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I Pagliacci, Teatro Filarmonico Verona, February 2002
Review, Il Giornale della Musica, 22 February 2002
Pagliacci «spacca-ugole», L'Arena, 23 February 2002
Nel cast dell'opera di Leoncavallo i tre fratelli Alagna, Gazzetta del Sud, 23 February 2002
Verona 24 febbraio 2002, Il giardino lirico, February 2002
L'esibizione in "Pagliacci" , aclimilano.com, 26 February 2002

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Review
Fabio Zannoni, Il Giornale della Musica, 22 February 2002

I Pagliacci destinati, nella maggior parte dei casi, ad andare in scena
in combinazione con Cavalleria, si sono trovati questa volta
nell'insolito abbinamento con il balletto di Mikis Theodorakis, "Zorba
il Greco", il cui tratto comune è quello di essere due vicende
passionali da cartolina ambientate nel meridione d'Europa. Dopo di che,
niente in comune tra il dramma verista che, nonostante tutto il kitsch
che si porta dietro, conserva tutto il fascino di una partitura
ridondante e densa di sfaccettature, con la pesante trasposizione
sinfonica delle musiche del celebre film, interpretato da Antony Quinn
nel 1965: in questa versione deprivate di colore e di freschezza etnica.
Se l'ambiente nel quale viene ambientata la vicenda di Pagliacci è
quello più convenzionale di una piazzetta rurale del sud, i personaggi,
nell'allestimento veronese, indossano abiti moderni, specie Nedda,
interpretata brillantemente dalla Vassileva, che è molto dark e sexy,
con tacchi alti e pantaloni in pelle. Nella regia firmata dai fratelli
Davide e Federico Alagna non pare esserci tuttavia una precisa
convinzione su tali scelte e non emerge un intento chiaro a connotarne
il senso. E' quindi l'altro fratello, Roberto Alagna, che nei panni di
Canio viene a caratterizzare in maniera forte il clima violento e
passionale della vicenda, con una straordinaria irruenza e vitalità. In
tal senso la prova del tenore, di grande generosità, ha evidenziato
asperità ed eccessi dovuti ad un'intensa carica vocale ed espressiva,
che talvolta l'hanno messo in difficoltà. Preziosa vocalmente, specie
nel registro medio-alto, la Nedda della Vassilleva. Ottimo Francesco
Piccoli in Arlecchino; un po' cupo e dalla dizione impastata il colore
vocale di Enrico Marrucci, nel ruolo di Silvio. Alberto Mastromarino ha
saputo interpretare un Tonio dai tratti caricaturali e con carattere,
superando l'incidente iniziale nell'acuto del Prologo. Precisa la tenuta
dell'orchestra nella direzione di Viekoslav Sutej anche se non è emerso
un particolare spessore e solo larvatamente quei contrasti tra diversi
piani di lettura - tra il sinfonico, il cameristico e il popolare - di
cui la partitura di Leoncavallo è intrisa.


Pagliacci «spacca-ugole»
Cesare Galla, L'Arena, 23 February 2002

Ovazioni per Alagna che domina le asperità di Leoncavallo

I Pagliacci che costituivano la prima parte dell'insolito dittico di
passioni mediterranee completato dal balletto Zorba il greco sono
stati - in un teatro Filarmonico al gran completo - quasi una serata
d'onore per Roberto Alagna. L'attesa per il suo debutto veronese era
evidentemente molto alta, e si è risolta in ovazioni a scena aperta, un
tripudio generale e ripetute chiamate alla fine: atmosfera come si dice
caldissima per questo tenore che è oggi uno degli interpreti di punta
del panorama operistico internazionale.

