 16 June 2005 E' sempre gradevole il Werther di Massenet, andato in scena l'altra sera nel Teatro Regio sotto la direzione di Alain Guingal. L'orchestra ha suonato in modo soffuso e morbido, valorizzando le qualità della partitura: armonie sottili e raffinate, ispirate alla mobilità di quelle di Wagner senza averne il peso; timbri soffusi che avvolgono le voci in una morbidezza di colori pastello. Guingal ha curato assai bene gli equilibri sinfonici, ha reso gli archi densi e fluidi, sostenendo le voci in modo elastico e naturale. Cosa quanto mai necessaria, dal momento che il melodizzare di Massenet ha un carattere fluttuante e libero, ben diverso dalla plasticità della melodia italiana, ed è portato piuttosto a disegnare arabeschi sinuosi, arrotondati come l'altalena dei sentimenti che non toccano mai espressioni estreme, neanche nei momenti di magior impeto tragico. E' questo il pregio, ma anche il limite di Massenet: da un lato c'è il controllo, l'eleganza, la raffinatezza della fattura; dall'altro una certa uniformità di tono, il piacere di cullarsi nell'espressione mediana, piuttosto che far precipitare l'ascoltatore sulle montagne russe di vertiginosi sbalzi emotivi. Per sostenere questa «medietas» espressiva il «Werther» richiede la presenza di veri campioni del canto lirico; in particolare, nella parte del tenore quest'opera esige il divismo, ossia una capacità di attrazione magnetica che il protagonista, perso nel suo sogno impossibile, esercita, con la voce e con la figura, sugli spettatori, mantenendoli costantemente in tensione. Il tenore Roberto Alagna, molto applaudito, si è lodevolmente impegnato in questo compito, reso difficile dagli schiaccianti modelli del passato. Se consideriamo che dev'essere un buontempone, dal momento che si diverte a fare battute amene, affermando che Riccardo Muti avrebbe «rovinato» la Scala, apprezziamo ancora di più il suo sforzo di identificarsi nel malinconico e tragico eroe di Massenet. Il suo canto, che s'ingegna ad impiegare dolcezze e sfumature, rinuncia lodevolmente alle impennate dell'opera italiana e disegna un Werther senza troppe pretese di eccezionalità. Anche Monica Bacelli fa di Charlotte un personaggio quotidiano: non una donna da perdere la testa, che giustifichi il suicidio dell'innamorato respinto, ma una ragazza giudiziosa e positiva, che svolge il proprio compito con tranquilla e un po' prosaica sicurezza. Insomma, questa coppia non è certo irresistibile, e non conferisce alla partitura il fuoco per arroventarla, ma ne rende apprezzabili i valori, con momenti di confidenziale e autentica commozione. Una certa aura casalinga, piuttosto provinciale, caratterizza anche lo spettacolo di David Alagna (regia) e Frédérico Alagna (scene), fratelli del tenore con cui paiono in perfetta sintonia: niente stranezze, scenografia fedele al libretto e sostanzialmente accettabile, con un solo grosso errore, quello di eliminare il giardino davanti alla cui bellezza si effondono, nel primo atto, le melodie stupite di Werther, costretto, qui, a sdilinquirsi davanti ad un muro di mattoni. Se al Regio verrano, come sempre, i ragazzini delle scuole, si divertiranno moltissimo nel vedere due cavalli che entrano in scena, il primo trascinando una carrozza, il secondo portando sulla groppa una bella fanciulla. Il panorama zoologico è completato da un cane nero, tenuto al guinzaglio nel primo atto. Tutto molto realistico, dunque, con i garbati costumi ottocenteschi di Louis Désiré, e le scene molto calligrafiche, come mostrano la precisione dei muri di mattoni e di pietra e la pittoresca nevicata che fa da sfondo alla camera da letto-biblioteca di Werther: ambiente forse troppo presidenziale per uno che non era certo un nababbo. Anche i gesti prescritti dalla regia sono misurati e contribuiscono alla tranquilla normalità dello spettacolo. Alla fine, applausi per tutti, compresi i bravi comprimari tra cui segnaliamo Marc Barrard (Albert) e Nathalie Manfrino (Sophie). La sfida culturale del Teatro Regio dinanzi alla crisi di Torino Alessandro Mormile, Il Giornale dei lavoratori, 4 July 2005 La stagione si è intanto conclusa con uno splendido Werther di Massenet [...] La stagione lirica appena conclusasi è stata la conferma chiara ed evidente dell'indubbio livello artistico raggiunto, competitivo a livello europeo e non solo italiano, mentre il cartellone 2005-2006, varato in omaggio all'atteso evento olimpico, denota uno sforzo produttivo e qualitativo senza precedenti nella storia ormai trentennale del nuovo Teatro Regio. Prima di parlarne, tuttavia, penso meriti soffermarsi su quello che è stato fra gli appuntamenti più attesi della stagione appena conclusasi: il Werther di Massenet con protagonista Roberto Alagna. Il più noto tenore del momento, che aveva aperto la stagione con La bohème di Puccini cantata al fianco della moglie Angela Gheorghiu, sembra aver scelto il Regio come suo teatro italiano favorito. E non possiamo che compiacercene. Il pubblico lo ama e per lui si è registrato il tutto esaurito per un'opera non certo fra le più popolari come Werther. Alagna è giunto a Torino con la famiglia