REVIEW Don Carlos, Royal Opera House, London, June 1996 |
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La storia trasfigurata Robert Boas, L'Opera, n. 100, September 1996 Londra Covent Garden Verdi compose la musica del Don Carlos in un arco di tempo che si estese per oltre diciotto anni e apportò tali modifiche (aggiunte, tagli, rifacimenti) che è impossibile redigerne una versione definitiva. La nuova edizione a cura di Antonio Pappano e Luc Bondy, una coproduzione con 5 città francesi presentata al Covent Garden l'11 giugno, risulta affine non soltanto alla partitura originale della prima del 1867 e relative revisioni posteriori, ma anche alla musica scritta per la prima ed in seguito scartata. Il risultato è stato un Don Carlos che presentava un numero di rarità il primo "a solo" del marchese di Posa; il coro di apertura del terzo atto; la prima versione del grande quartetto e il duetto "Lacrimosa" usato più tardi per il Requiem , che viene eseguito dopo l'uccisione del Marchese di Posa. Ma questo non poteva accontentare i verdiani, i quali domandavano a gran voce dove fossero finiti la musica introduttiva dell'atto di Fontainbleau, il balletto, la squisita scena Elisabetta-Eboli nel gabinetto del Re, l'"Allegro marziale" nel duetto del quinto atto e l'impressionante scena della condanna che chiudeva il primo Don Carlos. La recita, così com'era, tratteneva gli spettatori per oltre 5 ore. L'alestimento scenico del Covent Garden offriva molti spunti dello stilr "grand opera" della metà del diciannovesimo secolo. Le scenografie di Gilles Aillaud erano più spoglie meno ricche di particolari di quelle dell'epoca di Verdi, ma nessun espediente scenico risultava stonato, se si esclude il letto da campo, su cui giaceva Elisabetta, durante il soliloquio del re, che, più tardi , si tramutava inspiegabilmente nella prigione di Carlos. Più lavoro hanno richiseto gli effetti scenici decisamente più interessanti: nel primo atto la regina cavalcava all'amazzone un cavallo bianco; si faceva anche abbondante uso del fuoco: realisticamente per il rogo degli eretici, sinbolicamente per la prima entrata dell'Inquisitore. I costumi erano accuratamente "del periodo" anche se i morbidi riccioli del Marchese di Posa appartenevano più ad una ambientazione del 17° secolo che del 16°. La principale attrazione di questo Don Carlos era lo splendido cast, probabilmente il migliore che si possa scritturare oggigiorno per la versione francese dell'opera. Il soprano finlandese Karita mattila era una radiosa Elisabetta e cantava con intonaziono quasi perfetta ed un istinti naturale dell'andamento drammatico. L'aria estremamente espansa del 5° atto non denunziava mai lo scomodo cambiamento di registri, fatto di cui solitamente risente la maggior parte delle esecutrici del pezzo, e l'unica riserva nei suoi confronti riguardava l'inutile forzatura del "climax" finale. Martine Dupuy era una Eboli versatile, sia che si esibisse nelle fioriture del "Canzone del velo" sia dell'istrionica "O Don fatale" eseguita dalla cantante rannicchiata a terra. Anna Maria Panzarella ha contribuito con un Thibault vivace. Musicalmente il ruolo di Carlos è il meno avvincente tra quelli protagonistici e Roberto Alagna che, a quanto si diceva, aveva accettato la parte con riluttanza, si è rivelato in buona forma per la prima, esibendo, per la delizia del pubblico, un timbro tenorile facile all'acuto e una vivace ed autentica declamazione in francese. Alagna resisteva molto bene per tutto l'arduo percorso : la sua aria d'entrata era encomiabilmente levigata e sfoggiava un trillo genuino e forza piena nel rivaleggiare con la soavità della Mattila durante il duetto d'addio dell'ultima scena. Thomas Hampson ha offerto un marchese di Posa ben cantato: nella scena della prigione con "Uoi carlos" C'est mon jour supreme" abbiamo ascoltato "bel canto" di rara qualità. La sua energica recitazione funzionava bene, eccetto nella scena con Phippe, in cui il suo stile contrastava con la studiata compostezza di Josè Van Dam. Quest'ultimo offriva un monarca triste, riluttante e fisso nelle espressioni facciali, ma la sua spoglia dignità conquistava il rispetto del pubblico: si è dimostrato un po' in difficoltà nelle note più basse, ma la musicalità del grande soliloquio del 4 atto gli regalava una meritata ovazione. Kurt Rydl era un Inquisitore dal tono potente, la cui denunzia del Marchese di Posa ha rappresentato uno dei momenti topici della "performance". L'intelligente e sobria produzione di Luc Bondy e la dinamica presenza di Bernard Haitink sul podio hanno reso la serata un'esperienza indimenticabile. |
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This page was last updated on: July 7, 2003 |