Una festa, insomma, che ha sottolineato la personalità musicale di
Alagna e le sue notevoli doti vocali, anche se ha messo ugualmente in
evidenza che non è probabilmente questo il suo repertorio d'elezione,
quello in cui far valere al meglio le sue qualità. Alle prese con una
parte notoriamente «spacca-ugole» (e per questo notevolmente rischiosa),
Alagna ne ha infatti dominato la zona alta con squillo franco e ben
timbrato, e di notevole tenuta espressiva, ottenendo risultati meno
eclatanti al centro e in basso. La scrittura di Leoncavallo «spinge»
imperiosamente in queste zone, che il tenore ha risolto soprattutto
puntando su una linea di canto di adeguata calda intenzione espressiva,
ma non sempre di analoga sostanza vocale. In questo modo la temperatura
passionale del personaggio è risultata un po' intermittente, ma pur
sempre di importante livello musicale nell'approfondimento degli
elementari meccanismi psicologici che scatenano la tragedia.

Intorno ad Alagna, il cast vocale ha mostrato qualche disomogeneità.
Alberto Mastromarino si è proposto con discreta scioltezza ma senza
particolare incisività, ed è incorso fra l'altro in un clamoroso
infortunio alla fine del Prologo, quando, dopo un acuto infuocato ma non
particolarmente controllato, la voce gli si è improvvisamente e
inesorabilmente «rotta» (e qualche lieve ma non per questo meno evidente
raucedine all'inizio del pezzo ha così assunto l'aspetto di campanello
d'allarme). Il suo Tonio aveva un'adeguata dose di malvagia istintualità
sul piano teatrale, ma è sembrato piuttosto generico vocalmente, così
come il suo Taddeo durante la recita della commedia nell'ultimo atto.

Bene in parte, invece, specialmente nei panni di Arlecchino, il tenore
veronese Francesco Piccoli, mentre Enrico Marrucci è stato un Silvio che
alla proprietà di fraseggio e alla pulizia del colore non ha unito in
soverchie dosi l'autentica intensità dell'espressione.

Quanto a Svetla Vassileva, Nedda, ha messo in evidenza un timbro
piuttosto chiaro, voce non particolarmente a suo agio in zona
medio-bassa, e tendente ad esagerata forzatura in acuto. Notevole,
comunque, la presenza scenica, che ha completato bene la sensuale
vitalità del personaggio, solo a tratti evidente nella linea di canto.
Dal podio, Viekoslav Sutej non ha lesinato in colori e in dinamiche
molto stagliate, non sempre corrisposto al meglio dall'orchestra
areniana, ma con risultati interessanti specialmente nel secondo atto,
nei contrasti fra la maniera settecentesca della commedia di maschere e
i colori sanguigni del dramma. Il coro di Armando Tasso (completato
dalle voci bianche del «Britten» di Antonella Bertoni) è parso un po'
bloccato e appesantito.

Lo spettacolo, proveniente dal festival di Santander, e firmato per
regia e scene dai fratelli di Alagna, Davide e Federico (costumi, in
stile anni Cinquanta, di Louis Desiré), è tradizionale, un po' generico,
un po' pretestuoso (come nel caso delle inutili ombre cinesi durante il
Prologo). Il dramma non scorre istintivo, tumultuoso, inesorabile, ma è
piuttosto mediato da troppo evidenti meccanismi rappresentativi. E alla
fine la commozione resta un accessorio.


A Verona nel cast dell'opera di Leoncavallo i tre fratelli Alagna
Carla Maria Casanova, Gazzetta del Sud, 23 February 2002