al gran completo; una famiglia di musicisti, cantanti, registi e artisti di talento che hanno saputo donare un'organizzazione manageriale altamente professionale della loro immagine. Perché dispiacersene se i risultati artistici sono così alti? Roberto Alagna ha scelto infatti i fratelli David e Frédérico, con i quali spesso lavora in piena sintonia di intenti artistici, per regia, scene e costumi del nuovo allestimento di Werther. La critica non l'ha gradito e si è espressa con parole non troppo lusinghiere nei confronti dello spettacolo, come pure nei riguardi della prestazione del protagonista. Eppure le accoglienze decretate dal pubblico sono state trionfali. Come spiegare tale divergenza di opinioni fra pubblico e critica? Si possono avanzare le ipotesi più varie, a partire dalle prevedibili conseguenze suscitate dalle coraggiose dichiarazioni espresse da Alagna contro Riccardo Muti, accusato apertamente, in un conferenza stampa che ha anticipato l'andata in scena dell'opera, di avere «rovinato» la Scala. Le tensioni fra Muti e Alagna sono cosa assai nota nel mondo musicale, anche se non gradite dalla critica. La prima stoccata contro il tenore è pertanto arrivata dal principale quotidiano torinese e dal suo critico, Paolo Gallarati, che da «mutiano» di ferro non ha accettato l'«affronto» lanciato al suo direttore prediletto. È da ritenersi ancor più grave che non abbia compreso il valore della prestazione di Alagna, definendo il suo Werther un protagonista «senza troppe pretese di eccezionalità». In realtà la prestazione offerta dal tenore italo-francese, fuori da ogni inopportuno paragone con altri interpreti (il tanto citato Alfredo Kraus, che fu un memorabile Werther), si pone stilisticamente agli antipodi rispetto alle lettura di Alagna, è originale e nuova perché approda ad una visione della parte che, sia nel canto che nella recitazione, ha il merito di trovare un armonioso equilibrio fra la tradizione stilistica francese e quella italiana. In perfetta simbiosi di malinconia, dolcezza e passione, c'è nel Werther di Alagna tutto il fascino di un canto che è espressione della poesia dell'anima votata alla sofferenza per scelta di condizione esistenziale. Ma le lacerazioni introspettive dell'eroe emarginato, solitario e smarrito, che non sa comunicare col mondo che lo circonda perché non ne sa accettare i conformismi e si arrende con rassegnazione al proprio annullamento, non sono vissute da Alagna con accenti di desolato pessimismo leopardiano, tali da presentare anche scenicamente il personaggio come pallido ed emaciato, in preda alla sofferenza di un vivere che lo segna sia nel corpo che nel gesto. Alle malate introspezioni nevrotiche e al sottile lirismo di una melodia amorosa resa eccessivamente compiaciuta da una signorilità un po' ingessata e dalle pose aristocratiche, Alagna contrappone nel suo Werther la disperazione dell'escluso vissuta con giovanile schiettezza e sincerità. In tale interpretazione si avverte pertanto più fascino che malattia esistenziale, più poesia che angoscia, anche se la lacerata sequenza del finale dell'opera, con quell'elegia funebre del dolore che è il «Là-bas au fond du cimetière», trova in Alagna una voce che tocca il cuore per straziante malinconia e morbido calore estatico. Inoltre si ravvisa in lui uno splendido timbro di tenore lirico che porge frasi e accenti con gusto e fraseggio perfettamente rispondenti alla prosodia francese. Dalla citata perfetta simbiosi fra stile francese e italiano nasce un canto che da un lato vive di spontanea passionalità, dall'altro filtra ogni espressione verbale asservendola con raffinatezza e gusto alla particolare musicalità espressiva della lingua francese, partendo dalla parola per donare colori e nuances ad ogni sillaba. Nel costruire il personaggio è aiutato, come detto, dai suoi fratelli, David e Frédérico Alagna, i quali costruiscono per lui uno spettacolo di cinematografica evidenza, che certo figurerà al meglio quando la visione del DVD realizzato dal Regio farà ancor più ammirare la sofisticata ricercatezza della recitazione e la cura con cui lo spettacolo, nel segno della tradizione più confortante, permetterà di cogliere, nell'espressione dei primi piani, la poesia dei sentimenti che stanno alla base di questa tragica vicenda letteraria romantica. Il cast che sta al fianco di Alagna è assai valido. Il mezzosoprano Monica Bacelli è una Charlotte di asciutta femminilità, ma che nel canto si fa ammirare per la linea stilistica contenuta e sfumata, nel segno dell'eleganza. Più intensa e passionale è la Charlotte di Kate Aldrich, donna per di più assai bella, che ha preso parte ad alcune repliche ed è poi stata prescelta per la registrazione del DVD. Vera rivelazione il soprano Nathalie Manfrino, una Sophie ideale per grazia e raffinatezza. Valido anche il baritono Marc Barrard, un Albert di robusta consistenza. Alain Guingal, che nel repertorio francese è una garanzia e si è più volte apprezzato al Regio, dirige con estrema correttezza ed equilibrio nel dosaggio di fraseggi e sonorità. [...] |
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