VERONA - A Parigi, dove soggiornava indeciso tra letteratura e musica
componendo motivetti per l'Eldorado, capitò a Ruggero Leoncavallo di
scrivere un'opera che traeva spunto da un fatto di cronaca nera accaduto
tempo addietro a Cosenza. Quest'opera drammaticissima dal fuorviante
titolo di Pagliacci, si qualificò subito un capolavoro: esempio di opera
verista tale da stare alla pari di Cavalleria Rusticana di Mascagni, con
la quale poi, anche in virtù della sua breve durata, formò una sorta di
dittico indissolubile. I Pagliacci arrivano ora al Teatro Filarmonico
con una nuova formazione. A loro si affianca la suite del balletto Zorba
il Greco di Theodorakis, nella celebre coreografia di Lorca Massine e
con uno strepitoso Irek Mukhamedov (Zorba). Denominatore comune dei due
soggetti: la spietata, primitiva violenza, i sentimenti estremi. Una
serata di grande successo, esauritissima, condotta musicalmente con
forte senso della fatalità e dell'irreparabile da Viekoslav Sutej. Tra i
punti di spicco in locandina, ce n'è uno curioso: la presenza, nel cast
di Pagliacci, di ben tre Alagna. Si tratta dei fratelli Roberto
(tenore), Davide e Andrea (in alternanza regista e scenografo). Nati in
Francia da genitori siciliani, incominciarono a esibirsi tutti insieme
nel 1997, gli ultimi due come chitarristi accompagnatori di Roberto, già
un nome in campo lirico. Si qualificarono poi nella preparazione dello
spettacolo scenico. L'allestimento di Pagliacci, ideato per il Festival
2000 di Santander, è severo, di grande tensione: una scena senza
compiacimenti che si svolge su piani degradanti, cifra atta a
concentrare e drammatizzare l'azione. Più che austerità diventa invece
velleitaria raffinatezza la scelta (di Louis Desiré) dei costumi bianchi
e neri, mentre qualche intenzione della regia va oltre il verismo più
esplicito (Nedda, anziché usare il frustino per frenare gli ardori
indesiderati di Tonio, gli sferra un calcio nella parti basse). Al di là
della curiosità per il team Alagna è però Roberto quello che assorbe
l'interesse di tutta la produzione, con una prestazione eccezionale,
certo aiutata sul piano scenico dall'intesa familiare ma comunque
sfolgorante sul binario vocale: sicurissimo in tutto il registro,
intelligente nel fraseggio, emozionante negli accenti. Così come disegna
un bellissimo personaggio Alberto Mastromarino (Tonio): «alla grande» il
suo Prologo. A Svetla Vassileva, soprano di ottima caratura, manca quel
tanto di passione forse anche perché poco stimolata dall'amante (Enrico
Marrucci) un Silvio vocalmente trasandato. Bene Francesco Piccoli come
Beppe. Repliche fino a sabato 2 marzo.


Verona, 24 febbraio 2002
Il giardino lirico, February 2002

Quattro bis e archivio con profonda soddisfazione anche questa terza trasferta veronese, risultata forse uno degli spettacoli più piacevoli cui non mi capitava di assistere da anni. Sarà che si ascoltava bella musica, sarà la "novità" rappresentata per il nostro gruppo da uno spettacolo di balletto, sarà che abbiamo ascoltato belle voci E poi, l'accoppiata mostratasi vincente di due titoli quali "Pagliacci" e "Zorba il greco", che ha letteralmente mandato in visibilio il foltissimo pubblico presente al Filarmonico, tutto in piedi al termine delle quattro ore di spettacolo, tutto a battere ritmicamente le mani durante il travolgente finale del balletto (non si può resistere alle musiche di Theodorakis!): pareva di essere a Vienna durante la Radetzky-Marsch del concerto di Capodanno. Per concludere con il simpaticissimo direttore d'orchestra Viekoslav Sutej che entra in palcoscenico a passi di sanza insiene ai protagonisti di "Zorba il greco": un vero spasso! Si cominciava con "Pagliacci": la piazza del villaggio con le mura in tufo delle case, il carretto degli attori, i campagnoli in abiti di foggia moderna (dominavano il bianco e il nero per le donne, il caki per gli uomini: erano belli i costumi di Louis Desiré); le scene erano di Davide e Federico Alagna, come pure la regia accurata, priva delle manie aurorali che siamo troppo spesso costretti a subire, tesa a sviluppare il dramma sanguigno a mezzo di connotazioni essenziali eppure estremamente efficaci: bellissimo, fra l'altro, il prologo, con la gigantesca figura di un mimo proiettata su un telone bianco, ad accennare con gesti ed inchini le parole di Tonio. In palcoscenico, poi, un quintetto di cantanti che ha avuto la sua punta di massimo splendore nell'emozionante Canio di Roberto Alagna (fratello dei registi): un tenore in progressione enorme, straordinario nel disegnare una figura in preda ai tormenti, vocalmente ineccepibile nel fraseggio toccante (la sua "Vesti la giubba" è risultata un capolavoro di finezze espressive, di accenti commossi e commoventi) nonché abilissimo attore. Al suo fianco, la Nedda di Svetla Vassilieva, svettante negli acuti pieni e morbidi, seducente in scena, forse appena un po' in difficoltà nelle note basse della sua ardua tessitura. Alberto Mastromarino (Tonio), si conferma il solido professionista che conosciamo, pur con la solita tendenza a forzare i suoni: tendenza che lo porta spesso a sfiorare un'emissione non propriamente corretta, con sporadici scivoloni verso qualche nota non brillante. Bene il Silvio di Enrico Marrucci e sempre affidabile il Beppe di Francesco Piccoli, a suo pieno agio nella serenata di Arlecchino del secondo atto. Canta sempre assai bene il coro dell'Arena di Verona diretto da Armando Tasso e suona altrettanto bene l'orchestra dell'Arena di Verona, sotto l'impeccabile guida di Viekoslav Sutej, autore di una lettura pregnante e sanguigna nella quale nulla è stato lasciato al caso.


L'esibizione in "Pagliacci" di Leoncavallo al Teatro Filarmonico
Alessandro Mormile, aclimilano.com, 26 February 2002

Dopo il recente film d'opera Tosca, il tenore Alagna trionfa a Verona
Verona - L'Arena di Verona è una delle istituzioni più celebri al mondo
per l'opera lirica. Anche chi non mette il melodramma al centro dei
propri interessi, avrà sentito parlare, almeno una volta nella vita, dei
mastodontici spettacoli areniani. Naturale conseguenza è la curiosità di
assistere alla celeberrima Aida messa in scena sull'immenso palcoscenico
en plein air areniano. Non a caso la prossima stagione lirica estiva
verrà inaugurata con un nuovo allestimento di questo capolavoro verdiano
firmato da Franco Zeffirelli, regista che quanto a grandeur e sfarzo
scenografico mai si è risparmiato.

Ma non di sola Arena vive l'attività operistica veronese. D'inverno, al
Teatro Filarmonico, la stagione lirica offre appuntamenti di rilievo.
Valga quale esempio emblematico l'attesa edizione dei Pagliacci di
Ruggero Leoncavallo, proposta in accoppiata con il balletto Zorba il
Greco di Mikis Theodorakis. L'attesa di pubblico e critica era, come
prevedibile, tutta puntata sul ritorno in Italia di Roberto Alagna, uno
dei tenori oggi più celebri ed acclamati del mondo, non meno che
personalità di indubbio spicco nel panorama operistico mondiale, la cui
notorietà è dettata anche dal fatto di essere il consorte del non meno
famoso soprano rumeno Angela Gheorghiu. Insieme formano, nella vita come
sul palcoscenico, la più acclamata coppia della scena lirica
internazionale. Le loro presenze nel nostro Paese sono sporadiche,
mentre ben note sono le loro innumerevoli  incisioni discografiche.
Eppure, ogniqualvolta uno di loro canta sulle scene di un teatro
italiano, l'interesse dei melomani si scatena assicurando il tutto
esaurito.

La loro notorietà si è poi consolidata con l'esordio nel recente film-d'
opera Tosca di Benoit Jacquot (Alagna e la Gheorghiu recitano e cantano
rispettivamente le parti di Cavaradossi e Tosca), già uscito in Francia
e in arrivo nelle sale cinematografiche italiane. Nato in Francia, ma di
origine siciliana, Alagna appartiene ad una famiglia di musicisti ed
artisti. I giovani fratelli, Davide e Federico, sono chitarristi che
hanno accompagnato la voce di Roberto in serate concertistiche ed
incisioni. Da alcuni anni si dilettano anche nella regia (Davide) e
nella scenografica (Federico) operistica con risultati di notevole
efficacia. La conferma si è avuta con questo allestimento di Pagliacci,
approdato al Filarmonico di Verona dopo il successo riscosso al Festival
di Santander in Spagna. Cosa colpisce, insieme al bell'impianto scenico
che riproduce un austero villaggio dell'entroterra montano calabro stile
anni Cinquanta, è l'approfondimento registico col quale si è
tratteggiata, passo a passo, la figura del protagonista. Roberto Alagna,
grazie alle capacita artistiche e vocali e al meditato lavoro di regia
svolto con i fratelli, consegna una delle interpretazioni più
emozionanti e partecipi che siano state offerte della parte di Canio
negli ultimi anni. Forse la tensione drammatica del ruolo non sempre
appare confacente alle caratteristiche della voce lirica di Alagna.
Eppure ciò ha poca importanza se si considera il fatto che questo grande
tenore mostra di saper creare sulla scena un personaggio vero, recitato
con spavalderia scenica priva di eccessi e vissuto con giovanile
baldanza. La temperatura drammatica verista sempre sopra le righe dei
Pagliacci, opera ispirata ad un fatto di cronaca realmente avvenuto
nella Calabria di fine Ottocento, sembrerebbe suggerire al protagonista,
come spesso è capitato in tante esecuzioni, un taglio interpretativo
tragicamente sanguigno. La vicenda, non dimentichiamolo, utilizzando il
sempre efficace sistema del gioco di teatro nel teatro, vede il
pagliaccio Canio, capo di una compagnia di teatranti girovaghi,
vendicarsi dell'onta subita dalla compagna Nedda, rea di averlo tradito
con Silvio. Il delitto d'onore scatta fulmineo e assume, soprattutto nel
finale, toni sopra le righe che hanno spesso lasciato perplessa gran
parte della critica, mentre il pubblico ha sempre mostrato di farsi
coinvolgere dalla coinvolgente teatralità dell'opera.

L'interesse nei confronti dei Pagliacci non si è mai assopito grazie
anche ai più grandi tenori del passato e del presente. Tutti, chi più
che meno, sono stati attratti dalla parte di Canio. Anche Alagna ha
ceduto al fascino del personaggio e con la sua voce, per quanto priva
dell'espansione drammatica e della solida muscolosità richieste, ha
operato un vero miracolo. Nessuna inopportuna esternazione verista nella
sua lettura del ruolo, ma un fraseggio che sa toccare il cuore quando il
bel timbro si abbandona al canto patetico, espressione dell'uomo
disperato dal tradimento della donna amata. Nel celebre "Vesti la
giubba", attaccato con una morbidezza senza pari ed eseguito con
accenti di accorata commozione, Alagna ha confermato la sua classe
superiore e l'intelligenza di un'interpretazione del ruolo che fa tesoro
della grande tradizione esecutiva passata, mediandola intelligentemente
col gusto di una personalità di stile moderno. Per lui il pubblico è
andato in delirio, decretandogli un trionfo meritato, carico di affetto
ed emozione. Il restante cast ha visto emergere la prova della bella e
brava Svetla Vassileva, una Nedda di presenza scenica ideale e dal
radioso registro acuto. Buone la prove di Alberto Mastromarino, voce
robusta e sonora (peccato l'incidente di una clamorosa quanto
perdonabile "stecca" nel Prologo) e del sempre bravo Francesco Piccoli
(Peppe). Unico neo nella compagnia di canto la voce appannata del
baritono Enrico Marrucci nei panni di Silvio. La bacchetta di Viekoslav
Sutej ha diretto l'Orchestra dell'Arena di Verona con precisione e
controllo delle sonorità. Una serata indimenticabile e per gli assenti
ci sarà presto una sorpresa: la registrazione dal vivo dello spettacolo,
che verrà pubblicata in DVD.


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This page was last updated on: May 14, 2005